Objet du Conseil n. 1786 du 10 janvier 2001 - Resoconto
OGGETTO N. 1786/XI Regolamentazione del pagamento a carico dei parenti della retta di ricovero di anziani a basso reddito. (Interpellanza)
Interpellanza Preso atto che con delibera n. 3630 del 30/10/2000 la Giunta regionale ha nuovamente regolamentato l’obbligo ai parenti di coloro che sono ricoverati presso le micro-comunità per anziani di contribuire al pagamento della retta di ricovero nei casi in cui i redditi degli anziani siano insufficienti a coprire per intero l’ammontare stabilito;
Rilevato che tale obbligo si appalesa in contrasto con l’art. 23 della Costituzione, che recita: "nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge";
Osservato che la richiesta di contributi economici ai parenti di assistiti maggiorenni è stata ripetutamente ritenuta illegittima dai Tribunali Amministrativi Regionali, dai Giudici ordinari e dagli Uffici amministrativi dei vari ministeri competenti;
Osservato altresì come il richiamo agli artt. 433 e seguenti del codice civile appare fuorviante perché gli "alimenti" possono essere direttamente richiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non dagli Enti pubblici, che non possono surrogarsi al soggetto avente diritto;
Richiamate le disposizioni dell’art. 1 e dell’art. 2, comma 7 del D.L. 130/2000;
Ritenuto che il sistema contributivo configurato nella richiamata delibera sia fonte di indebite pressioni nei confronti dei familiari degli assistiti, che si vedono sostanzialmente costretti a firmare un impegno finanziario per degli importi spesso consistenti, se vogliono vedere ricoverato il proprio congiunto;
Creduto che tale sistema, oltreché illegittimo, non contribuisca ad assicurare trasparenza nell’azione amministrativa (i congiunti sono spesso ed erroneamente convinti dell’obbligatorietà civilistica del loro "impegno") e finisca con il penalizzare in misura consistente i nuclei familiari con maggiori difficoltà economiche;
il sottoscritto Consigliere regionale
Interpella
l’Assessore competente per sapere:
1) se è a conoscenza che quanto deliberato è in contrasto con l’art. 23 della Costituzione e con la normativa civilistica in materia alimentare;
2) se così come formulata, la richiesta di contributi non finisca per aggirare indebitamente le norme di legge, imponendo forzatamente ai parenti un contributo non dovuto;
3) se non si intenda rivedere la posizione della Giunta al riguardo, adottando un sistema che sia sostanzialmente rispettoso della legalità e meno penalizzante per i nuclei familiari più deboli economicamente.
F.to: Curtaz
PrésidentLa parole au Conseiller Curtaz.
Curtaz (PVA-cU)Mi dispiace di non essere troppo in forma, perché questa interpellanza merita una qualche attenzione supplementare rispetto alle altre iniziative da me sottoscritte.
Parliamo di un'integrazione alle rette di coloro che vengono ricoverati nelle microcomunità, che viene richiesta ai parenti a seconda di criteri stabiliti dalla Giunta regionale.
Una prassi che è stata formalizzata via via con delle delibere amministrative da parte della Giunta, che è inficiata a mio giudizio da illegittimità svariate; mi riferisco soprattutto al modo che la Giunta aveva stabilito in origine per percepire questi contributi da parte dei familiari.
Ad un certo punto il problema di carattere legale è venuto fuori, perché alcuni dei familiari sono ricorsi a dei consigli legali, hanno rappresentato all’Assessorato le loro osservazioni e credo che l’Assessorato non abbia che dovuto tenerne conto. Cosa si stava facendo: in sostanza si invocava un articolo del Codice civile che obbliga i parenti soggetti a prestazioni alimentari a pagare questo contributo, si appalesava del tutto illegittimo.
Da qui una soluzione che ha voluto dare la Giunta, per aggirare l’ostacolo di tipo legale. Qual è stata la soluzione? Se non ho capito male, è stata quella di far sottoscrivere preventivamente ai parenti, individuati più o meno con gli stessi criteri stabiliti dal Codice civile per i parenti soggetti ad alimenti, un impegno di carattere privatistico, in cui costoro si obbligano a versare alle microcomunità questa integrazione.
È una cosa che ricorda un po’- l’Assessore non me ne voglia - la fideiussione bancaria: se l’anziano ha un reddito che non è sufficiente a pagare la retta, si fa firmare a qualcuno che si impegna ad integrare al posto suo. La cosa dal punto di vista giuridico-formale credo che stia in piedi, ma è con ogni evidenza un "escamotage", che induce in errore molte persone perché finisce con il far credere ai parenti di essere obbligati a firmare l'impegno, cosa che dal punto di vista giuridico non è assolutamente vero, perché nessuna persona può essere obbligata a pagare debiti di altri, a meno che non sia a seguito di un impegno contrattuale o per sua volontà unilaterale.
Quindi da una parte ci troviamo di fronte ad un "escamotage", come lo chiamo e non a caso, che da un punto di vista sostanziale è criticabile: in primo luogo, perché induce in errore molte persone; in secondo luogo, perché le persone che non vengono indotte in errore possono essere soggette a delle pressioni e a dei ricatti, in quanto si mettono nelle condizioni i figli, i nipoti o i parenti dell’anziano di dover firmare quell’impegno per non avere difficoltà a ricoverare l’anziano in microcomunità. C’è questo rischio, spero che non emerga concretamente, ma questo rischio dal punto di vista teorico c’è.
C’è poi un’altra controindicazione, che però mi tengo per la replica, e che mi sembra la cosa più seria di tutte? invece no, l’anticipo perché voglio giocare a carte scoperte. Questa finisce con essere una "tassa per i poveri", perché dal punto di vista statistico se l’anziano ricoverato è già ricco di suo, a nessun parente viene richiesto di pagare alcunché. Se è povero, sono i parenti che devono integrare. Ma dico una cosa in più: che è assai probabile anche qua dal punto di vista statistico che i parenti e i figli di un genitore povero siano poveri rispetto ai figli di un genitore ricco.
Quindi questa integrazione che viene chiesta nella maggioranza dei casi, viene richiesta a delle persone che spesso hanno già problemi di carattere economico. Queste integrazioni non sono uno scherzo, perché ci sono delle rette intorno ai 3 milioni.
Supponendo una retta di 3 milioni al mese, la pensione sociale dell’anziano sulle 800 mila lire, bisogna andare a trovare 2,2 milioni al mese.
Questo avverrà attraverso dei criteri, che l’Assessore mi dirà equitativi e tengono conto di una serie di parametri, e di questo gliene do atto, però sostengo che alla fine di tutti i ragionamenti che possiamo fare, ad un anziano ricco non viene chiesto nulla, ai parenti di un anziano povero viene chiesta un'integrazione. Questo, dal punto di vista equitativo mi sembra un paradosso!
Paradosso ancora più grande, quando si pensi che molte persone sono convinte, obtorto collo, dell'obbligatorietà di questa prestazione supplementare che viene loro richiesta.
PrésidentLa parole à l’Assesseur à la santé, au bien-être et aux politiques sociales, Vicquéry.
Vicquéry (UV)A me non pare che l’interpellante non sia in forma, se lo è mi dispiace, ma come è stata posta l’interpellanza le domande sono chiare e io spero che le risposte lo siano altrettanto, perché parliamo di interpretazioni di tipo strettamente giuridico.
Dico innanzitutto che la delibera di Giunta regionale n. 3630/2000, che riguarda le modificazioni alla delibera n. 1716/2000, non prevede affatto, come si dice nelle premesse dell'interpellanza, che i parenti degli anziani ospitati presso microcomunità debbano coprire per intero la differenza fra il reddito dell’ospite e la quota giornaliera di 75.000 lire. I parenti infatti partecipano alla spesa suddetta nella misura prevista dall’allegato D della delibera di Giunta n. 1716, ossia in concreto con somme assolutamente modeste.
Il richiamo all’articolo 23 della Costituzione è fuorviante, mi spiace dirlo, poiché detta norma si riferisce ai doveri civici di prestazioni, sia personali, come ad esempio l’obbligo di assumere la tutela di minori o il servizio militare, sia patrimoniali, il rilevante dei quali è costituito dai tributi; ovvero è lo Stato che richiede al cittadino l’adempimento di un dovere e non il cittadino che richiede un servizio per il quale è prevista una contribuzione, come nel caso di specie, di inserimento in una microcomunità.
A quanto ci risulta, le pronunce giurisprudenziali degli uffici ministeriali di cui si è avuta conoscenza, riguardano in genere fattispecie in cui non era prevista né da norme né da accordi convenzionali la partecipazione dei familiari alle spese.
La delibera n. 3630, a differenza della precedente, la n. 2397/2000, ha escluso ogni riferimento all’articolo 433 del Codice civile. Peraltro tale riferimento era solo indicativo della tipologia di parenti che potessero essere chiamati a contribuire, ben sapendo che l’ente gestore non può chiedere gli alimenti in luogo dell’avente diritto, ai sensi dell’articolo 438 del Codice civile.
Premesso che non esiste un comma 7 dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 130/2000, presumendo che il Consigliere Curtaz voglia riferirsi al comma 6 dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 109/1998, come modificato dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 130/2000, si ribadisce quanto affermato in precedenza, ossia che l’Amministrazione regionale non si è mai arrogata la facoltà di cui all’articolo 438 del Codice civile, nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata.
Come afferma appunto il Consigliere Curtaz, i familiari instaurano un rapporto di tipo contrattuale con l’ente gestore, come tale libero per definizione. D’altronde, mentre non esiste un diritto soggettivo dell’anziano ad essere ospitato in una microcomunità, per contro vi è l’obbligo dei congiunti ad assisterlo, secondo gli articoli 433 del Codice civile e 591 del Codice penale.
Non va sottaciuto peraltro che la Regione interviene finanziariamente e cospicuamente a favore delle famiglie, ai sensi della legge regionale n. 22/1993, sia nel pagamento delle rette presso strutture residenziali e semiresidenziali, sia nella concessione di contributi per interventi alternativi all'istituzionalizzazione, come è sufficiente leggere dalle convenzioni stipulate per esempio con il Refuge Père Laurent e il Bonifacio Festaz là dove la Regione, tramite la legge n. 22, interviene finanziariamente nei confronti dei familiari che non sono in grado di pagare la retta minima.
Come affermato, si instaura proprio un'obbligazione civilistica fra i familiari e l’ente gestore, che peraltro non penalizza affatto le famiglie con maggiori difficoltà economiche come dice il Consigliere Curtaz, tenuto conto della misura della contribuzione. Questo è dimostrato dalle statistiche che abbiamo agli atti.
Va inoltre rammentato, come ho già fatto in occasione della risposta ad una precedente interpellanza fornita il 12 luglio 2000, che molte regioni italiane si sono orientate da anni nella suddivisione netta fra quota sanitaria e quota alberghiera, nel senso che la quota sanitaria viene pagata alla struttura dell’USL, con il finanziamento al Servizio sanitario regionale, mentre la quota alberghiera viene pagata dagli utenti o dagli enti locali. Deve essere chiaro che ci stiamo riferendo solo alla quota alberghiera, che è pari a 75.000 lire al giorno, mentre la quota sanitaria, pari a 90.000 lire al giorno, viene interamente sostenuta dall’ente locale rimborsato totalmente, come dirò di seguito, dall’Amministrazione regionale. Il costo giornaliero medio è di 165.000 lire, a fronte di questo costo si chiede di intervenire all’anziano e al familiare esclusivamente per la quota di 75.000 lire giornaliere.
Anche la Valle d’Aosta è nella medesima situazione, con la sola differenza che gli enti locali non hanno alcun esborso perché è la Regione che interviene per conto loro. Infatti, se un utente non può raggiungere nemmeno con il concorso dei suoi parenti la cifra di 75.000 lire giornaliere, è la Regione che integra la differenza all’ente gestore, non il Comune di ultima residenza dell’anziano.
Inoltre la quota capitaria viene erogata dalla Regione non dall’USL, ma questa è la sola differenza con le altre regioni italiane. La suddivisione netta fra la quota sanitaria o capitaria e la quota alberghiera è una realtà comune ovunque, in tutte le regioni italiane.
Per dare un’idea complessiva della contribuzione regionale, si ricorda che la quota capitaria, come dicevo, è pari a 90.000 lire per un utente gravissimo, N3, a 72.000 lire per un utente mediamente grave, N2, e 36.000 lire per un utente non autosufficiente, N1. Dall’anno scorso, dal 2000, non eroghiamo più nulla agli enti locali per gli utenti ancora autosufficienti, N1, perché la politica regionale è quella che gli autosufficienti non devono essere inseriti nella struttura protetta.
Pertanto la delibera n. 3630 non è in contrasto con l’articolo 23 della Costituzione, o con la normativa civilistica in materia alimentare, per la semplice ragione che riguarda altra materia.
Inoltre non vi è alcun aggiramento di norme di legge, ma al contrario l’applicazione dell’articolo 3, comma 1, lett. b), n. 3 della legge regionale n. 13/1997, il Piano sociosanitario regionale in vigore - ed è questo probabilmente che sfugge al Consigliere Curtaz - che sancisce la competenza della Giunta regionale nel determinare le modalità di partecipazione degli utenti e dei loro familiari alle spese di funzionamento dei servizi socioassistenziali, gestiti sia direttamente sia da parte degli enti locali, in armonia peraltro con l’emanando atto di indirizzo e coordinamento in materia di integrazione sociosanitaria, che sta per uscire e che mi pare la Consigliera Squarzino abbia ampiamente dibattuto. L’articolo 3 della legge dice chiaramente che la Giunta regionale determina le modalità di partecipazione degli utenti e dei loro familiari alle spese di funzionamento e dei servizi socioassistenziali gestiti sia direttamente sia da parte degli enti locali. Questo vale per le microcomunità, ma vale per tutte le politiche sociali.
In conclusione, si ritiene che la posizione della Giunta regionale sia assolutamente rispettosa della legalità e niente affatto penalizzante per i nuclei familiari più deboli economicamente.
Aggiungo che vorrei capire qual è la posizione del gruppo dell’Ulivo su questa tematica, perché se qualcuno contesta la politica sociale che abbiamo cercato di portare avanti in questi anni, mi pare che possa contestarla su tutto, ma non sull'equità, che è stata alla base delle scelte della Giunta regionale e della maggioranza regionale. Equità che ha fatto dire sempre che paga chi può e non paga chi non può.
I dati statistici in nostro possesso dimostrano inequivocabilmente che così è, perché se è vero che non chiediamo l’integrazione ai parenti perché l’anziano ha o un reddito superiore a 2.250.000 lire al mese, e ce ne sono molti, e chiediamo all’anziano stesso di contribuire fino a 3.500.000 lire al mese se ha pensioni superiori a 3.500.000 lire, perché quello è il tetto massimo che abbiamo fissato, è di tutta evidenza che in questo caso non chiediamo l'integrazione ai familiari. È invece di tutta evidenza che la chiediamo nei casi in cui i familiari, facenti parte dello stato di famiglia anagrafico, non familiari estranei, risultano essere in possesso di reddito, e a loro si chiede di fare ciò che farebbero normalmente nella vita di tutti i giorni, applicando l’articolo 433 del Codice civile e mantenendo a casa loro l’anziano.
Teniamo presente che questa è la vera equità, perché nel 1993 quando abbiamo preso in mano questa materia, abbiamo constatato due cose: una, che vi era una non gestione politica degli anziani perché gli inserimenti in microcomunità erano avvenuti senza nessuna regola, o valutazione dell’UVG, ma su decisione dei sindaci o degli assessori comunali o, peggio ancora, dell’Assessore regionale alla sanità. Abbiamo voluto regolamentarla e l’abbiamo regolamentata con non poche difficoltà.
Seconda constatazione: moltissimi anziani risultavano senza reddito perché i familiari avevano provveduto il giorno prima agli atti di competenza per dimostrare che non erano più proprietari né di immobili né di altro. Se questa era equità?
Abbiamo mantenuto e continuiamo a mantenere, per i casi che sono ancora in vita, casi di soggetti miliardari economicamente e matrimonialmente, che hanno pagato nulla né alla Regione né all’ente locale.
Abbiamo invertito questo ordine e lo abbiamo esplicitato in legge regionale. Ma vi assicuro che gli interventi dei familiari sono assolutamente al di sotto del costo medio che sosterrebbero mantenendo l’anziano a casa, 100-150 mila lire al mese a fronte di situazioni assolutamente insostenibili. Questa è una posizione di equità di politiche sociali, che ci è stata invidiata in tutte le regioni, tant’è che continuo a ricevere dai colleghi assessori alle politiche sociali richieste di informazioni perché vogliono riprendere le nostre politiche.
Tutto può essere modificato, ma riteniamo che chi si lamenta, si lamenti perché vuole scaricare l’anziano. Questa è la politica che molti tendevano a fare. Così invece non vogliamo bloccare gli inserimenti nelle microcomunità in funzione del reddito, assolutamente è il contrario: al Refuge Père Laurent e al Bonifacio Festaz interveniamo per circa 300 milioni all’anno per raggiungere il minimo vitale agli anziani che non sono in grado di sopportare la retta. Continueremo a fare così; riteniamo che sia una materia complessa, però la domanda che pongo è quali politiche sociali vogliamo fare. Noi lo sappiamo chiaramente.
PrésidentLa parole au Conseiller Curtaz.
Curtaz (PVA-cU)Do atto all’Assessore che mi ha risposto in maniera esauriente, tuttavia non sono soddisfatto delle risposte che mi sono state date.
L’Assessore ha fatto una serie di ragionamenti: siamo partiti nel 1993 da una situazione disastrosa, dice l’Assessore, e oggi dopo 7-8 anni abbiamo una situazione meglio definita, c’è una legge, in tutte le microcomunità si applicano le stesse normative, eccetera. Non ho difficoltà a dare atto che in questo senso sono stati fatti dei passi avanti.
Là dove non sono soddisfatto è sul merito della questione, perché al problema politico che ho posto, che è quello della sostanziale e parziale iniquità di questa normativa, non è stata data una risposta convincente. È vero, e l’Assessore lo ha ribadito - ma lo avevo anticipato io prima di lui - che ci sono dei meccanismi correttivi per evitare alle persone più bisognose di contribuire in maniera forte, come possono contribuire persone con reddito più elevato, ma vi sono alcuni casi in cui l'impegno per i parenti è pesante! E questo è un punto che ci dobbiamo porre, perché ci sono due profili; uno è quello della sostanzialità dell'equità, perché a volte quello che sembra dal punto di vista formale giusto, dal punto di vista sostanziale si rivela ingiusto; spesso dare la stessa soluzione a due situazioni diverse significa penalizzare una persona piuttosto che un’altra.
È vero che viene chiesto un contributo compatibile teoricamente ad un reddito, ma bisogna anche tener conto che spesso delle persone hanno dei problemi, devono pagare dei mutui, hanno da fare degli investimenti, hanno figli all’università, quindi diventa pesante questa contribuzione in più che devono attingere ogni mese dal loro reddito.
Capisco l’Assessore quando dice dal punto di vista morale che è giusto che certi parenti, soprattutto più prossimi, si occupino dei genitori anziani, questa è una cosa che personalmente sento molto. Anch’io, nel mio piccolo, quando ho potuto ho fatto l’impossibile perché gli anziani non andassero nella microcomunità, ma stessero nella casa di famiglia. Tutti noi abbiamo questa aspettativa per noi, oltre che per i nostri ascendenti. Però, da qui a renderlo un obbligo, secondo me ce ne passa e il meccanismo che è stato studiato è proprio quello non trasparente di far credere alla gente che l'integrazione sia un obbligo. Le voglio fare una domanda, Assessore, e secondo me qui casca l’asino: se io, figlio, tenuto a contribuire, non sottoscrivo l’obbligo di integrare la mia quota - se lo sottoscrivo, ripeto, è come una fideiussione, peggio per me, non lo dovevo fare -, quale atteggiamento avrà la microcomunità nei confronti dell’anziano? Non entra! Ma questo è gravissimo?
(interruzione dell’Assessore Vicquéry, fuori microfono)
? ma questo è gravissimo, perché la tutela prevista dalla legge deve essere indirizzata non al parente che non deve tenersi a carico l’anziano, ma all’anziano. Il tutelato è l’anziano! Quindi sono questi i meccanismi sui quali invito l’Amministrazione a riflettere, perché a mio giudizio quello che è un meccanismo che dal punto di vista formale sta in piedi, dal punto di vista sostanziale è un meccanismo che crea dei problemi e delle iniquità.
Non ho la forza fisica di instaurare un contraddittorio sulle interpretazioni giuridiche che l’Assessore ha dato circa gli obblighi dei parenti, eccetera, però se l’Assessore lo vorrà, gli fornirò un elenco di pronunce di tutti: dirigenti dei ministeri, Coreco, TAR, tribunali civili, che ribadiscono quella che è una cosa dal mio punto di vista lapalissiana, che i parenti sono sì tenuti ai sensi dell’articolo 433 del Codice civile a contribuire al sostentamento dei propri parenti, ma nessuno, tanto meno un ente pubblico, un ente privato o una microcomunità può surrogarsi a questi anziani e venire a chiedere dei soldi ai parenti. E invece è proprio non tenendo conto di questo principio, che la Giunta attraverso le sue delibere, e io direi prima ancora con la legge regionale deroga ai principi generali civilistici previsti dall’ordinamento giuridico. In definitiva, la gente è convinta che questo sia un obbligo giuridico indiscutibile e paga, però paga male! Allora bisognerebbe spiegargli bene le cose!