Oggetto del Consiglio n. 2 del 12 febbraio 1966 - Verbale
OGGETTO N. 2/66 - COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, MARCOZ.
Il Presidente, MARCOZ, dichiara di essere lieto di constatare che sono stati accolti i suoi richiami fatti nella precedente seduta circa la questione dell'intervento in aula dei Consiglieri Gheis e Torrione.
Ritiene, però, che il problema della posizione dei due predetti Consiglieri debba essere definito perché, non essendogli pervenuta in merito alcuna comunicazione in via ufficiale, la non presenza odierna in aula dei Consiglieri Gheis e Torrione potrebbe anche essere occasionale.
Dichiara che intende dirigere i lavori del Consiglio con serenità e calma e auspica serenità e calma anche da parte dei Signori Consiglieri.
Fa presente che desidera soffermarsi brevemente su un fatto personale, di cui eviterebbe di parlare se tale fatto personale non fosse connesso con la sua carica di Presidente del Consiglio Regionale.
Ritiene doveroso da parte sua di fare alcune precisazioni sull'argomento, anche nell'interesse e per la salvaguardia del prestigio del Consiglio Regionale.
Dichiara quindi quanto segue:
"A coloro che hanno ritenuto di pubblicare, con una furberia di poco buon gusto, su un giornale locale, una mia fotografia di giovane imberbe che risale ad oltre 40 anni, al tempo cioè in cui imperava il fascismo, mi limito a dare questa semplice risposta: invito tutti coloro che possano avere un interesse a farlo a voler liberamente frugare, in lungo e in largo, sul mio passato di uomo politico di allora.
Non so se alcuni dei miei accusatori, - bisogna che lo dica perché già due volte ho sentito queste insinuazioni in Consiglio, insinuazioni che erano abbastanza palesemente rivolte alla mia persona -, non so, ripeto, se alcuni dei miei accusatori si sentiranno sicuri di sé nel fare altrettanto, cioè nel permettere questa indagine sul loro passato politico.
Non è la tessera politica che conta: la sola cosa essenziale che conta, quale che sia il regime politico contingente in cui si può essere condannati a vivere, è l'onestà. Per me, quella sola è la più alta e la più luminosa divisa".
(Seguono applausi da parte dei Consiglieri dei Gruppi della maggioranza).
Il Presidente, MARCOZ, comunica di dover ancora soffermarsi su un problema che è connesso con ciò che è avvenuto nella precedente seduta e con quanto deve essere deciso oggi dal Consiglio.
Fa presente che tale problema riguarda le accuse mosse con molta leggerezza nei confronti del Presidente del Consiglio Regionale, accuse che toccano indirettamente il prestigio del Consiglio, in quanto non potrebbe fare onore all'Assemblea Regionale un Presidente che commettesse dei soprusi e non osservasse le leggi.
Fa quindi le seguenti dichiarazioni:
"Sul problema della sospensione di cui all'articolo 270 del T.U. legge comunale e provinciale del 1934, sento il dovere di dire qualche parola ai Signori Consiglieri, di fare una dichiarazione di cui chiedo l'inserzione a verbale, poiché "scripta manent et verba volant".
Per me, per la mia coscienza, questo problema non è tanto difficile e tanto complesso come potrebbe apparire. Il problema, bisogna pure, ad un certo momento, avere il coraggio di dirlo, è un problema di costume politico prima ancora che un problema di natura giuridica.
Mi rafforza in questo mio convincimento un inciso che trovasi in un Trattato di diritto amministrativo e che suona in questo senso: "Un Consiglio Comunale o Provinciale ha occasione di occuparsi della sospensione dei membri del Consiglio in casi eccezionali e veramente unici, cioè allorquando il Consigliere incriminato non senta il dovere di astenersi spontaneamente dall'intervenire alle sedute".
Io vi invito a meditare le parole di cui sopra, perché nelle medesime è la spiegazione di come è stata formulata la convocazione rivolta ai Signori Gheis e Torrione.
Attraverso le parole di cui sopra abbiamo anche la piena conferma che si tratta di un problema di costume politico, che normalmente non si pone nemmeno, perché gli interessati traggono essi stessi le conseguenze della situazione in cui vengono a trovarsi in seguito ad un rinvio a giudizio per determinati reati contemplati dalla citata legge C.P. 1934.
Solo quando il costume politico non esiste più, e con esso è venuto meno il senso della dignità, il problema si trasforma in problema giuridico ed allora esso diventa un po' più complesso, ma non molto.
Anche il problema giuridico non è quel problema trascendentale che, pur nella selva selvaggia delle nostre leggi, si presenti insolubile; tutt'altro.
Vi dirò in proposito che, avendolo approfondito, sono convintissimo di aver trovato il giusto bandolo della matassa per la sua soluzione, che resta sempre quella già da me prospettata.
Io rimango, per le ragioni che vi dirò e che, per coloro che sono in buona fede saranno facilmente comprensibili, comprensibili soprattutto per i giuristi, del parere che la sospensione discende direttamente dalla legge ed opera di pieno diritto.
Deve discendere dalla legge la sospensione per il semplice motivo che il legislatore ha certissimamente voluto la giustizia e l'uguaglianza di trattamento di tutti i Consiglieri, di qualsiasi Consesso amministrativo, suscettibili dell'applicazione di una qualsiasi sanzione.
Non è concepibile che il legislatore abbia potuto permettere, anziché la realizzazione della giustizia e dell'uguaglianza, la possibilità, probabilissima nella pratica, del realizzarsi della iniquità e della discriminazione.
Infatti, non ha bisogno di essere dimostrato che, se la sospensione è operativa "ope legis", tutti i Consiglieri, sia di minoranza sia di maggioranza, che hanno commesso lo stesso reato, o comunque reati che comportino la stessa pena, sono automaticamente puniti con la medesima sanzione, se naturalmente la sanzione dicende dalla legge. Mentre, al contrario, se la sanzione viene decisa dal Consiglio, si può essere certissimi, a priori, che il Consigliere colpevole, il quale ha il conforto di una maggioranza alla quale appartiene, verrà esonerato da ogni sanzione.
Il Consigliere, invece, che sul piano della colpevolezza si trova nella stessa situazione del primo, per il solo fatto che ha alle sue spalle la minoranza alla quale appartiene, verrà colpito dalla sanzione votata contro di lui dalla maggioranza.
Poiché il legislatore non può aver voluto e nemmeno sognato mostruosità giuridiche di questo genere, che farebbero a pugni con il più elementare senso di giustizia, io continuo ad essere del parere, - anche se per avventura vi fossero opinioni contrarie in dottrina e in giurisprudenza -, che la sanzione della sospensione è automatica quando si verifica la condizione prevista dal citato articolo 270 della legge C.P. del 1934.
Non va inoltre dimenticato che, attraverso l'interpretazione da me data, cioè di una sospensione operativa "ope legis", si evita lo spettacolo ridanciano e grottesco di giudicabili che essi stessi decidano, per di più, con voto determinante, quando il margine di maggioranza è al limite, come nel caso nostro, se la sanzione debba essere loro applicata o meno. Bella giustizia!
Permettetemi di denunciare davanti all'On.le Consiglio e di fronte all'opinione pubblica del Paese la grave responsabilità morale e la spregiudicatezza di coloro che hanno indotto i Signori Gheis e Torrione a partecipare all'adunanza del Consiglio.
Tutti gli uomini, anche coloro che hanno avuto la disgrazia di cadere in fallo, hanno pure il diritto ad un minimo di rispetto, hanno diritto di non essere torturati, dilaniati e dileggiati oltre il limite del tollerabile.
Fatte queste dichiarazioni preliminari, non sarò io a voler essere più realista del re. Se di questo problema ci dobbiamo ancora occupare, se il Consiglio, all'unanimità, è dell'opinione, unanimità che nella passata seduta non c'era, perché c'era della gazzarra, non dell'unanimità, è dell'opinione che per perfezionare, sotto l'aspetto formale, il provvedimento della sospensione è opportuna la pronuncia, io, che tante altre volte ho avuto occasione in questi due anni della mia Presidenza, di adeguarmi alle richieste del Consiglio, quando queste richieste erano unanimi , anche oggi sono pronto ad esaminare l'opportunità di ammettere il Consiglio ad esprimere il suo giudizio su questo peregrino problema della sospensione di cui andiamo discutendo.
Quanto ho detto è la mia risposta alle malevoli insinuazioni di tutti coloro che, digiuni di ogni elementare principio di diritto e digiuni soprattutto, ciò che è molto più grave, di senso di onestà e di senso di nobiltà, ma per contro maestri altissimi nell'arte della diffamazione, hanno osato lanciare al Presidente del Consiglio Regionale l'accusa (come privato l'accusa non mi sfiora nemmeno, perché penso a Dante: "Non ti curar di lor, ma guarda e passa"; e parlando di Dante, mi sto domandando perché il Buon Dio non lo ha fatto vivere ai giorni nostri; probabilmente il Poeta avrebbe composto, anziché la Divina Commedia, la Infernale Tragedia) l'accusa, dicevo, di aver commesso un sopruso, di avere, con un indegno comportamento, impedito il regolare svolgimento dei lavori del Consiglio Regionale.
Questa è la mia risposta alla corrispondenza di un falsario per abito mentale, il quale sulla Gazzetta del Popolo di ieri, venerdì, ha osato affermare che nel convocare i Signori Gheis e Torrione io li ho perentoriamente invitati a non partecipare alla seduta.
Se io avessi rivolto un invito così perentorio, questo avrebbe significato che io avrei fatto trovare sulla porta due agenti per non lasciarli entrare nel caso fossero venuti.
Viceversa non è vero che io abbia invitato perentoriamente Gheis e Torrione a non venire in Consiglio.
Quanto ho avuto l'onore di esporvi è anche la mia risposta a quel Consigliere che, nella precedente seduta ha osato minacciare in pieno Consiglio, in modo oltraggioso e provocatorio, senza nemmeno preoccuparsi di esprimersi davanti al pubblico quanto meno con un linguaggio meno brutale, di minacciare, dicevo, il Presidente dell'Assemblea di una denuncia penale ai sensi dell'articolo 289 del Codice Penale.
Egli sperava di intimidirmi, di impedirmi di fare il mio dovere.
In questo momento, però, ho un debito di riconoscenza verso quel Consigliere perché ho appreso della degradazione del reato dell'articolo 289 in un reato più lieve. Effettivamente, il minimo di 10 anni di reclusione era un po' troppo per questo Presidente Marcoz, era fargli troppo onore.
Oso affermare che, in 20 anni di amministrazione autonoma, a questi eccessi, a simili intimidazioni e intemperanze verbali non si era mai giunti.
Qualcuno che ha perso il treno al momento opportuno, qualcuno che da noi è stato individuato da molto tempo, si è messo in testa di fare una politica nuova in Valle d'Aosta, basata sulle denunce in serie, addirittura contro gli amministratori, interpretando il Codice Penale come nemmeno lo interpreterebbe uno studente universitario iscritto al primo anno di facoltà di legge; una politica, insomma, a base di colpi bassi e sleali.
Tutto ciò non avviene impunemente; con siffatti metodi, purtroppo, noi stiamo affossando le nostre istituzioni ed io comincio a dubitare della fede di chi si proclamava convertito al regionalismo, fautore dell'Autonomia della Valle d'Aosta.
Io ho il dovere, da questo banco, di richiamare tutti al senso della realtà.
Se dei nodi hanno da essere sciolti, dobbiamo tutti essere all'altezza di scioglierli con dignità; se delle votazioni debbono essere fatte, siano fatte con voti puliti.
Io ho finito. Si legga l'ordine del giorno".
Consigliere PEDRINI prega il Presidente Marcoz di invitare il pubblico presente in aula a mantenere un contegno corretto, come previsto dal Regolamento interno del Consiglio, affinché non abbiano a ripetersi le intemperanze verificatesi nella precedente seduta; prega inoltre il Presidente del Consiglio di invitare il pubblico a lasciare libero lo spazio riservato ai corrispondenti della stampa, affinché i giornalisti possano svolgere tranquillamente il loro lavoro.
Dopo breve discussione, il Presidente MARCOZ, aderendo alle richieste del Consigliere Pedrini, invita il pubblico a lasciare libero lo spazio riservato in tribuna ai corrispondenti della stampa e ad assistere ai lavori del Consiglio in silenzio, senza fare alcun cenno di approvazione o di disapprovazione, ai sensi dell'articolo 90 del Regolamento interno del Consiglio.
Si dà atto che su invito del Presidente, MARCOZ, il Consigliere Segretario del Consiglio Signora SIGGIA Avv. Giovanna in. BIANCO, procede alla lettura dei seguenti oggetti già iscritti all'ordine del giorno dell'adunanza del 9 corrente mese e non ancora discussi:
1) Sospensione Consiglieri Gheis Francesco e Torrione Giuseppe.
2) Ratifica deliberazioni Giunta.
3) Relazione Presidente Giunta.
4) Mozione Consigliere Montesano.
5) Mozione sfiducia presentata dai Consiglieri Liberali.
6) Designazione rappresentanti regionali Amministrazione Parco Gran Paradiso.
7) Dimissioni Assessori Balestri e Colombo.
8) Dimissioni Consiglieri Gheis Francesco e Torrione Giuseppe.
9) Comunicazione del Presidente del Consiglio sulla mozione presentata dai Consiglieri D.C., P.S.D.I. e "Campagnards".
10) Designazione componenti Giunta Giurisdizionale Amministrativa.
11) Interrogazioni, interpellanze e mozioni non trattate nella precedente adunanza consiliare del 29 dicembre 1965.
Il Presidente, MARCOZ, riferendosi alle accuse mossegli, di aver mutilato l'ordine del giorno presentato dai Consiglieri di minoranza appartenenti ai Gruppi della D.C., del Partito Socialista Democratico Italiano e della Ligue, fa presente di avere già chiarito a suo tempo anche alla delegazione dei rappresentanti dei predetti tre Gruppi consiliari, ricevuta nel suo ufficio, che non era esclusa la discussione in sede di Consiglio di una mozione di sfiducia formulata nello spirito del T.U. legge C.P. 1934, escludendo cioè la parte della mozione che si riferisce alla revoca del Presidente della Giunta e degli Assessori, in quanto l'articolo 34 della legge statale 28-2-1953 n. 62 non è applicabile, a suo avviso, per la Regione Autonoma della Valle d'Aosta.
Dichiara, quindi, che è del tutto infondata l'accusa rivoltagli di aver inteso accantonare la mozione di cui si tratta.
Il Consiglio prende atto.
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