Oggetto del Consiglio n. 324 del 10 gennaio 2019 - Verbale

Oggetto n. 324/XV del 10/01/2019

REIEZIONE DI MOZIONE: "IMPEGNO PER LA MODIFICA DEL BANDO DI CONCORSO PER LA PARTECIPAZIONE AL FONDO PER IL SOSTEGNO ALL'ACCESSO ALLE ABITAZIONI IN LOCAZIONE PER L'ANNO 2018".

Il Vicepresidente ROLLANDIN dichiara aperta la discussione sulla mozione indicata in oggetto, presentata dalla Consigliera PULZ e iscritta al punto 54 dell'ordine del giorno dell'adunanza.

Illustra la Consigliera PULZ.

Intervengono l'Assessore alle opere pubbliche, territorio ed edilizia residenziale pubblica, BORRELLO, e il Consigliere MANFRIN.

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Si dà atto che dalle ore 20,00 riassume la presidenza il Presidente RINI.

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Prendono la parola i Consiglieri SPELGATTI e BERTIN.

Replica la Consigliera PULZ.

IL CONSIGLIO

- con voti favorevoli tre e voti contrari sette (presenti: trentaquattro; votanti: dieci; astenuti: ventiquattro, i Consiglieri BACCEGA, BERTSCHY, BIANCHI, BORRELLO, CERTAN, CHATRIAN, COGNETTA, DAUDRY, FARCOZ, FOSSON, GERANDIN, MARQUIS, MORELLI, MOSSA, NASSO, NOGARA, RESTANO, RINI, ROLLANDIN, RUSSO, SORBARA, TESTOLIN, VESAN e VIÉRIN);

NON APPROVA

la sottoriportata

MOZIONE

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA VALLE D'AOSTA/VALLÉE D'AOSTE

RICHIAMATA la DGR n. 1580 del 07/12/2018 "Bando pubblico di concorso per la partecipazione al fondo per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione (art. 11, l. 431/98 e art. 12 della l.r. 3/2013) per l'anno 2018. Approvazione disposizioni attuative";

EVIDENZIATO che tale provvedimento:

- è stato assunto da una Giunta di fatto politicamente delegittimata;

- pare asservito a obiettivi di propaganda politica anziché teso al bene dei cittadini (Cfr. Comunicato stampa gruppo consiliare Lega VdA: "Bando affitti? Prima i nostri cittadini!" http://www.consiglio.regione.vda.it/fr/app/comunicatigruppi/dettaglio?id=15381).

DATO ATTO che su tale provvedimento incombono forti dubbi di legittimità, sia sul piano amministrativo che costituzionale. In particolare:

I - rispetto all'introduzione di un requisito aggiuntivo per i cittadini non UE, consistente nella titolarità del c.d. permesso di lunga durata, si rileva che:

- tra i requisiti per il rilascio del permesso per soggiornanti di lungo periodo c'è anche la residenza per almeno 5 anni nel territorio dello Stato, termine temporale già bocciato dalla corte costituzionale nella sentenza 166/2018(il punto 7 della sentenza 166/2018 prevede che: "[?] Trattandosi di una provvidenza che, alla luce della scarsità delle risorse destinabili alle politiche sociali nell’attuale contesto storico, viene riservata a casi di vera e propria indigenza, non si può ravvisare alcuna ragionevole correlazione tra il soddisfacimento dei bisogni abitativi primari della persona che versi in condizioni di povertà e sia insediata nel territorio regionale e la lunga protrazione nel tempo di tale radicamento territoriale");

- la legge nazionale a cui fa riferimento il bando non prevede tale requisito. Ogni norma che implichi distinzioni fra varie categorie di persone in ragione della cittadinanza e della residenza per regolare l’accesso alle prestazioni sociali deve pur sempre rispondere al principio di ragionevolezza ex art. 3 della Costituzione. Come ha ribadito la Corte Costituzionale, tale principio può ritenersi rispettato solo qualora esista una "causa normativa" della differenziazione, che sia giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio (sentenza n. 107 del 2018). Una simile ragionevole causa normativa può in astratto consistere nella richiesta di un titolo che dimostri il carattere non episodico o di breve durata della permanenza sul territorio dello Stato: più specificamente, in relazione al requisito della residenza qualificata, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 222 del 2013, ha ritenuto che le politiche sociali dirette al soddisfacimento dei bisogni abitativi possono prendere in considerazione un radicamento territoriale ulteriore rispetto alla semplice residenza purché contenuto in limiti non palesemente arbitrari o irragionevoli. Ma non altri. Anche facendo riferimento alla sola normativa regionale, il requisito sarebbe comunque illegittimo perché non si può condizionare un sostegno al reddito a un permesso di soggiorno che a sua volta richiede un reddito minimo. La stessa Corte costituzionale, nella sentenza 166/2018, ritiene che le politiche sociali dirette al soddisfacimento dei bisogni abitativi "possono prendere in considerazione un radicamento territoriale ulteriore rispetto alla semplice residenza, purché contenuto in limiti non palesemente arbitrari o irragionevoli", come è stato ritenuto quello - previsto dall’articolo 11, comma 13, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133 – che prevedeva la residenza da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella medesima regione - ma non legittima la lettura secondo cui tale radicamento territoriale debba essere associato, come è per i titolari del permesso di lunga durata, a ulteriori requisiti, quali un reddito minimo, l’aver superato il test di conoscenza della lingua italiana e l'idoneità alloggiativa;

- in base al bando di cui in oggetto, si potrebbe avere una situazione limite in cui lo straniero potrebbe essere residente da oltre 5 anni – e quindi in contrasto con il limite massimo dei 5 anni previsto dalla cit. sentenza C. Cost. n. 166/18 -, ma ancora in attesa del rilascio del permesso di lunga durata, per lungaggini burocratiche, sospensioni del requisito del reddito, impossibilità a sostenere i costi della pratica o altre problematicità;

- la norma in oggetto pare illegittima poiché comporta una diversa valutazione del radicamento territoriale del richiedente la prestazione a seconda della cittadinanza dello stesso (si rammenta, in proposito, che la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella decisione del caso Kamberaj - sentenza 24 aprile 2012, in causa C-571/10 -, vertente sulla esclusione dello straniero dall’accesso a una prestazione di ugual natura rispetto a quella di cui si discute, ha stabilito che la disciplina del contributo al pagamento del canone di locazione dei conduttori meno abbienti vada letta alla luce dell’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, che riconosce il diritto all’assistenza sociale e all’assistenza abitativa);

- si tratta di una misura polifunzionale, la cui ratio è quella di sostenere gli indigenti al fine di consentire loro di soddisfare le esigenze abitative mediante ricorso al mercato e prevenire il rischio di sfratti per morosità. Come confermato dalla citata sentenza della Corte Costituzionale, nello stabilire i requisiti per l’accesso a tale prestazione e indipendentemente dal fatto che ad essa debba essere riconosciuto carattere "essenziale", il legislatore deve rispettare i canoni della ragionevolezza: tali canoni nella specie si ritengono violati, in quanto non si potrebbe ravvisare alcuna ragionevole correlazione tra il possesso di un particolare titolo di soggiorno e la situazione di disagio economico che il contributo in questione mira ad alleviare;

- il divieto di discriminazione prevede anche l’ipotesi di esclusione non di tutti gli stranieri, ma degli stranieri privi di un determinato titolo di soggiorno: per aversi discriminazione non è necessario che siano esclusi tutti gli appartenenti al gruppo protetto (tutti gli stranieri), ma è sufficiente che gli esclusi siano tutti appartenenti al gruppo protetto perché vi è intima connessione tra il criterio selettivo (il titolo di soggiorno) e il fattore protetto dall’ordinamento (la nazionalità). (Cfr. sentenza di Cassazione 8.5.17 n. 11166 che ha espressamente qualificato come discriminazione l'esclusione dei nonlungosoggiornanti dall’accesso all’assegno famiglie numerose, in contrasto con l’art. 12 direttiva 2003/109).

II - Rispetto alla dimostrazione dei requisiti e all'impossibilità, prevista esclusivamente per i cittadini non italiani, di usufruire della dichiarazione sostitutiva, si rileva che:

- il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 159/2013, che regola l'ISEE, ha superato la disposizione di cui all’articolo 3 del d.p.r. 445/2000, in ogni caso contrastante con l'articolo 3, comma 5, del d.lgs. 286/1998 (fonte sovraordinata rispetto al d.p.r. 445/2000). Il DPCM disciplina infatti i criteri di accesso alle prestazioni sociali agevolate prevedendo che le regole ivi stabilite costituiscono "livello essenziale delle prestazioni" ai sensi dell'art. 117 della Costituzione e, dunque, tutte le Amministrazioni, allorché erogano una prestazione sociale, sono tenute ad attenersi ai criteri ivi indicati. Ebbene, la procedura ISEE è articolata in una DSU - Dichiarazione Sostitutiva Unica (di provenienza dell'interessato) redatta con modalità che non prevedono alcuna distinzione tra italiani e stranieri, tanto è vero che neppure i moduli allegati al DPCM prevedono una simile distinzione: lo straniero è infatti abilitato a inserire nella DSU la dichiarazione di "impossidenza" di beni all'estero. Alla DSU seguono (ai sensi dell’art. 2, comma 6 DPCM) le verifiche di INPS e Agenzia dell'Entrate e infine il rilascio dell'ISEE, che non costituisce quindi autocertificazione ma attestazione pubblica del livello di reddito ai fini appunto dell’accesso a prestazioni sociali agevolate;

- l'Amministrazione regionale non ha dunque alcun potere di inserirsi in un procedimento stabilito in sede statale e ritenerlo insufficiente, gravando così il solo immigrato di oneri eccedenti ciò che, per lo Stato, costituisce "livello essenziali delle prestazioni".A ciò si aggiunga che la pretesa del bando regionale è anche iniqua, perché in molti casi lo Stato di provenienza non ha possibilità di fornire le attestazioni richieste per mancanza di un sistema di catasto o di registri, nonché illogica, perché le possibilità di controllo dello Stato sulle dichiarazioni di italiani e stranieri inerenti le proprietà all'estero sono assolutamente le stesse: anzi, molte convenzioni con Stati di provenienza dei migranti prevedono espressamente uno scambio di informazioni che agevola gli eventuali controlli sulle eventuali dichiarazioni di "impossidenza" che il migrante può rendere in sede di DSU (si vedano, ad esempio, le Convenzioni con la Costa d'Avorio del 30 luglio 1982 ratificata in Italia il 27 maggio 1985 con legge n. 293 o con il Senegal firmata a Roma il 20 luglio 1998 e ratificata con legge n. 417 il 20 dicembre 2000). In un sistema così costruito, la qualifica di cittadino o invece di straniero (comunitario o extracomunitario) è del tutto indifferente, sempre che si dia (come deve darsi perché il DPCM trovi generale applicazione) il requisito della residenza: tutti infatti, cittadini e stranieri residenti, sono soggetti alla medesima disciplina fiscale e su tutti l’amministrazione finanziaria è in grado di raccogliere le medesime informazioni a mezzo degli stessi riscontri sui dati formalizzati, che è quanto rileva ai fini del rilascio dell'ISEE;

- il trattamento deteriore di un gruppo di residenti in conseguenza, non solo della loro provenienza nazionale, ma in effetto della loro origine etnica realizza quindi, in una parola, una discriminazione per origine etnica, vietata non solo dal d.lgs 286/1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), ma anche e specificamente dalla direttiva 2000/43 dell’Unione, che afferma il principio di parità di trattamento, per quel che qui interessa, "per quanto attiene [?] e) alla protezione sociale, comprese la sicurezza sociale e l'assistenza sanitaria; f) alle prestazioni sociali; g) all'istruzione; h) all'accesso a beni e servizi e alla loro fornitura, incluso l'alloggio". Direttiva attuata nel nostro ordinamento dal d.lgs 215/2003, ma che, quanto all’affermazione del principio di non discriminazione, sancisce comunque, per una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia, un principio suscettibile di immediata applicazione negli ordinamenti degli Stati membri;

EVIDENZIATO, inoltre, che l'irrazionalità della norma e il suo carattere vessatorio sono anche dimostrate dal fatto di aver omesso la previsione di deroghe rispetto a casi particolari (permessi per motivi umanitari o permesso di soggiorno per asilo politico, oggettiva e manifesta impossibilità di recuperare la documentazione richiesta);

RICHIAMATA la recente sentenza con cui il TAR di Milano ha accertato la condotta discriminatoria del Comune di Lodi, ordinando a tale ente di modificare il Regolamento per consentire ai cittadini non appartenenti all’Unione Europea di presentare la domanda di accesso ai servizi, alle stesse condizioni previste per i cittadini italiani e dell’Unione Europea in generale, ossia in base alla dichiarazione ISEE, e condannando l'amministrazione al pagamento delle spese;

RAMMENTATO al Governo regionale che il perseguire una condotta probabilmente illegittima, foriera di ricorsi e connesse richieste di risarcimento danni, comporta una responsabilità, almeno morale, nei confronti dei cittadini valdostani nonché l'obbligo di una gestione oculata delle risorse pubbliche;

DATO ATTO, infine, che diverse associazioni della società civile hanno condannato il provvedimento discriminatorio, richiedendone una sollecita e radicale modifica;

IMPEGNA

la Giunta regionale a modificare il Bando di concorso 2018 per il Fondo di sostegno per l’anno 2018, approvato con la DGR n. 1580/18, come segue:

a) riaprire, per tutti i potenziali richiedenti, i termini di presentazione delle domande, prevedendo una nuova scadenza a lunedì 11/02/2019;

b) relativamente all'art. 2 (requisiti): per i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, il requisito aggiuntivo del permesso di soggiorno o titolo di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è sostituito con la titolarità di un valido permesso o titolo di soggiorno;

c) relativamente all'art. 4 (dimostrazione dei requisiti), abrogare il seguente periodo: "I cittadini di Stati appartenenti all'Unione europea (con esclusione dell’Italia) e i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea, ai sensi dell’articolo 3, comma 4, del DPR 28 dicembre 2000, n. 445, non potranno rilasciare solo dichiarazione sostitutiva in merito alle proprietà a destinazione abitativa ubicate all'estero, ma dovranno produrre relativa documentazione riguardante attestazioni o certificati in corso di validità, rilasciata dalla competente autorità dello Stato estero stesso, corredata da traduzione in lingua italiana autenticata dall’autorità consolare italiana che ne attesti la conformità all'originale. I soggetti titolari di proprietà in Italia o all’estero assegnate in sede di separazione giudiziale al coniuge, nonché i titolari pro-quota di diritti reali, dovranno essere in possesso, al momento della presentazione della domanda al presente bando o in fase di presentazione delle integrazioni, dell’attestazione di indisponibilità dell’alloggio. La predetta documentazione dovrà riguardare la condizione di cui al presente punto con riferimento alla data del bando e deve essere presentata, se non allegata alla domanda, entro e non oltre il 28 febbraio 2019, pena l’esclusione dalla procedura".

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