Resoconto integrale del dibattito dell'aula

Oggetto del Consiglio n. 1615 del 15 novembre 2000 - Resoconto

OGGETTO N. 1615/XI Notizie in merito all'elaborazione da parte dei Comuni della cartografia degli ambiti inedificabili ed all'esercizio del potere sostitutivo da parte della Regione. (Interrogazione)

Interrogazione Rilevato che fin dal 1978 la legislazione regionale ha previsto che i Comuni elaborassero, ad integrazione dei Piani Regolatori, la cartografia degli ambiti inedificabili, cioè delle zone a rischio di frane, esondazioni o valanghe;

Rilevato altresì che nel 1998 la nuova legge urbanistica, visti i ritardi dei Comuni, ha introdotto l’obbligo di adottare tale cartografia entro un anno dall’entrata in vigore della legge;

Ritenuto che molti Comuni siano stati inadempienti e che la Regione non abbia esercitato il potere sostitutivo previsto dalla legge, con ciò dimostrando scarsa cura per la pianificazione del territorio e per la prevenzione degli eventi calamitosi;

il sottoscritto Consigliere regionale

Interroga

l’Assessore competente per sapere:

1) quanti e quali sono i Comuni che non hanno adottato la cartografia degli ambiti inedificabili;

2) perché la Regione, ad oltre 14 mesi dalla scadenza del termine, non ha esercitato il potere sostitutivo previsto dalla legge.

F.to: Curtaz

PrésidentLa parole à l'Assesseur au territoire, à l'environnement et aux ouvrages publics, Vallet.

Vallet (UV)Come evidenziato nelle premesse dell'interrogazione, il termine di un anno fissato dalla legge n. 11/98 per la definizione degli ambiti inedificabili da parte dei comuni è scaduto ad agosto 1999. È opportuno e corretto precisare che i comuni hanno potuto provvedere o meglio avrebbero potuto provvedere solo dopo che con la deliberazione n. 422 del 15 febbraio 1999 la Giunta regionale, così come prevede la legge, ha definito e normato i criteri per la redazione delle perimetrazioni stesse. Va inoltre precisato che l'obbligo riguarda anche i comuni che già erano dotati della perimetrazione degli ambiti esposti a pericolo di frana e valanghe o inondazioni perché la legge n. 11/98 introduce nuovi criteri di classificazioni basati sul concetto della graduazione del rischio definendo la metodologia da seguire per la loro individuazione. Ad un mese dalla scadenza del termine fissato 30 comuni su 74 non avevano provveduto ad alcun adempimento.

Con due lettere del 14 settembre 1999, inviate rispettivamente ai comuni che non risultavano aver predisposto l'individuazione di alcun ambito inedificabile e a quelli che invece risultavano averlo fatto in maniera solo parziale, nel sottolineare l'importanza per i comuni di conoscere in particolare le zone a rischio del proprio territorio al fine di effettuare una corretta pianificazione urbanistica, ho chiesto ai comuni stessi di provvedere al più presto a dar corso agli adempimenti previsti dalla legge alla luce delle relative disposizioni applicative contenute nel provvedimento di Giunta che ho citato.

Alla data odierna la situazione è quella rappresentata in una tabella che poi darò al Consigliere Curtaz e che riassumo: 24 comuni non hanno predisposto alcunché, 16 comuni hanno predisposto le cartografie relative a tutti gli ambiti, 34 comuni hanno provveduto in modo parziale.

A questa attività, derivante da un obbligo di legge regionale, si è sovrapposta la procedura di verifica del piano dell'assetto idrogeologico dell'Autorità di bacino del fiume Po; infatti, nel maggio 1999 è stato adottato il progetto di piano che fu trasmesso a luglio ai comuni perché avanzassero le loro osservazioni in merito, in particolare al quadro dei dissesti illustrato in specifiche cartografie in scala 1:25.000.

Le norme di attuazione del PAI (piano per l'assetto idrogeologico), come stabilito dalla legge n. 183/1989, prevedono infatti che i comuni adeguino i loro piani regolatori alle norme e agli indirizzi del PAI. In sede di Autorità di bacino si è concordato sul fatto che una fase di osservazione, che costituisse anche il primo momento di analisi del quadro dei dissesti, non poteva che migliorare il livello di condivisione del PAI stesso da parte dei comuni che "in primis" lo devono applicare.

Questo avrebbe permesso di avere, ad approvazione avvenuta, un quadro più particolareggiato dei dissesti stessi elevandone così anche il grado di attendibilità.

Questa fase di osservazione, che diventa così principalmente momento di verifica delle informazioni disponibili sui dissesti, viene a coincidere con la fase imposta dalla normativa regionale di predisposizione della documentazione tecnica necessaria per zonizzare le aree a rischio idrogeologico. Quindi, i due procedimenti per i comuni venivano a confluire in un unico procedimento.

Con una comunicazione del 13 gennaio 2000 si chiarisce ai comuni la portata dei due procedimenti, specificando che i comuni che già dispongono di cartografie delle aree a rischio approvate ai sensi della legge n. 11/1998 hanno già ora il piano regolatore conforme al piano di assetto idrogeologico. Gli altri comuni devono invece attivare le procedure di verifica previste dal piano e valgono per loro le misure di salvaguardia previste dal piano per l'assetto idrogeologico stesso fino all'aggiornamento del piano regolatore secondo quanto stabilito dalla nostra legge n. 11.

Fino all'approvazione del PAI o delle perimetrazioni delle aree a rischio approvate ai sensi della legge n. 11/1998 per l'applicazione delle misure cautelari e di salvaguardia, i comuni, in occasione del rilascio di un qualsiasi atto di autorizzazione dell'attività edilizia, devono accertare che quanto autorizzato non sia in contrasto con il rischio idrogeologico individuato dal PAI e verificare la compatibilità di quanto richiesto con il livello di rischio effettivamente presente attraverso un approfondito esame della situazione segnalata ricordando inoltre che da quanto sopra emerso appare del tutto evidente l'importanza e l'urgenza che i comuni, che non ancora non vi hanno provveduto, provvedano alla classificazione dei terreni sedi di frane, eccetera. Questa era la conclusione della comunicazione che avevo indirizzato ai comuni il 13 gennaio 2000 di cui posso fornire copia ai consiglieri.

In questa fase comunque i comuni non rimanevano senza uno strumento di tutela rispetto ai rischi idrogeologici, questo va detto con chiarezza al fine di non enfatizzare la valenza di uno strumento che, come ho detto nella scorsa seduta consiliare, determinante per impedire l'urbanizzazione, per regolamentare le attività edilizie possibili sulla base della graduazione del rischio in aree a rischio, poco aggiunge per quanto riguarda la previsione dei rischi sugli ambiti già edificati rispetto alle cartografie del PAI di cui tutti i comuni già dispongono.

Sottolineo ancora che i comuni in questa fase, in occasione del rilascio di un qualsiasi atto di autorizzazione dell'attività edilizia, devono accertare che quanto autorizzato non sia in contrasto con il rischio idrogeologico individuato dal PAI.

Per quanto riguarda le norme di salvaguardia da applicare, ricordo che rispetto al rischio di esondazione l'articolo 35, comma 5 del PTP, norma cogente, individua una disciplina di salvaguardia prevedendo l'applicazione dei vincoli previsti per la fascia B del piano stralcio, fasce fluviali, all'intero sistema fluviale del PTP, così come cartografato negli elaborati grafici del PTP stesso.

Rispetto alle aree in frana o a rischio di valanga si opera secondo la salvaguardia prevista dall'articolo 2 della deliberazione n. 1/99 del Comitato istituzionale di approvazione del progetto di PAI, rispetto alla quale i comuni devono verificare le effettive condizioni di rischio per ciascuna richiesta di autorizzazione edilizia.

Ribadisco che i comuni hanno ricevuto a luglio 1999 le cartografie del piano di assetto idrogeologico del bacino del Po; non appare quindi così impellente l'approvazione delle cartografie così come previste dalla legge n. 11/1998 essendo comunque già disponibili gli strumenti per l'individuazione del rischio che dovranno, questo sì, essere dettagliati a livello catastale e prevedere la graduazione del rischio a cui potranno corrispondere diverse possibilità dal punto di vista edilizio: dal divieto assoluto di nuove attività edilizie, passando attraverso gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro o ristrutturazione fino alla realizzazione di nuove costruzioni previa verifica delle condizioni di sicurezza e di quelle conseguibili con le opere di difesa necessarie.

Credo con questo di aver chiarito la motivazione per cui non abbiamo fatto ricorso ai poteri sostitutivi: sostanzialmente perché i comuni sono ed erano già dotati degli strumenti per la previsione delle aree a rischio e devono rispettare idonee ed opportune normative di salvaguardia.

PrésidentLa parole au Conseiller Curtaz.

Curtaz (PVA-cU)Questo aspetto normativo è estremamente importante e non credo che in cinque minuti riuscirò ad esaurire tutte le questioni che l'Assessore ha posto, mi limiterò quindi ai dati essenziali. Ovviamente l'Assessore, dovendo giustificare non il suo operato, ma il suo non operato e le omissioni dei sindaci l'ha presa alla larga e dal punto di vista umano posso anche comprenderlo. Vorrei però sottolineare alcuni aspetti che lo stesso Assessore ci ha fornito.

Una legge regionale approvata a larga maggioranza in questo Consiglio prevedeva che i comuni entro un anno dall'approvazione, quindi entro l'agosto 1999, dovessero individuare sul proprio territorio gli ambiti inedificabili, cioè gli ambiti dove ci sono zone a rischio di frane, esondazioni, valanghe, ecc. Non dopo un anno ma oggi, e quindi ad un anno e mezzo dalla scadenza del termine, sarebbero in regola in Valle d'Aosta 16 comuni su 74, 34 comuni sarebbero parzialmente in regola perché avrebbero individuato alcuni ambiti, ma non tutti, 24 comuni avrebbero ignorato totalmente le previsioni di legge; questi sono i dati forniti dall'Assessore.

Mi aspettavo che, di fronte a questo quadro francamente disarmante e che si commenta da solo, l'Assessore avesse fatto un minimo di autocritica. Invece no, l'Assessore dice che non ce n'era bisogno perché c'erano altre normative di salvaguardia. So che per la Giunta la legge urbanistica e il PTP sono delle norme ad applicazione aleatoria che si applicano solo ogni tanto, come se l'applicazione di quelle norme non avesse obbligato i comuni a fare un'indagine approfondita, uno studio, una riflessione sul proprio territorio?

(interruzione dell'Assessore Vallet, fuori microfono)

? sì, ma la stanno facendo dopo che è successa l'alluvione, questa è la verità. Di fronte a questo quadro disarmante cosa dice l'Assessore? Non che ha esercitato il potere sostitutivo che la legge gli impone perché la legge prevede che se non provvedono i comuni, deve farlo la Regione, ma che invece si sono mandate delle lettere di sollecito, dicendo - sono parole dell'Assessore - che non era poi così urgente perché tanto c'erano altre norme di salvaguardia.

Io penso che invece di fronte all'evidenza dei dati, su 74 comuni solo 16 comuni hanno rispettato la legge, sarebbe stato più onesto dire che su questa vicenda c'è stata una disattenzione, che su questa vicenda si è stati negligenti, ma che si cercherà fin dall'immediato di essere maggiormente efficaci, di obbligare i comuni in tempi strettissimi a dotarsi delle cartografie e se i comuni non lo fanno, deve essere la Regione ad attivarsi.

I comuni possono non farlo perché disinteressati, a volte perché hanno difficoltà nel reperire le risorse e i mezzi per fare questi studi, però in quel caso deve essere la Regione che supporta o che esercita il suo potere sostitutivo in modo che tutti i comuni abbiano individuato aree a rischio per evitare che tragedie quali quelle che abbiamo vissuto abbiano a ripetersi.