Resoconto integrale del dibattito dell'aula

Oggetto del Consiglio n. 774 del 28 luglio 1999 - Resoconto

OGGETTO N. 774/XI Risultati della ricerca "Prometeo - Atlante della sanità italiana 1999". (Interpellanza)

Interpellanza Preso atto di alcuni dati riguardanti la sanità in Italia, pubblicati su La Stampa del 6/7/99, che riportano in sintesi i risultati della ricerca "Prometeo – Atlante della sanità italiana 1999", promossa da istituti specializzati, quali il Comitato medicina e biologia del Cnr, e la cattedra di Igiene dell’Università di Tor Vergata;

Constatato che, nella classifica sullo stato di salute della popolazione italiana, valutato su numero dei decessi evitabili, e che potrebbero essere limitati da interventi o sanitari o di prevenzione, la nostra regione si colloca agli ultimi posti della graduatoria nazionale;

I sottoscritti Consiglieri regionali;

Interpellano

L’Assessore competente per sapere

1) se è a conoscenza dei dati di questa ricerca e se li ha analizzati con gli esperti del settore;

2) se li considera attendibili e se intende attivarsi per invertire all’attuale situazione, e con quali interventi.

F.to: Squarzino Secondina - Curtaz - Beneforti

PresidenteLa parola alla Consigliera Squarzino Secondina.

Squarzino (PVA-cU)Quest'interpellanza prende spunto da un articolo che è apparso su "La Stampa" del 6 luglio 1999 che riporta alcuni dati, ripresi anche da altri giornali regionali fra cui "La Vallée", di una ricerca il cui titolo è: "Prometeo - Atlante della sanità italiana 1999", che è stata promossa dalla cattedra d'Igiene dell’Università di Tor Vergata, dal Comitato medicina e biologia del Cnr, da Farmindustria e dalle società Nebo e Esis.

Può darsi che la Farmindustria e altre società abbiamo magari degli interessi, ma sta di fatto che abbiamo il Comitato medicina e biologia del Cnr, abbiamo la cattedra d'Igiene dell'Università di Tor Vergata per cui credo che possiamo affermare con una certa sicurezza che siamo di fronte a uno studio condotto in modo scientifico almeno da esperti della materia, da gente che non ha nessun interesse a presentare dei dati falsi perché ne andrebbe della loro credibilità nel mondo scientifico.

Questa ricerca descrive lo stato di salute della popolazione italiana partendo però da un dato un po' diverso dai soliti, non fatto sui ricoveri, sui servizi presenti, sul rapporto fra servizi e popolazione, ma fatto sul numero di morti evitabili, cioè se si può individuare - afferma la ricerca - qual è il numero presumibile di morti che possiamo evitare ogni anno, abbiamo un indicatore per valutare la capacità di un territorio di rispondere alle attese di vita della popolazione.

La graduatoria è stata fatta tenendo conto che quasi il 60 percento dei decessi per tumori, per traumi, per avvelenamenti, per disturbi cardiocircolatori può essere evitato con un'azione di prevenzione primaria, quindi con interventi che prevengano questo tipo di malattie, l'11 percento attraverso una diagnosi precoce e il 30 percento grazie all'assistenza sanitaria in genere. Partendo da questo dato e verificando i dati raccolti nelle varie regioni, risulta una graduatoria di 215 aziende sanitarie locali in cui ai primi posti troviamo le aziende della Toscana (Prato), delle Marche, alcune della Puglia e della Campania (Bari, Salerno), troviamo a metà classifica le grandi città: Firenze, Napoli, Roma, Venezia, Milano, Torino, mentre nella parte di coda della graduatoria fra le peggiori troviamo purtroppo al penultimo posto la Valle d'Aosta in cui - a detta di questa ricerca - il 150 percento delle morti, ogni anno per questi motivi, potrebbero essere evitate. Di fronte a questi dati la domanda che viene spontanea è se l'Assessore è a conoscenza di questi dati e se ha avuto modo di analizzarli con gli esperti del settore perché i dati non sono di per sé significativi, ma bisogna interpretarli; se li considera attendibili e se intende attivarsi per invertire l'attuale situazione che mi sembra abbastanza disastrosa e con quali tipologie d'interventi.

PresidenteLa parola all'Assessore alla sanità, salute e politiche sociali, Vicquéry.

Vicquéry (UV)Rispondo subito alle due domande che sono state poste dicendo che sono venuto a conoscenza ufficialmente di questo studio esattamente nella giornata di ieri mediante una lettera trasmessa dalla Farmindustria che avvisa tutti gli assessorati di questo studio.

Ovviamente avevo letto anch'io le notizie di stampa, ma per il breve tempo trascorso non si è ancora potuto fare un'analisi approfondita dei dati pur avendo interpellato sin dalle prime notizie di stampa l'Osservatorio epidemiologico, in particolare modo il Dr. Conti, Epidemiologo e Direttore dell'Istituto oncologico Regina Elena di Roma che ci ha fornito le prime sommarie informazioni rispetto a questo studio.

Per rispondere alla seconda domanda, dico sin da subito che da queste prime osservazioni non si possono considerare attendibili questi studi per una serie di motivazioni che andrò a dire, ma principalmente per il fatto che lo studio è stato condotto relativamente all'anno 1994 con ciò contraddicendo tutti gli studi epidemiologici che in genere considerano una durata temporale che va da 5 a 10 anni. Aggiungo che, riferendosi al 1994, evidentemente gli stessi dati non sono aggiornati né in bene né in peggio, rispetto alla realtà attuale.

Dalle prime informazioni che abbiamo, possiamo sin da subito dire che queste notizie gettate alla stampa, stanno scatenando reazioni da parte di numerosissime realtà, non solo regionali, ma anche aziendali, perché i dati che contrastano vistosamente con la qualità della vita e il tipo di assistenza sanitaria fornita dalle regioni e dalle singole aziende USL.

Gli esperti che ho interpellato, dopo una prima disamina, hanno avanzato diverse riserve sul rigore della metodologia adottata, sul tipo di conclusioni tratte e non da ultimo sul fatto che la ricerca non espliciti in modo chiaro quale sia l'apporto scientifico patrocinante, oppure solo economico, di ciascuna delle istituzioni coinvolte nella ricerca.

Il gruppo Prometeo, che si assume ogni responsabilità per i contenuti e per le scelte di studio effettuate, e per ogni errore eventualmente commesso nella redazione della ricerca, può infatti solo essere ipotizzato all'interno di un elenco di nomi citati nel corso della pubblicazione, ma non viene mai esplicitata l'effettiva composizione del gruppo di studiosi appartenenti.

Le riserve riguardano la metodologia e le conclusioni della ricerca stessa. La ricerca "Prometeo", che non ha un carattere di originalità nel suo genere, è stata confrontata con le metodologie e i risultati di un altro studio sulle morti evitabili nelle regioni italiane condotto da Barchelli e Salomoni, due accreditati epidemiologi fiorentini del CISPO (Centro italiano di studi e prevenzione oncologica) e pubblicato tre anni fa su una prestigiosa rivista di settore (Epidemiologia e Prevenzione). La metodologia delle morti evitabili o prevenibili è da tempo oggetto di dibattito fra coloro che si occupano di epidemiologia e programmazione sanitaria; la morte infatti è un evento che, per ovvie ragioni, non potrà mai essere evitato in assoluto, per cui, quando si usa la quota di mortalità evitabile o prevenibile, come indicatore in sanità pubblica, in realtà si assume in via del tutto teorica che un certo numero di morti potrebbero essere evitate in virtù di una serie d'interventi sanitari presupposti efficaci.

In altre parole, la mortalità evitabile, inventata da Rustein nel 1976 fa propria quest'assunzione e cioè collega all'efficacia degli interventi di prevenzione primaria (che concerne la rimozione dei fattori di rischio e che esula dalla tematica puramente sanitaria perché riguarda la qualità di vita nel suo genere - nei fattori di rischio ci sono innumerevoli fattori come quelli delle morti violente, come la qualità della vita in generale), di prevenzione secondaria (che è quella che effettivamente interessa l'Assessorato regionale della sanità e riguarda la diagnosi precoce) e di assistenza generica, cioè l'igiene e l'assistenza sanitaria , alla possibilità di riduzione della mortalità ; specifica in tre gruppi corrispondenti di cause di morte.

La presunta verifica di questo assunto la si otterrebbe dal confronto dei tassi di mortalità per questi tre gruppi di cause di morte e per classi di età in popolazioni diverse. La differenza del tasso in una popolazione rispetto a un'altra che ne registra uno più basso costituisce la quota di mortalità evitabile nella prima popolazione, che in epidemiologia può essere calcolata mediante il "numero di anni di vita persi".

Ovviamente, quanto più lungo è il periodo di osservazione dei dati di mortalità, quanto più le conclusioni e la stima degli anni di vita persi risultano attendibili. Come già dicevo, la prima debolezza dell'impianto metodologico della ricerca "Prometeo" riguarda proprio il periodo di osservazione. Le conclusioni vengono tratte sui dati di mortalità di un solo anno, mentre lo studio citato a confronto ha posto sotto osservazione i dati sulle cause di morte di un periodo di 10 anni, sufficientemente lungo cioè da annullare gli effetti di una possibile variazione annuale dovuta al caso.

Aggiungo che sul metodo di rilevazione statistica delle morte in via generale, non delle morti evitabili, c'è a tutt'oggi una discrepanza fra il metodo messo in atto da una regione rispetto al metodo messo in atto da altre regioni per cui molto probabilmente, ci dicono gli esperti, non sono neppure confrontabili, non le morti evitabili, ma neppure i dati di morte in generale.

Non solo, anche il livello di aggregazione territoriale dei dati può indurre a false stime; quanto più i dati vengono aggregati per aree territoriali di ridotte dimensioni, quanto più è probabile che l'errore derivante da un'analisi condotta su piccoli numeri sia elevato. Nello studio preso a confronto, il livello minimo di aggregazione dei dati è stato quello regionale, mentre nella ricerca "Prometeo" si è scelto di condurre un'analisi dei dati di mortalità per USL; nel caso della Valle d'Aosta l'USL coincide con la regione e questo potrebbe aver pesato sull'errore di valutazione, ma per confermare questa tesi do lettura delle dichiarazioni fatte nella premessa della ricerca.

Dicono i ricercatori che: "È relativamente semplice conoscere il personale sanitario, le dotazioni strumentali, le attività svolte, più complessa e opinabile è la rilevazione dello stato di salute, basti pensare al paradosso offerto dall'indagine multiscopo periodicamente condotta dall'ISTAT. Tutti gli indicatori oggettivi dello stato di salute migliorano significativamente durante gli anni '80, la vita media è aumentata, la mortalità è diminuita, eccetera e nonostante ciò gli indicatori soggettivi, cioè le opinioni degli intervistati circa il proprio stato di benessere dal punto di vista della salute, peggiorano visibilmente nelle diverse indagini che si sono succedute. Se poi dalle indagini di tipo nazionale si passa a quelle di livello territoriale, che dovrebbero orientare le politiche di efficacia, cioè la produzione di livelli di salute delle singole aziende sanitarie sul proprio territorio, i dati a disposizione sono ancora più modesti; mancano dati in positivo sulla salute e i dati sulla morbosità, assenza di salute. Sono limitati alle notifiche di malattie infettive di dubbio valore conoscitivo e poco altro. In particolare, non sono state ancora resi disponibili dal Ministero della sanità i dati sulle schede delle dimissioni ospedaliere a livello di singolo istituto di cura che costituiscono un patrimonio informativo enorme atteso che i ricoverati sono diversi milioni ogni anno?"

Ricordo che quando si parla di schede di dimissioni ospedaliere, le famose SDO, la Regione Valle d'Aosta, e per essa l'USL, è stata tra le aziende prototipo ed è una delle poche in grado di fornire dei dati chiari e attendibili, ma questo nel 1999. Nel 1994 non sussisteva nulla ed è per questo motivo che gli stessi ricercatori dicono che non si dovrebbe fare un raffronto con i dati delle schede di dimissioni ospedaliere che moltissime regioni nel 1994 non avevano.

In pratica, osservano, i dati relativi alla mortalità, 550 mila casi in Italia nel 1994, rimangono uno, ma solo uno, dei fondamentali indicatori di bisogno, perché sono disponibili a livello territorialmente disaggregato provinciale in Italia e possono essere in qualche misura utilizzati dai servizi sanitari.

Continuano dicendo che: "? La mortalità evitabile, così come la mortalità generale, risulta direttamente influenzata dalla distribuzione per classi di età della popolazione. Si immagini il caso di due aree caratterizzate dagli stessi, uguali, identici livelli di mortalità per ciascuna singola classe di età, per semplicità, una mortalità bassa, ad esempio 1 morto ogni 10 mila abitanti nel caso della popolazione giovanile sotto i 15 anni e una mortalità molto elevata per la popolazione anziana sopra i 65 anni, esempio 1 morto ogni 10 abitanti. Se però un'area ha una popolazione relativamente più giovane dell'altra - si ricorda che in Italia l'USL 2 di Napoli ha 30 anziani ogni 100 giovani e l'USL 32 di Bologna ne ha 10 volte di più -, la combinazione di uguali tassi di mortalità applicati a quote diverse di popolazione determina un differente indice di mortalità generale che per questo motivo è definito tecnicamente tasso grezzo di mortalità e ha un portato informativo e conoscitivo limitato. Per ovviare a quest'inconveniente, che altrimenti falserebbe l'indagine, si utilizza la cosiddetta tecnica della standardizzazione che consiste nell'utilizzare i tassi di mortalità effettivamente rilevati per ciascuna fascia di età applicandoli a una popolazione con la medesima struttura prendendo come nel nostro caso a riferimento quella territoriale. Lo sforzo di costruire questo strumento conoscitivo - standardizzato che penalizza o va a vantaggio perché sono sempre due i casi nelle realtà piccole e nelle statistiche la Valle d'Aosta non si posiziona mai in mezzo, è sempre o all'inizio o alla fine - è finalizzato in primo luogo, pur non trascurandone la correttezza metodologica, a rendere l'indicatore leggibile e confrontabile e ciò ha comportato la rinuncia ad alcuni approfondimenti ulteriori che tenessero conto del fatto che l'età media della morte differisce in misura significativa fra un'area e l'altra del Paese, fra le diverse classi di età e tra i due sessi. Basti ricordare che un sessantenne ha una speranza di vita relativamente più elevata di un ventenne, l'età media della morte delle donne è significativamente più alta di quella degli uomini. Va poi chiaramente ed esplicitamente sottolineato che il riferimento ad ambiti territoriali limitati permetterebbe analisi statistiche più robuste se condotte su un numero di osservazioni maggiore di quella scelta, per esempio, la media di almeno un triennio, utilizzando i dati 1992-1994."

Queste sono affermazioni degli stessi ricercatori che, probabilmente per correttezza professionale, dicono che loro stessi hanno rinunciato ad approfondimenti ulteriori collegando tra loro i dati che avrebbero sicuramente dato delle informazioni diverse. Se si può chiosare su questo, si può dire che è scorretto dare in pasto agli organi d'informazione dei dati statistici epidemiologici assumendo che gli stessi abbiano valore di legge, quando loro stessi sostengono che sono non dico inattendibili, ma assolutamente sperimentali e quindi da non confrontare con altri tipi di ricerche.

Le conclusioni della ricerca. Il valore che posiziona la Valle d'Aosta al penultimo posto, l'ultima è l'USL dell'alto Friuli, è quello che stima in 107,4 anni di vita persi su 100 mila anni di vita potenzialmente disponibili la quota di mortalità evitabile nella popolazione regionale. Di questi 107 anni, la ricerca ne attribuisce ben 75 a mancati interventi di prevenzione primaria, cioè le campagne di sensibilizzazione per la rimozione dei fattori di rischio di una malattia quali l'alcol, il fumo, l'uso di droghe o le abitudini alimentari, oppure di un evento indesiderato quali ad esempio gli incidenti stradali causati da eccesso di velocità. Sugli incidenti stradali, sui suicidi, su quant'altro non siamo in grado di dire se la ricerca ha preso in considerazione solo gli incidenti stradali e comunque fattori di rischio legati alla popolazione autoctona o, come si presume e anzi è molto probabile, ha preso in considerazione tutti gli incidenti stradali, dai morti in montagna, alle valanghe, agli incidenti sull'autostrada e quant'altro, il che di per sé sfalserebbe i dati a disposizione.

Come avverte lo studio da noi usato per il confronto, le ricerche sugli anni di vita persi tendono espressamente a non confondere le morti ritenute prevenibili o evitabili grazie ad opportuni interventi di prevenzione secondaria, cioè adeguati interventi diagnostico-terapeutici, da quelle evitabili con interventi di prevenzione primaria. Sono infatti gli interventi diagnostico-terapeutici l'oggetto per la valutazione della qualità dell'assistenza, del funzionamento del Servizio sanitario regionale, mentre quelli di prevenzione primaria coinvolgono variabili individuali e collettive, non totalmente controllabili dal sistema sanitario.

Il valore in anni di vita persi attribuiti dalla ricerca alla Valle d'Aosta a seguito di mancati interventi diagnostico-terapeutici è di 9,5 anni su 100 mila rispetto ad una media nazionale di 7,2. Gli anni di vita persi per la prevenzione primaria erano 75 rispetto a 42 della media nazionale per cui l'abbinamento di questi due valori ha posizionato la Valle d'Aosta in fondo alla classifica, mentre se si fosse correttamente utilizzato il solo valore specifico correlato all'assistenza sanitaria di diagnosi e cura, Aosta non sarebbe sicuramente stata in cima alla graduatoria, ma certamente avrebbe ricoperto un valore molto più alto.

La metodologia delle morti evitabili, anche quando individua in una popolazione un tasso elevato di mortalità specifico per causa, lo utilizza cautamente come indicatore e non gli conferisce un valore di certezza rispetto all'analisi della mortalità generale in quella regione. In altre parole, la ricerca non si è cautelata dal rischio di effettuare delle generalizzazioni e trarre delle conclusioni che l'epidemiologia non autorizza.

Per tutti questi motivi, analoghi studi sulla mortalità evitabile utilizzano questa metodologia a soli fini descrittivi, individuazione di eventi sentinella o al più per stimare l'ordine di grandezza di un fenomeno sanitario, ad esempio quanti morti attribuiti all'alcol, eccetera, ma mai per stabilire un obiettivo da raggiungere e tanto meno per verificare i risultati di un'azione sanitaria o sociale e aggiungo: tanto meno per definire delle graduatorie fra i più bravi e i meno bravi perché questa è l'antitesi dell'epidemiologia. Gli eventi sentinella sono quelli che servono agli amministratori per alzare la guardia e adottare dei provvedimenti in un verso piuttosto che in un altro.

Terza debolezza: le istituzioni coinvolte nella ricerca. Non ci è stato di sapere se si è trattato di dimenticanza, ma i consiglieri omettono di citare fra gli istituti specializzati che hanno patrocinato lo studio la Farmindustria. Confidando sull'attendibilità scientifica degli altri Istituti universitari di Tor Vergata, di Roma e Cnr, è quanto meno prudente avanzare un sospetto sull'obiettività della Farmindustria nel trarre le conclusioni della ricerca. Ci si riferisce in modo particolare a pagina 37 del volume dove, citando testualmente, troviamo la seguente affermazione: "? Sembra che un maggior consumo di farmaci sia associato a un minore numero anni di vita persi pro capite. Sebbene il risultato necessiti di ulteriori approfondimenti per verificare la stabilità, incoraggia quindi delle analisi del ruolo del farmaco come investimento di salute?".

Ci rendiamo conto dell'assoluta pericolosità di un'affermazione di questo genere, cioè sostenere che laddove più si consumano farmaci, più c'è lo stato di salute buona e migliore è la qualità della vita. Gli stessi dati della ricerca lo confermano in qualche parte: è noto che la Valle d'Aosta, per quanto riguarda l'assistenza farmaceutica, si posiziona in una situazione assolutamente buona perché il costo della farmaceutica nel 1994 era ad esempio enormemente più basso, ma solo nel 1998-1999 è aumentato enormemente di miliardi. Mi pare, vado a memoria, che nel 1999 ci siano 2 miliardi in più di spesa farmaceutica e questo solo motivo permetterebbe, secondo la logica della ricerca, di avanzare nelle posizioni.

Qui nello studio ci sono le specifiche di ogni regione e se andiamo a vedere i consumi farmaceutici, gli stessi ricercatori dicono che la spesa media pro capite complessiva per farmaci, pubblica più privata venduta in farmacia, calcolata in base alla popolazione pesata - la popolazione pesata è un criterio di calcolo che tiene conto della quota di popolazione anziana -, ammonta a 336 mila lire e rotti, un valore inferiore alla spesa media nazionale, pari a 374 mila lire pro capite.

Anche per quanto riguarda i consumi in quantità, la Valle d'Aosta presenta valori inferiori, pur se in misura minima alla media nazionale. Questo nel 1994. Nel 1999 purtroppo la spesa farmaceutica si sta adeguando alla media nazionale, ma paradossalmente quest'aumento del costo della spesa farmaceutica innalzerebbe la Valle d'Aosta nella graduatoria di cui si tratta.

Tutto ciò non solo sembra contrastare con l'evidenza della pratica medica corrente che limita all'indispensabile l'uso della farmacopea; fior di documenti, i contratti di lavoro della Medicina generale, i contratti integrativi indicano specificatamente che bisogna fare un'attività forte di riduzione dell'uso del farmaco a vantaggio di una politica di prevenzione primaria nel vero senso della parola, ne fanno emergere una sorta di sostituibilità fra assistenza farmaceutica e assistenza ospedaliera consistente nella riduzione delle degenze che trasferirebbe i costi aggiuntivi sul territorio, ma - fatto ancora più grave - suggeriscono una lettura non propriamente disinteressata dei dati di una Regione come la nostra in cui - come ho detto - la spesa farmaceutica ha valori inferiori e questo assieme alle regioni come Friuli, Veneto e Lombardia che, guarda caso, sono anch'esse posizionate in fondo alla classifica.

Tutto ciò affermato, posso concludere che questi dati sono sicuramente da valutare con attenzione. Il nostro Osservatorio epidemiologico sta cominciando a dare dei risultati, prenderà contatti possibilmente con i responsabili della ricerca, ne contesterà sicuramente alcune osservazioni, sarà in grado di presentare documentazione specifica e noi ci riserviamo d'intervenire in tutte le sedi perché, ripeto, dal punto di vista deontologico e professionale questa divulgazione di una supposta graduatoria della Regione è contestata non dalla Regione Valle d'Aosta in quanto tale, ma da tutte le regioni, perché pone impropriamente in buona o in cattiva luce delle realtà aziendali che non meritano una classificazione di questo genere.

Stiamo lavorando. Dal 1994 ad oggi tutta una serie di azioni sono state prese ed è inutile ricordare gli screening per le mammografie e per la prostata che andrebbero ad incidere profondamente su alcuni dei fattori di rischio e le azioni di prevenzione legate alla diagnosi precoce e alla terapia, come pure tutta una serie d'iniziative di cui il Consiglio regionale è stato portato a conoscenza.

Comunque, per rispondere puntualmente alla seconda parte della domanda e cioè se ci si intende attivare per invertire l'attuale situazione, la risposta ovviamente è sì, prima di tutto vogliamo conoscere bene il fenomeno, dopodiché è indubbio che le politiche regionali dovranno incentrarsi sulla prevenzione, sulla qualità della vita e altri investimenti in questo senso: dall'ARPA ad altri tipi d'interventi, sono stati fatti e continueranno ad essere fatti.

PresidenteLa parola alla Consigliera Squarzino Secondina.

Squarzino (PVA-cU)Per ringraziare l'Assessore di questa lunga e articolata relazione che è stata un po' una lezione sulla metodologia scientifica relativamente alle morti evitabili. Prendo atto con interesse che c'è da parte sua l'impegno di valutare i dati forniti con attenzione e con maggior tempo.

Le confesso, Assessore, che mi sarei accontentata di una risposta molto più stringata. Speravo che lei mi dicesse che questi dati sono inattendibili perché il nostro Osservatorio epidemiologico ci può dire che: a, b, c, d.

Questa era la risposta che speravo di sentire perché se è vero come dice lei che hanno preso i dati del 1994, mi chiedo che tipo di dati hanno preso dalla Valle d'Aosta perché a quanto mi risulta, e lei finora non ha ancora dato una risposta a queste continue mie richieste, risale al 1991 l'ultimo dato organico sulle morti presunte in Valle d'Aosta, quindi il prodotto maggiore dell'Osservatorio epidemiologico è stato nel 1991; sono passati almeno 8 anni e non so cosa ha fatto in questo periodo l'Osservatorio epidemiologico: o non c'era o non ha lavorato. Su questo credo vada fatta un'attenta osservazione.

Condivido il fatto che occorre intervenire sulla prevenzione secondaria e che in questo settore tutta l'azione di screening portata avanti dall'assessorato sicuramente ha un grande valore. Ricordo però che l'elemento che incide maggiormente, più del 50 percento non solo in Valle d'Aosta con il 75 percento ma in genere, è la prevenzione primaria. Lei mi dice che non dovevo chiedere a lei cosa si fa nella prevenzione primaria perché questo è compito non solo dell'Assessorato della sanità e questo è vero, però questo mi dice che è la responsabilità della Giunta nel suo complesso perché l'azione che porta avanti non garantisce quella prevenzione primaria di cui lei parlava e questo mi preoccupa assai.