Oggetto del Consiglio n. 2727 del 9 maggio 2017 - Resoconto
OGGETTO N. 2727/XIV - Interpellanza: "Riorganizzazione dell'attività chirurgica al fine della riduzione delle liste d'attesa".
Rosset (Presidente) - Punto n. 14 all'ordine del giorno. Ha chiesto la parola il consigliere Guichardaz, ne ha facoltà.
Guichardaz (PD-SIN.VDA) - Credo che il tema delle liste di attesa sia tra i più discussi e trasversali in assoluto in qualunque consesso politico. Anche nel nostro Consiglio regionale se ne è parlato frequentemente: ancora qualche settimana fa il consigliere Cognetta e prima di lui la consigliera Morelli ne hanno accennato e ci hanno ricordato che esiste un problema di tempi di attesa troppo lunghi per talune prestazioni sanitarie. A volte la questione si pone in termini di percezione, altre volte invece rappresenta un problema reale, tale da costringere l'utente a rivolgersi al privato, sia a quello privato-privato, sia a quello accreditato, sia addirittura al professionista pubblico, ma in regime di libera professione.
Dicevo che a volte la questione si pone in termini di percezione, con ciò significando che non sempre l'urgenza dell'interessato corrisponde effettivamente a una reale urgenza della prestazione. Il fatto che sia generalmente riconosciuto il concetto di urgenza della prestazione, significa che alcuni interventi o accertamenti possono anche essere posticipati senza conseguenze particolari sullo stato di salute dell'interessato, così da permettere di dedicare le più grandi attenzioni a quelli che, se troppo dilazionati, potrebbero peggiorare il proprio stato di salute o addirittura indurre a situazioni di danno irreversibile.
Non sono un medico, ma so che esistono o che dovrebbero esistere un po' dappertutto protocolli terapeutici ai quali attenersi per valutare l'indifferibilità di una prestazione urgente, o la sua posticipazione nel caso di prestazioni meno urgenti. Leggo di classi di priorità sia nella fase prescrittiva, sia in quella di prenotazione: le famose "prestazioni urgenti". Non so se i colleghi hanno mai sentito nominare le "differibili" e le "programmate", parlando delle prestazioni in questo caso diagnostiche terapeutiche in regime ambulatoriale, o delle varie classi di priorità dei ricoveri cosiddetti "programmati". La più urgente è la classe A, entro trenta giorni: sono quelle prestazioni per le quali si avverte dolore, che non è possibile prorogare oltre; poi centottanta giorni per le prestazioni della classe C, fino a un massimo di dodici mesi - così è scritto sui protocolli - per i ricoveri per quei casi che non provocano dolore e che in qualche modo non generano disabilità.
In una logica di governo delle prestazioni è assolutamente ragionevole identificare classi di priorità, cioè distinguere tra l'urgenza e la differibilità. Ma se non vi è la possibilità di uniformare realmente i criteri in uso tra i prescrittori, se continua a esistere un'alea di autonomia valutativa da parte del medico, se l'appropriatezza della prestazione resta un concetto individuale, come è giusto che sia - si parla tanto di autonomia delle professioni: figuriamoci se questa non riguarda i professionisti sanitari - se spesso prevale nel medico e nel prescrittore l'idea di una medicina difensiva che li scarichi anche da responsabilità evitabili, il concetto di urgenza rischia di essere più il problema che la soluzione. Rischia cioè di ingenerare un circolo vizioso che dilata cronicamente i tempi di attesa ma, caso strano, solo di alcune prestazioni, a prescindere dalle reali necessità organizzative e di approccio alla prestazione. Mi spiego meglio. Se si giustificano con la scusa della priorità le dilatazioni delle liste di attesa o i differimenti a tempi più opportuni di una prestazione a discapito di un'altra, non sempre si fa l'interesse dell'utente che è, e deve essere, sempre al centro delle nostre preoccupazioni. Piuttosto si rischia di fare l'interesse del privato o del pubblico in regime di libera professione, per essere chiari.
Questo è un dibattito che ascoltiamo da sempre, ma da cui non usciamo praticamente mai: io lo sento praticamente da vent'anni. È possibile, mi chiedo, che per fare un esame o, peggio, un ricovero di un certo tipo, mi ci vogliano dei mesi e a volte più di un anno, mentre se lo faccio in privato, nel convenzionato magari, con lo stesso professionista che è quello che magari mi inserisce pure nelle liste d'attesa, ma in regime di libera professione intramuraria, me la cavo in pochi giorni? Guardate che vale lo stesso anche per le prestazioni in ricovero con la libera professione, perché esiste anche la possibilità di farsi ricoverare e operare, ma il concetto di priorità, di appropriatezza in questo caso non vale. Com'è che lo stesso professionista accetta che la mia prestazione sia inserita in liste di attesa chilometriche e poi, senza problemi, mi accoglie nel suo studio, spesso lo stesso usato per l'attività istituzionale, magari il giorno dopo, e riesca pure ad accelerare un ricovero, così sfuggendo ai criteri di differibilità e di urgenza che valgono per tutti i comuni mortali?
È una questione di equità e di parità di accesso. E siccome tutti noi partecipiamo, in modo proporzionale, attraverso le nostre tasse, al sostentamento del sistema sanitario nazionale e regionale, io credo che la soluzione vada trovata mettendo ciascuna struttura e ciascun professionista nella condizione di meglio operare. Certo, si tratta di uniformare in qualche modo le procedure di accesso, ma senza costringere i prescrittori e chi gestisce le liste d'attesa - perché non sono sempre i medici: a volte sono i CUP e gli amministrativi - a rinvii o dilazioni, dovuti magari solo a meccanismi a volte non voluti - non voglio sempre metterci della cattiva fede - che favoriscono il ricorso alla libera professione, in quanto l'attività istituzionale è svolta in tempi non consoni e spesso improponibili.
Mi riferisco in particolare in questa interpellanza ai ricoveri per alcune prestazioni chirurgiche, che arrivano addirittura a 530 giorni di attesa! Non posso negare di essere stato interpellato da persone che si sono dovute aggiustare diversamente, una addirittura recandosi fuori Valle per un'operazione di tonsillectomia, che le impediva di andare a lavorare a causa delle febbri continue e ricorrenti. Chi ne capisce qualcosa mi può insegnare che le infezioni alle tonsille possono avere gravi controindicazioni, anche di tipo cardiaco. A un'altra persona che mi ha contattato, per un'ernia inguinale le hanno prospettato un anno e mezzo di lista d'attesa. Va tutto bene, ma mi chiedo se questi famosi limiti dei dodici mesi oltre i quali non si dovrebbe andare, valgono per tutti o per certe prestazioni no.
Sono consapevole che a volte la mancanza di professionisti possa cagionare problemi alle liste d'attesa, ma francamente è la prima volta che sento parlare di mancanza di chirurghi. Non mi pare che manchino i chirurghi che operano in chirurgia generale, in chirurgia d'urgenza e tantomeno i chirurghi vascolari. Per fare una legatura delle vene varicose ci vogliono quattro mesi: abbiamo dieci chirurghi vascolari! So, perché bazzico nel mondo della sanità da diversi anni, di sale operatorie tolte ad alcune categorie di professionisti, per lasciare spazio ad altre evidentemente più importanti e, malgrado ciò, si assiste a una progressiva dilatazione delle liste d'attesa in genere. Basta scaricare i rapporti quadrimestrali per vedere che si va di male in peggio su questo versante. Capisco la situazione della dermatologia e dell'oculistica che pagano, o hanno pagato, scelte organizzative programmatorie magari non previste, che sono in una fase di ricostruzione dei loro organici. Però, nella maggior parte dei casi, io penso che manchi del tutto una spiegazione razionale a questa situazione oramai incancrenita, come cercavo di dire prima. Situazioni che portano poi a un susseguirsi di tempi di intervento, che diventano inaccettabili, dilatati, difficili da recuperare, malgrado nei protocolli si dica che ogni anno bisognerebbe azzerare le liste d'attesa e resettarle.
Lo dico con molta serenità: spesso vi è un problema di governance, di capacità di direzione. Spesso la politica si infila inopportunamente in scelte che non gli competono, a volte anche di tipo tecnico, direttivo: la questione dei primari graditi o meno è una vecchia storia. La invito, Assessore, a lasciare quindi da parte, nella scelta anche di chi governa la sanità e degli stessi primari, la logica dell'amico o del nemico della politica di turno, per concentrarsi sulla necessità di dare un servizio universale buono per tutti con le medesime opportunità. Non deve essere che uno si senta più fortunato ad avere una patologia rispetto a un altro, perché i medici o il primario sono più bravi a mantenere contenute le liste d'attesa. È una follia, è una cosa che non ha nessuna ragion d'essere. È un problema di difficile soluzione, ma se intanto si ha contezza dei dati e degli eventuali problemi di carattere gestionale, si può quantomeno pensare di partire da un certo punto, senza andare alla cieca dietro al sentito dire di qualcuno che a volte è più convincente di altri.
Presidente - Ha chiesto la parola l'assessore Bertschy, ne ha facoltà.
Bertschy (UVP) - Grazie, collega Guichardaz. Prima di venire alla risposta puntuale delle domande che ha posto con la sua interpellanza, faccio una considerazione di tipo generale. Io credo che siamo in un momento giusto e anche importante di approfondimento e di messa in trasparenza del nostro modello sanitario. Usciamo da una fase nella quale abbiamo subito, attraverso la crisi, forti tagli alla nostra sanità. È una fase che ha messo in discussione un modello che si reggeva sicuramente sulla qualità delle persone che ci lavoravano, ma anche sulla possibilità di contare su risorse in quel campo, come in altri, che hanno permesso di mantenere alti livelli, ma non sempre di valutare l'efficienza puntuale di ogni modello e di ogni settore. In questo senso, non solo accolgo positivamente la sua interpellanza, ma dico che sta nella traccia e nella visione che da qualche tempo stiamo cercando tutti insieme, credo, qui in Consiglio regionale di portare avanti.
Sanità vuol dire per il bilancio regionale risorse importanti assegnate all'azienda: l'abbiamo ribadito in ogni occasione. Un quarto del nostro bilancio va a sostenere i bisogni dei nostri cittadini e a finanziare l'azienda pubblica che dovrebbe e - possiamo anche dirlo - che dà la risposta ai bisogni primari. Certamente come per ogni modello, soprattutto dopo una fase così delicata, c'è bisogno di intervenire, riorganizzare e ripensare quello che può andare meglio.
L'idea e il modo con il quale vorrei lavorare insieme al Governo e a chi vorrà approfondire questi temi, è di rendere il più trasparente possibile tutto quello che ruota intorno a queste importanti assegnazioni di risorse e a questo modello di risposta. Abbiamo necessità che i cittadini comprendano le cose che funzionano, però anche di rendere trasparenti i punti sui quali dobbiamo migliorare e rendere chiari, a mio avviso, diritti e doveri di ambo le parti. Per chi ha da esigere una prestazione - lei lo ha detto bene - le priorità cliniche sono individuate attraverso dei protocolli: trenta, sessanta, centottanta giorni, un anno. Abbiamo prestazioni, tante, che vanno oltre i trecentosessantacinque giorni. Quindi dobbiamo dare una risposta a che cosa non funziona nel sistema, e non nel caso singolo, perché credo che siamo tutti d'accordo che dobbiamo organizzare e intervenire sul sistema. Colgo l'occasione per dirle chiaramente che, forse mai come questa volta, sono pochi e conosciuti i nomi e i cognomi di chi opera in ospedale, per cui c'è la volontà di aiutare le persone che lavorano in questo settore così delicato a poter far bene il proprio lavoro, ma anche a responsabilizzare tutti su quanto dobbiamo fare per migliorare la situazione attuale; io credo che le cose possano andare insieme. Abbiamo i dati 2016, sui quali si può cominciare a fare un lavoro serio di approfondimento e di discussione nella Commissione deputata, con coloro che hanno responsabilità all'interno dell'azienda di governare questi dati. Lo si deve ai cittadini che stanno aspettando e anche a coloro che operano all'interno dell'azienda, perché ci possano dire quali sono le criticità, se ci sono. Per sapere come la politica può aiutare a risolvere questi problemi e se ci sono problemi di tipo finanziario. Per capire come la politica debba operare per far sì che, attraverso l'azienda, si diano le migliori risposte e chi opera all'interno dell'azienda sappia farlo.
Vengo alle questioni puntuali che mi pone. La prima: "quali sono le strutture che utilizzano le sale operatorie e come queste siano organizzate". Lavoriamo su due presìdi (Parini e Beauregard) e questo è comunque un limite a livello organizzativo, perché sappiamo che impone un numero maggiore di anestesisti e costi maggiori. È un ritardo della politica, il fatto di non essere ancora riusciti a mettere in condizione i nostri professionisti di poter operare in un unico presidio. Le strutture sono Chirurgia generale, Chirurgia vascolare, Urologia, Chirurgia toracica, Ortopedia, Otorino, Neurochirurgia, Oculistica, Ginecologia, Terapia antalgica. La distribuzione delle sedute è gestita dal direttore della struttura complessa di anestesia, in accordo con il direttore del dipartimento delle chirurgie cardiovascolari. Le risposta che le do - credo sia scontato dirlo - derivano da chi opera all'interno dell'azienda, quindi io riporto i dati, di modo che poi li potremo elaborare anche in termini di riflessioni e di programmazione. Da settembre 2016 la struttura di programmazione è diventata più dinamica ed elastica, nel senso che c'è un'attenzione, oltre alle assegnazioni fisse di un numero di operazioni, anche per quelle liste di attesa più importanti, in modo da poter assegnare un numero di interventi maggiore alle liste di attesa più lunghe. Probabilmente avremo un problema nel prossimo periodo legato al numero di anestesisti presenti, perché a una dotazione e a un fabbisogno che ci viene richiesto di circa quarantacinque anestesisti, oggi siamo a trentacinque. C'è un concorso nel prossimo periodo e si sono presentati a oggi cinque anestesisti, che speriamo si presentino anche a fare il concorso.
"Qual è attualmente l'organico della Struttura Complessa di Chirurgia Generale e delle Strutture che utilizzano a qualsiasi titolo le sale operatorie". La struttura di Chirurgia generale ha venti dirigenti medici, la struttura di Urologia ha sette dirigenti medici, la struttura di Otorino ha otto dirigenti - poi le fornirò la risposta cartacea con questi dati, se ne ha bisogno - la struttura Chirurgia toracica cinque dirigenti, struttura Oculistica nove dirigenti, struttura di Ortopedia e Traumatologia undici dirigenti, struttura Chirurgia vascolare, endovascolare e angiologia nove dirigenti sanitari medici, struttura di Ostetricia e ginecologia dodici dirigenti (all'interno ci sono cinque medici che operano con lavoro a tempo determinato), in Anestesia e rianimazione trentacinque dirigenti, Terapia del dolore due dirigenti, l'attività di Neurochirurgia, in convenzione con Alessandria, ha tre medici che operano in regime di contratto di libera professione. Attualmente nella dotazione organica dell'azienda risultano vacanti cinquantuno posti di dirigente sanitario medico.
"Qual è il carico di attività per ciascuna struttura e chirurgo". Rispetto a questo, non abbiamo ancora i dati elaborati del primo quadrimestre del 2017, ma le fornirei copia dei dati 2016, perché mettermi a elencarli a voce non credo sia necessario. C'è da considerare che c'è stato tra il terzo e il quarto quadrimestre 2016 un aumento dell'attività delle sale operatorie e il dato 2017 potrà tenere conto anche degli interventi di ogni chirurgo. Quindi avremo la possibilità di identificare, oltre agli interventi di ogni settore, anche quelli di ogni chirurgo, in modo da poter anche qui fare un ragionamento tenendo in conto tutti gli elementi.
Infine: "se vi è l'intenzione di riorganizzare l'attività chirurgica in modo tale da produrre una riduzione delle liste d'attesa e soprattutto un uso ottimale delle strutture". È una domanda molto ambiziosa. Evidentemente l'obiettivo è questo, attraverso una nuova governance, attraverso una visione chiara e anche attraverso la possibilità di poter contare su risorse che oggi sono quelle del bilancio, ma che vedremo se saranno sufficienti a coprire i bisogni e le priorità. È anche in questo senso che, a mio avviso, va data trasparenza al lavoro da fare, perché si possa capire se è un problema legato all'organizzazione, se è un problema legato all'efficacia e alla redditività del lavoro, o se è un problema anche di risorse. Però evidentemente c'è l'intenzione di lavorare su questo tema: abbiamo già annunciato l'intenzione di lavorare a un piano regionale trasparente della riduzione delle liste d'attesa. In questo senso si tiene conto delle liste d'attesa degli interventi da fare all'interno dell'ospedale, come di tutta l'attività di visite, con la valutazione di come funzionino attualmente i sistemi di prenotazione, per far sì che ci sia la certezza che il pubblico dia la risposta più pronta, più efficiente, più rispondente ai bisogni e alle finanze che gli vengono assegnate, e che la scelta dell'utilizzo del privato avvenga attraverso convenzioni chiare, oppure scelte libere e personali del cittadino.
Presidente - Ha chiesto la parola il consigliere Guichardaz, ne ha facoltà.
Guichardaz (PD-SIN.VDA) - Io condivido assolutamente un processo di sensibilizzazione e di messa in trasparenza rispetto al tema delle liste d'attesa, che non riguarda solo il nostro Consiglio regionale, ma sul quale noi - tanto all'opposizione, quanto un po' più difficilmente in maggioranza, perché devo ammettere che in maggioranza è quasi più difficile incidere che non all'opposizione - siamo sempre stati abbastanza sensibili. Io non sono così sicuro che i problemi della sanità si risolvano solo ed esclusivamente mettendoci più soldi. Non ne sono assolutamente convinto, avendo anche un po' bazzicato, da un punto di vista sindacale. La sanità ha dei problemi altri, che non sono solo ed esclusivamente quelli relativi ai finanziamenti. Ha dei problemi legati anche alle organizzazioni, alle persone, a delle situazioni, anche interne, di governo incancrenite, che in alcuni casi spostano e aumentano il problema gestionale non per questioni economiche, ma di influenze dirette da parte di alcuni a discapito di altri. Lo dico anche perché esiste uno strano paradosso, per cui spesso e volentieri accedono alla libera professione, quindi alla possibilità di incrementare notevolmente i propri stipendi e le proprie retribuzioni, a volte addirittura con un raddoppio, paradossalmente non le persone che si comportano in modo più virtuoso, cioè che contengono le liste d'attesa, ma proprio coloro che dilatano tali liste. Non so se volutamente, ma purtroppo questa cosa è un meccanismo abbastanza perverso. Per cui se voi vi andate a guardare le indicazioni relative alle liste d'attesa, vi sono delle specialità che hanno liste d'attesa zero, per cui i professionisti poi, io penso, hanno poca possibilità di lavorare nella libera professione. Ve ne sono delle altre dove i professionisti e gli addetti utilizzano tantissimo la libera professione: operano in regime di intramuraria e a qualcuno perfino, come è successo - io ho fatto un 116 sulla recente assunzione di un primario - si dà la possibilità per diversi periodi magari di accedere e di poter fare la extramoenia fuori addirittura dalle strutture ospedaliere.
Io credo che qui vada fatta un'analisi attenta delle dinamiche interne. Esulando dalle influenze dei singoli primari, dei singoli direttori, bisogna che ci sia una struttura. Io non ho un consiglio da dare, non ho la soluzione. Però ci deve essere qualcuno che analizza i dati in maniera assolutamente oggettiva, perché non è possibile che quelli bravi non abbiano liste d'attesa e quindi fanno poca libera professione, mentre gli altri, che a volte si dipingono come dei mostri di bravura, fanno un sacco di libera professione, perché le liste d'attesa sono inspiegabilmente sforate. Liste di attesa di 530 giorni sono inspiegabili! Trecentosessanta, quattrocento giorni per togliere delle tonsille sono liste d'attesa inspiegabili!
La questione anestesisti, Assessore. Io l'altro giorno ho scritto un post per preannunciare le iniziative di oggi, ma in molti mi hanno risposto che non mancano gli anestesisti, così come non mancano i chirurghi vascolari o altri. Sono le scelte politiche che sono state fatte, di mettere magari gli anestesisti sul territorio; probabilmente basterebbe riportarli. Allora, apriamo un ragionamento laico, senza ascoltare sempre il Sindaco che è preoccupato, perché magari non ha all'interno del DERA l'anestesista. Credo che, in termini di presenza di anestesisti, la Valle d'Aosta sia prima nel mondo! Ne vogliamo assumere degli altri? Basterebbe riportarli, probabilmente, nelle sale operatorie e ragionare nei termini di coprire il territorio con medici che provengano magari dalle specialità medico territoriali. È vero, è un discorso difficile da affrontare, perché c'è la percezione che è meglio avere un anestesista che magari è in grado di intervenire in un certo modo, ma rimettiamoci intorno a un tavolo e cerchiamo di capire come mai in Alta Valle, dove non hanno gli anestesisti, non muore nessuno o non è morto nessuno fino adesso, malgrado ci sia comunque una necessità allo stesso modo della Bassa Valle.
Io penso che qui bisogna fare, bisogna mettersi nell'ottica di ragionare tutti insieme per risolvere un problema, fare una cabina di regia, cercare di esternarsi rispetto a delle logiche interne che purtroppo - lo dico con amarezza - da decenni determinano il governo della sanità, e non sempre nel bene di questa sanità.