Resoconto integrale del dibattito dell'aula

Oggetto del Consiglio n. 2575 del 21 maggio 1997 - Resoconto

SEDUTA ANTIMERIDIANA DEL 21 MAGGIO 1997

OGGETTO N. 2575/X Dibattito sulla riforma della Costituzione della Repubblica italiana in senso federale.

Risoluzione Il Consiglio regionale della Valle d'Aosta

Premesso che la Commissione parlamentare per le riforme costituzionali istituita con legge costituzionale n. 1/97 del 24 gennaio 1997, sta esaminando le proposte di legge di riforma costituzionale, con riferimento alla forma di governo, alla forma di Stato, al bicameralismo ed al sistema delle garanzie e trasmetterà alle Camere entro il 30 giugno 1997 un progetto di riforma della parte II della Costituzione;

Richiamata la propria mozione assunta il 19 febbraio 1997 tendente a formulare proposte attinenti alla Riforma dello Stato;

Considerata la volontà e la necessità di partecipare al processo costituente che si è aperto nel Parlamento e nel Paese per mettere le basi di un nuovo Stato democratico partecipe di un'Unione Europea rafforzata sul piano politico e sociale;

Ritenuto che la trasformazione dell'attuale Stato centralista in senso federale sia l'unica strada che nel rispetto delle diversità e del pluralismo conduce alla sua modernizzazione attraverso la ridefinizione delle funzioni del centro e della periferia secondo principi di sussidiarietà ed autogoverno che assegnino al centro una serie di funzioni esclusive ben individuate ed ai poteri regionali e locali riservi, rispettivamente, una piena potestà legislativa e di governo politico e un ampio esercizio delle funzioni amministrative;

Ritenuto inoltre che una compiuta Riforma richiede da un lato il superamento dell'attuale bicameralismo paritario con l'istituzione di una seconda Camera (Camera o Senato delle Regioni) cui affidare funzioni co-decisorie sulle materie di interesse interregionale e con una funzione di garanzia delle autonomie, garanzia che dovrà essere rafforzata anche attraverso la nomina, da parte delle Regioni, di giudici costituzionali;

Affermato che la riforma federale dello Stato deve far sì che ogni regione abbia la piena opportunità di giungere al livello massimo di autogoverno, ma che questo processo debba portare ad un rafforzamento dell'autonomia già conquistata, con un patto storico, dalle Regioni e dalle province a Statuto speciale;

Sottolineato il permanere delle ragioni storiche, politiche, culturali, etnico-linguistiche ed economico-territoriali che diedero vita, nella Costituzione, alle Regioni e Province a Statuto speciale e che pertanto la riscrittura dell'assetto istituzionale, nella parte che riguarda gli Statuti Speciali di Autonomia, non è da intendersi come materia di discussione nella Commissione Bicamerale;

Si pronuncia

a favore della riforma della Costituzione della Repubblica Italiana in senso federale, nel cui ambito:

a) siano riconosciuti poteri legislativi generali all'organo legislativo delle Regioni e quindi ad esso vengano assegnati tutti i poteri non espressamente riservati al Parlamento federale, al quale sarà riservata competenza legislativa soltanto in materia di difesa, giustizia, politica economica nazionale e monetaria, politica estera extracomunitaria;

b) sia prevista la riformulazione dell'articolo 116 della Costituzione secondo i seguenti criteri ispirati al principio dell'autodeterminazione di ogni popolo:

1) alla Sicilia, alla Sardegna, al Trentino-Alto-Adige, al Friuli Venezia Giulia e alla Valle d'Aosta sono attribuite forme e condizioni particolari di autonomia secondo propri statuti speciali.

2) gli Statuti Speciali sono adottati dai Consigli regionali con maggioranza qualificata dei 2/3 dei componenti e sono immediatamente comunicati alle Camere ed al Governo.

3) entro i successivi 120 giorni i Presidenti delle Camere, previa votazione in tal senso da parte di ognuna delle Camere, o il Presidente del Consiglio dei Ministri, potranno impugnare gli Statuti innanzi alla Corte Costituzionale per soli vizi di legittimità costituzionale.

4) in mancanza di impugnazione nei termini di cui al capo precedente o qualora la Corte Costituzionale respinga l'eventuale impugnativa, lo Statuto assume valenza di legge costituzionale.

5) sia attribuita alle Regioni a Statuto speciale una particolare personalità di diritto internazionale in particolare per quanto riguarda i rapporti transfrontalieri e con le istituzioni comunitarie.

c) sia prevista, nell'immediato, l'estensione alle regioni a Statuto Speciale dei nuovi poteri delle altre regioni, ove non previsti dagli attuali statuti;

d) siano adeguati, anche a fini perequativi, gli strumenti finanziari in modo da gestire con efficacia le competenze legislative e amministrative già attribuite e quelle che saranno ulteriormente assegnate in particolare invertendo l'attuale flusso finanziario dal centro alla periferia attribuendo direttamente alle Regioni e agli Enti locali la potestà impositiva;

e) le potestà amministrative siano ridistribuite dalle Regioni agli Enti locali in base al principio di sussidiarietà;

f) sia eliminato il potere del Governo di controllo di legittimità delle leggi regionali mantenendo esclusivamente il sindacato di legittimità costituzionale delle leggi medesime alla Corte Costituzionale;

g) sia attribuito alle Regioni il potere di nomina di metà dei giudici costituzionali;

h) sia prevista, nell'ambito della composizione della seconda Camera, una posizione paritaria tra i rappresentanti delle Regioni;

Incarica

il Presidente della Giunta regionale e il proprio Presidente a rappresentare le determinazioni sopra enunciate al Presidente della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, ai Presidenti dei due rami del Parlamento, ai Parlamentari valdostani, ed in ogni altra sede istituzionale ritenuta opportuna, assumendo tutte le possibili iniziative per sostenere le determinazioni medesime e riferendo periodicamente al Consiglio secondo modalità da concordare con il Presidente del Consiglio medesimo.

Presidente Ha chiesto la parola il Presidente della I Commissione, Consigliere Perrin Joseph César.

Perrin G.C. (UV) Comme les collègues s'en souviennent, le 19 février dernier ce Conseil avait voté une motion, qui demandait à la Ière Commission permanente du Conseil, élargie aux Chefs de groupe, de se pencher sur le problème de la réforme constitutionnelle et sur les travaux de la Bicamérale, en liaison constante avec les Parlementaires valdôtains. C'est ce que la Commission a fait à travers une série de réunions et de rencontres avec les deux Parlementaires.

Le but de la motion était celui que la Commission, élargie aux Chefs de groupe, fasse parvenir à l'attention de ce Conseil un ou plusieurs documents concernant la réforme de la partie deuxième de la Constitution, de façon particulière la réforme de l'Etat.

Il était notre devoir de nous pencher sur un argument si important et à travers le document nous voulons exprimer non seulement la volonté de parvenir à une modification, mais la nécessité d'être présents au débat qui s'est instauré depuis quelques années à l'intérieur de l'Etat italien et depuis quelque temps au sein de la Bicamérale.

C'est un débat qui date depuis longtemps: le problème d'une transformation de l'Etat italien, encore malheureusement trop centralisateur, dans un Etat fédéral, se fait sentir depuis toujours pour certaines forces politiques, qui ont prôné cette transformation de l'Italie en Etat fédéral, à travers l'instauration d'un vrai fédéralisme. L'Union Valdôtaine est l'une de ces forces; j'ai déjà eu l'occasion de le dire, nous étions peut-être les seuls au début, nous avons le plaisir d'avoir été rejoints dans cela par d'autres forces politiques, pourvu que cette volonté de fédéralisme soit véritable et aille dans la bonne direction.

L'Union Valdôtaine n'a pas eu évidemment la force de porter cela à l'attention de tout l'Etat italien et du Parlement. Il y a eu ensuite l'action de la Lega Nord, qui a fortement poussé et qui a peut-être obligé d'autres forces politiques à parler de fédéralisme. Aujourd'hui à peu près toutes les forces politiques présentes à l'intérieur de la Bicamérale disent vouloir arriver à une réforme substantielle de la Constitution, d'abandonner un Etat encore centralisateur, d'aller vers un Etat de type fédéral.

Nous ne savons pas si ces affirmations sont sincères ou si elles ne sont que de circonstance et nous avons l'impression qu'au moins pour certaines forces politiques il y ait une fausse idée de fédéralisme et justement pour cela nous devons être présents encore à ce débat.

La Commission s'est penchée de quelle façon intervenir et au début la possibilité était peut-être celle de présenter un projet de loi plus complexe, réformant la deuxième partie de la Constitution, mais ce document aurait été à peu près inutile puisque les régions ou les forces politiques n'ont plus la possibilité maintenant de présenter des projets de loi. Le terme est échu depuis longtemps, depuis la création de la Bicamérale et d'ailleurs il y a à l'attention de la Commission 185 projets de loi qui sont extrêmement disparates. Il y a entre autres un projet valdôtain - présenté par le Député Caveri - qui va dans le sens souhaité.

Il faut dire que le Conseil régional valdôtain à maintes reprises s'est prononcé sur ce problème et a approuvé - très souvent à l'unanimité - des documents qui souhaitent la transformation de l'Etat italien en un Etat fédéral: une transformation qui représente l'unique possibilité pour sortir du marasme actuel.

A cet égard nous avons lu le rapport que le Président de la Bicamérale, Monsieur D'Alema, a présenté le 14 mai à la Commission et qui contient - non sous forme de points articulés, mais sous forme d'énonciations - un certain nombre de principes intéressants indiquant cette volonté de transformation, qui contient cependant d'autres énonciations très vagues et très confuses et qui contient par contre certains points qui vont à l'encontre de la direction que ce Conseil a déjà prise dans le passé et du document que la majorité des composants de la Commission et des Chefs de groupe a approuvé pour qu'il soit soumis à l'attention de Conseil.

Dans son rapport D'Alema aussi affirme que le fédéralisme est l'unique façon de sortir de la situation actuelle et constate que "il modello centralistico ha fatto largamente fallimento ed è all'origine del sorgere di tensioni e fratture che oggi minano l'unità nazionale". Contre cette faillite de l'Etat s'avère nécessaire - ce sont les mots de D'Alema - une réforme en sens fédéral.

Cette nouvelle direction ce serait la seule qui pourrait à l'intérieur de l'Etat italien d'un côté assurer le bon gouvernement des régions, de l'autre respecter cette richesse énorme présente en Italie, qui est la diversité culturelle, représentée par les différents peuples qui composent l'Etat italien. Donc ce serait l'unique façon de respecter ce pluralisme culturel, de moderniser cet Etat en tenant compte de la capacité des différents peuples de s'autogouverner. Pour cela faire, il s'avère nécessaire un renversement immédiat de l'article 117 de la Constitution. Cet article établit quelles sont les compétences des régions, tout le restant étant réservé à l'Etat.

Dans une nouvelle Constitution fédérale il faudrait par contre qu'à l'intérieur de la Constitution l'on énumère les quelques compétences qui restent du domaine de l'Etat, les grands problèmes et que tout le restant soit du domaine de la compétence législative et administrative des régions et des collectivités locales.

Evidemment nous souhaitons cela dans un esprit de subsidiarité parce qu'il ne faudrait pas que les régions, ayant acquis de nouvelles compétences, deviennent à leur tour des petits Etats centralisateurs, oubliant les prérogatives et les capacités des collectivités locales auxquelles devrait aller une grande partie du pouvoir administratif. Cela aussi dans le sens de la solidarité entre régions économiquement plus riches et régions plus pauvres, mais le renversement de cet article n'est pas suffisant.

Je n'énumère pas tout ce qu'il faudrait modifier dans la nouvelle Constitution, mais je veux mettre l'accent uniquement sur certains problèmes qui sont d'ailleurs touchés par la motion qui est présentée à ce Conseil.

Tout d'abord, le problème du nouveau Parlement de l'Etat italien: si on va dans la direction souhaitée, le Parlement et le Gouvernement italien ne peuvent plus être les actuels, au-delà de la redéfinition des compétences, mais le Parlement doit être redéfini.

Nous avons maintenant un Parlement formé par deux Chambres qui ont les mêmes compétences. Les résultats ont été extrêmement négatifs puisque cela a énormément retardé la capacité législative du Parlement et a entravé l'action du Parlement, qui a besoin de parvenir à légiférer de façon très rapide donc, il faut modifier ce bicaméralisme.

Nous souhaitons que cela advienne à travers la création de la deuxième Chambre: la Chambre des régions qui ait des pouvoirs différents, qui ait surtout un pouvoir d'intervention dans tous les domaines qui concernent les régions, qui ait le pouvoir d'intervenir sur le contrôle de la première Chambre dans toutes les matières concernant les régions.

Cette Chambre devrait être composée de façon différente: nous n'avons pas voulu ici indiquer de quelle façon; le débat à l'intérieur de la Conférence des Présidents des Conseils et de la Conférence des Présidents des Gouvernements régionaux est largement ouvert, parfois diversifié, mais en tout cas toujours riche et donc nous avons réservé à l'avenir cette définition, mais une chose doit être certaine, c'est-à-dire cette Chambre doit représenter les régions et donc, comme dans tous les Etats fédéraux, surtout là où il y a un vrai fédéralisme, cette Chambre doit être une Chambre paritaire entre les régions, où chaque région doit avoir le même nombre de représentants.

Dans ce sens nous sommes préoccupés par le rapport que D'Alema a tenu à la Commission Bicamérale où il prévoit par contre un système de représentativité proportionnelle et donc aux petites régions serait réservé au maximum un membre à l'intérieur de la Chambre des régions. Nous sommes surtout préoccupés lorsqu'il affirme que l'on veut mettre de côté toute idée de constituer une vraie chambre des régions sur le modèle du "Bundesrat" allemand et on ne comprend pas de quelle façon cette Chambre, l'actuel Sénat - même si diminué dans le nombre de ses composants - pourrait composer les intérêts de l'Etat et des régions, mais nous sommes encore plus préoccupés là où le débat se déplace sur le problème du Premier Ministre, les uns optant pour une forme forte de présidentialisme, d'autres optant pour un gouvernement du Chancelier, selon le type allemand.

Il y a là une contradiction entre la volonté d'aller vers une direction fédéraliste et les résultats que l'on veut obtenir parce que dans une vraie optique fédéraliste, où les compétences de l'Etat fédéral sont fortement diminuées, il n'existe plus le problème d'avoir un chef de gouvernement extrêmement fort. Il suffit de prendre l'exemple de la Suisse, où à l'intérieur de l'Etat fédéral le Chef de l'Exécutif n'est pas l'"homme fort", mais c'est l'homme qui, étant substitué chaque année pendant son mandat, dirige les travaux du Gouvernement et pourtant la Suisse démontre d'avoir une forte capacité politique et administrative.

Dans cette perspective nous souhaitons qu'il y ait une attribution forte de pouvoirs à toutes les régions, qu'il y ait par rapport à la situation actuelle une croissance vers le haut pour toutes les régions et que - dans cette perspective - il n'y ait aucune diminution de pouvoir pour ce qui concerne les Régions à Statut spécial. Nous sommes d'accord pour que les autres Régions croissent, nous ne sommes pas d'accord pour que les cinq Régions à Statut spécial perdent des compétences qu'elles ont actuellement parce qu'il y a des raisons historiques qui ont porté à la situation actuelle.

Il y a des raisons politiques pour la situation que ces Régions ont connue pendant la résistance au fascisme et dans les années qui ont suivi la guerre, les années ?45-'46-'47, jusqu'à la formulation de la Constitution et des Statuts des Régions spéciales. Il y a des raisons ethniques et linguistiques qu'il faut encore sauvegarder, il y a des raisons économiques pour les Régions de montagne par exemple, ou pour les Régions insulaires et territoriales qui font que ces Régions ont encore besoin d'une forme particulière d'autonomie.

Lorsque nous avons commencé à rédiger la motion qui vous a été présentée, une première question a été posée aux membres de la Commission: est-ce que nous voulons un document qui donne des indications pour parvenir à un vrai Etat fédéral ou qui tient compte aussi de la réalité?

C'est de ces deux volets que nous avons essayé de tenir compte, en pensant d'un côté aux idéaux, mais en essayant d'être réalistes d'autre part parce que nous savons très bien que les résultats de la Commission Bicamérale ne seront certainement pas ce que ce Conseil a déjà souhaité dans le passé et dans la direction où il voudra se prononcer aujourd'hui.

Une chose est nécessaire: un fort pouvoir législatif doit être donné à toutes les régions; d'autre part le pouvoir de l'Etat doit être diminué en renversant le principe de l'actuel article 117.

Quant à la Commission, elle a indiqué les compétences qui devraient rester à l'Etat fédéral, c'est-à-dire les compétences en matière de défense, en matière de justice, en matière de politique économique, en matière de politiques monétaires et en matière de politiques extracommunautaires. Donc une série limitée de compétences, qui sont d'ailleurs celles que les Groupes politiques et techniques de la Conférence des Présidents des Assemblées régionales avaient indiquées dans un document tout récent lors de la réunion qui s'était tenue au mois de mars à Aoste.

Mais dans cette croissance des compétences régionales est-ce qu'il a encore raison d'exister une spécialité? La réponse que la majorité des composants de la Ière Commission a voulu donner c'est une réponse positive; même en souhaitant que toutes les régions aient non seulement les compétences qu'ont les Régions à Statut spécial aujourd'hui, mais supérieures, nous pensons qu'une diversité doit quand même exister entre les régions et au moins une partie des Régions à Statut spécial parce que des problèmes persistent quand même. Il s'agit de problèmes de type linguistique, de type culturel, de type scolaire, qui doivent pouvoir nous différencier par rapport à d'autres régions. Là où il y a la présence de deux ou de plusieurs langues qui ont été rendues officielles - c'est le cas de trois régions du nord -, ces Régions doivent dans ce domaine pouvoir se gérer de façon différente des autres Régions qui n'ont pas ces mêmes problèmes. Je parle des langues historiques que ces Régions doivent sauvegarder pour sauvegarder leur culture originelle.

Dans la discussion de cette spécialité nous nous sommes penchés sur l'article 116 de la Constitution. Il est vrai que la Commission Bicamérale n'a pas le pouvoir d'intervenir dans les Statuts spéciaux et donc la Bicamérale ne va pas se pencher sur la modification des Statuts, mais l'article 116, étant inséré dans la deuxième partie de la Constitution, peut faire objet d'attention et de modification de la part de la Commission Bicamérale. C'est pour cela que nous avons voulu insérer un volet qui concerne ce problème et cela n'est pas en contradiction avec le fait que la Bicamérale ne puisse pas toucher les Statuts actuels.

Nous avons indiqué quant à l'article 116, dans la prévision d'une réformulation de l'article même, certaines adresses que nous souhaitons la Bicamérale puisse suivre dans ses travaux.

Le problème principal c'est celui que ces Statuts doivent être rédigés et votés exclusivement par les régions dans le principe de l'autodétermination des peuples.

Ce principe a été inséré ici parce que nous avons voulu demander que les futurs Statuts ne concernent que les régions elles-mêmes, qu'ils proviennent de la volonté des régions et uniquement des régions. Pour expliquer ce que signifie autodétermination, il y a évidemment des passages différents.

Autodétermination signifie avant tout qu'un peuple veut s'affirmer et il dit donc quel est son territoire; pour ce qui nous concerne nous disons du Mont Blanc à Pont-Saint-Martin. Ensuite ce peuple veut s'autodéterminer, mais pour faire cela il faut qu'il y ait des passages successifs; le premier est celui de l'autoorganisation, c'est-à-dire le peuple qui s'organise de lui-même et c'est pour cela qu'à l'intérieur d'une éventuelle modification de l'article 116 il faut que le prochain Statut d'autonomie soit le fruit uniquement de la volonté des Conseils régionaux. Ensuite ce même peuple, ayant obtenu cela, parviendra à s'autogérer.

Donc pour nous autodétermination ne signifie pas sécession, même si elle fait partie de ce principe. C'est un principe qui est reconnu par le droit international, droit qui a été à son tour approuvé par l'Etat italien, mais notre position est claire, nous avons présenté un projet de nouvelle Constitution de l'Etat italien, qui s'inspire au principe de l'autodétermination et qui définit quel est l'Etat.

Il faut qu'il n'y ait donc pas l'intervention, ainsi qu'il a été de ?45 à ?48, en ?48 pour les cinq Statuts actuels, un octroi de la part du Gouvernement central, pouvoir central auquel ne revient qu'un droit de contrôle donc, nous avons prévu que les Présidents des Chambres et que le Président du Conseil des Ministres puissent éventuellement renvoyer à la Cour Constitutionnelle les Statuts des régions, qui pourra déclarer si ces Statuts sont dans les limites de la Constitution ou non.

Donc l'unique pouvoir de contrôle est celui sur les vices de légitimité constitutionnelle et non pas dans le mérite des Statuts, autrement ce principe d'autodétermination viendrait à tomber. Après l'approbation il faut que les Statuts acquièrent valeur de loi constitutionnelle, mais nous souhaitons aussi qu'aux Régions à Statut spécial une personnalité juridique particulière soit attribuée surtout pour ce qui concerne certains types de compétences, par exemple pour ce qui est des rapports transfrontaliers, pour ce qui est des rapports avec l'Union européenne, pour ce qui est de certains rapports internationaux, dans le domaine de la culture ou de l'instruction.

Le rapport dressé par Monsieur D'Alema à la Commission Bicamérale pose l'accent sur le problème des Régions à Statut spécial. Il dit que ces Régions doivent être conservées, même si on ne comprend pas exactement quelle est la juste direction parce qu'on se rapporte à une évaluation globale qui devra être faite sur le type d'autonomie concédée aux autres Régions.

D'Alema pose l'accent, en parlant de la raison pour laquelle les Régions à Statut spécial doivent être sauvegardées, sur le problème économique, sur certains problèmes de district industriel. Mais surtout le maintien du régime actuel des Régions à Statut spécial est dû - d'après ce rapport - au fait de la protection ethnique et linguistique des peuples qui composent ces Régions mêmes.

Aux Régions à Statut spécial et aux Régions à Statut ordinaire doivent être attribués les pouvoirs législatifs dans tous les domaines qui ne sont pas de compétence de l'Etat, mais pour ce qui concerne les Régions à Statut spécial, on demande qu'il y ait un passage immédiat de toutes les compétences qui sont actuellement des Régions à Statut ordinaire selon le décret législatif 616 et qui certaines Régions à Statut spécial n'ont pas encore.

Un accent a été mis dans cette motion sur le problème des finances régionales, là aussi avec un renversement de la situation actuelle, avec l'obtention d'un pouvoir d'imposition de la part des régions, de l'utilisation des ressources naturelles de ces régions mêmes; cela dans la direction de la solidarité entre les régions pour qu'il y ait une péréquation entre les différentes régions.

Nous avons voulu mettre aussi l'accent sur les pouvoirs administratifs que nous désirons que des régions passent aux collectivités locales. Evidemment, au point de vue administratif, la plus grande décentralisation et autonomie administrative doivent être attribuées aux collectivités locales, ainsi que le pouvoir économique qui est nécessaire pour gérer ces pouvoirs administratifs et donc une décentralisation financière envers les collectivités locales.

Je répète que nous souhaitons que le pouvoir législatif soit exercé pleinement dans les domaines qui sont de compétence des régions et donc là aussi il ne doit pas s'instaurer un contrôle sur les lois approuvées par les régions, sinon un contrôle unique: celui de la légalité constitutionnelle.

Donc il s'avère nécessaire l'abolition du système de contrôle actuel par les Commissions de coordination qui ont la possibilité d'intervenir sur les lois édictées par le Conseil. Dans un Etat vraiment fédéral ce contrôle ne doit être qu'un contrôle de légitimité constitutionnelle, étant libres les régions par contre de légiférer à leur gré, mais évidemment aussi pour rendre plus adéquat ce contrôle de légitimité constitutionnelle, la motion souhaite une modification de la Cour Constitutionnelle elle-même. Nous avons souhaité, sur l'exemple d'un certain nombre de projets qui ont été présentés à l'attention de la Commission Bicamérale, que la moitié des membres soit nommée par les régions.

Nous allons poursuivre en tel que Commission nos réunions. Il fallait soumettre à l'attention du Conseil ce document, mais la Ière Commission élargie aux Chefs de groupe va continuer à se rencontrer avec nos Parlementaires, aussi parce que de la part de Monsieur D'Onofrio sera présenté jeudi un document qui concerne l'aspect de la forme d'Etat et donc la réforme de cette partie de la Constitution concernant la forme d'Etat.

Nous avons eu certaines anticipations par le débat qui s'est tenu hier et par les comptes rendus qui ont été donnés aujourd'hui par les journaux. D'Onofrio parle de "venti piccole Italie federate", donc de la transformation en Etat fédéré des 20 régions actuelles, il indique une série des points concernant son fédéralisme.

Au point de vue personnel et pour ce qui concerne l'Union Valdôtaine, il y a certains aspects qui ont été soulignés par D'Onofrio qui peuvent trouver notre accord, mais là aussi il y en a plusieurs - c'est la majorité - qui nous préoccupe: nous sommes loin là aussi d'une vrai réforme de l'Etat en sens fédéral.

Nous aurons la possibilité jeudi d'avoir ce document et donc nous attendons à prononcer un jugement sur cette partie de la réforme ainsi que sur les travaux de la Bicamérale, au moment où nous connaîtrons exactement le document. Mais je crois que c'est pour cela qu'il s'avère quand même nécessaire de suivre avec attention la continuation des travaux de cette Commission, d'être en rapport constant avec nos deux Parlementaires et de voir la possibilité, lors du débat qui se tiendra à l'intérieur de la Commission Bicamérale à travers notre Sénateur, de nous insérer à travers des indications bien précises.

Je livre donc à l'attention du Conseil cette motion; je l'ai dit au début, je le répète, ce document n'est pas un document unitaire. La motion a été votée aussi par points, sur certains d'eux certaines forces politiques se sont abstenues ou se sont déclarées contraires, la même chose s'est avérée sur le document dans son entier. Cependant tous les points et tout le document ont obtenu une majorité à l'intérieur de la Commission et des Chefs de groupe et c'est pour cette raison que nous avons pu vous le présenter. A vous maintenant de le débattre et de l'approuver.

Si dà atto che, dalle ore 11,53, presiede il Vicepresidente Aloisi.

Presidente Ringrazio il Presidente della I Commissione, Consigliere Perrin. È aperta la discussione generale. Ha chiesto la parola il Consigliere Dujany.

Dujany (PVA) È con soddisfazione che ricordo che oggi sta per prendere corpo e sostanza, mediante un preciso documento già illustrato in modo più che adeguato dal Consigliere Perrin, la presa di posizione di questo Consiglio intorno ai lavori della Bicamerale e della riforma della Costituzione, che era stata sollecitata da una mozione del nostro Gruppo consiliare, nonché intorno agli indirizzi consiliari da fornire ai nostri Parlamentari ed in particolare al Senatore Dondeynaz che fa parte della Bicamerale.

Così come prendo atto con soddisfazione che la I Commissione consiliare, diretta con autorevolezza dal collega Perrin, abbia stabilito una sorta di confronto continuo di qua fino al termine dei lavori della Bicamerale con i nostri Parlamentari, che settimanalmente troveranno nell'incontro con la I Commissione integrata dai Capigruppo una possibilità di continua riflessione e continua verifica sui contenuti che emergeranno nell'ambito della Bicamerale.

Intervengo comunque a nome dei gruppi politici che si richiamano agli Autonomisti per ricordare innanzitutto la scelta federalista che viene fatta in materia di trasformazione dello Stato italiano. In un momento in cui il dibattito politico nazionale, la stessa informazione nazionale, vedono un'inventiva italica in grande azione, diretta a produrre concetti nuovi in merito all'esistenza di un federalismo amministrativo, di un federalismo solidale contrapposto ad un federalismo egoista, in merito addirittura ad un federalismo secessionista - si sono addirittura letti questi concetti sulla Stampa -, ebbene sull'argomento è indispensabile fare un po' di chiarezza, per intendersi.

Cos'è il federalismo? È una visione politica che si estrinseca con la linea del pensiero democratico, ma non solo: esso è prima di tutto una filosofia sociale.

Proudhon asseriva: "Tutti associati e tutti liberi". Il pensiero del federalismo prende piede in una linea di opposizione alle correnti assolutistiche centralistiche. Si diceva: "Lo Stato non va ucciso, ma sottoposto ad una rigorosa dieta dimagrante, che lo trasformi da padrone in strumento della società". Così Proudhon parlava dell'Italia: "L'Italia è federale per la costituzione del territorio, per la diversità degli abitanti, per lo spirito, per i costumi, per la storia; è federale in tutto il suo essere e da tempo immemorabile. Con la federazione la nazionalità italiana si assicura, si consolida, si afferma, mentre con l'unità si crea per essa un fanatismo che la soffocherà".

Parlare di nazione però nell'800 significava riferirsi al luogo di origine delle genti. Con la nascita dello Stato moderno, centralizzato e burocratico, si sposta il senso di nazione dal popolo all'organizzazione giuridica e politica. Nazione è ora lo Stato.

La storia dell'Italia è carica di esperienze federaliste, è sufficiente richiamare il pensiero di Rosmini, del Cattaneo, di Giuseppe Ferrari allievo di Romagnosi. Purtroppo tali pensieri risultarono nel tempo politicamente soccombenti, per cui si pervenne al trionfo della soluzione unitaria nel Risorgimento, poi proseguita nel periodo fascista.

Se dunque il federalismo deriva dal principio cristiano di sussidiarietà: lo Stato al servizio della persona, e dal principio liberale dei diritti naturali, non deve stupire che il fascismo rifiutasse sia lo Stato federale sia le confederazioni fra Stati. Già accentrato e burocratizzato durante l'età liberale, lo Stato italiano divenne ancora più centralista. Luigi Sturzo, che trascorse anni di esilio in democrazie federali, Inghilterra e Stati Uniti, scriveva: "Ora si ritrovano unite tre forze insieme: il fascismo come partito di mediazione e come potere dittatoriale, i ceti conservatori e la monarchia, come mediati dal fascismo. Non c'è più posto per l'uomo, individuo libero, fine dello Stato e della società. È invece lo Stato fine dell'uomo, quello di voler mantenere intero e intatto il potere legislativo statale anche in materia locale, con timore che dandolo alle regioni potesse venir meno quell'uniformità di leggi che garantisce l'unità e che costituisce a mio parere un ragionamento bigotto ed ignorante".

Questa fissazione antica e recente che la Regione possa intaccare l'unità dello Stato ha fatto nascere quest'ultimo con tali deficienze, così da non renderlo mai vitale e credibile nella gente.

Nel solco della storia dobbiamo poi richiamare il pensiero federalista del Salvemini, che di ritorno dalla Svizzera capì ed indicò con molta chiarezza la grande truffa delle regioni, istituite in Italia dall'alto, occupate dai partiti nazionali e non sorte sulla base del principio dell'autodeterminazione.

Il tema attuale del federalismo si pone ora in Italia in totale antitesi con il federalismo tradizionale. Mentre ancora nel secolo scorso il problema dominante era come fare di ogni pluralità di paesi minori un più o meno grande Stato nazionale, oggi la questione cruciale è come assicurare alle convivenze particolari quali quella Valdostana il diritto a conservare e sviluppare la loro identità e la propria libertà di azione nel quadro di sistemi economico-politici non dominati dal principio dell'unitarietà e dell'omogeneità, in un contesto che non è più soltanto quello nazionale, ma europeo.

Cosa significa dunque federalismo? Nella lingua latina "foedus" significa patto, alleanza, trattato: la federazione è fra persone ed istituzioni che reciprocamente hanno fiducia e si dichiarano pronte a rispettare un patto, esso è l'atto con cui fra di loro viene stipulata una libera associazione e ciò avviene tramite l'applicazione concreta del principio di autodeterminazione dei popoli.

La federazione non è solo diversa dalla confederazione, è qualcosa in più; essa non interviene fra stati diversi, bensì fra regioni diverse all'interno di un solo stato.

Nella confederazione la pluralità prevale sull'unità, nella federazione l'unità prevale sulla pluralità.

Nel principio federale autonomia ed unità non solo non si contrastano, ma si reggono vicendevolmente; anzi, la federazione, nella misura in cui supera la centralizzazione artificiale imposta, mentre libera le tendenze autonomistiche sollecita anche le tendenze associative. Non è un caso che le nazioni più unite siano proprio quelle a governo federale; è sufficiente porgere uno sguardo alla vicina Svizzera per rendersene conto.

Nel federalismo la nazione comune italiana viene sentita e vissuta non ai danni delle nazionalità particolari; essa è piuttosto la volontà di estendere le nazionalità particolari in una più vasta nazione.

Il sistema federale, dunque, costituisce il superamento, ma non l'annullamento della pluralità nell'unità delle molte nazioni nell'unica nazione, proprio nel senso della coscienza contemporanea che vuole aprirsi all'universalità, senza con ciò perdere la propria individualità.

Nel federalismo i principi dell'autonomia e dell'unità sono evidentemente conflittuali e vanno continuamente fatti convergere proprio perché non potranno mai convergere del tutto; il problema della democrazia e del federalismo non è quello del potere perfetto, ma dei limiti del potere.

E qui come non ricordare Benjamin Constant, originario della Svizzera, che rilevava che i grandi Stati hanno grandi svantaggi in quanto le leggi partono da un luogo talmente lontano da quelli dove devono applicarsi, che errori gravi e frequenti sono l'effetto inevitabile di questa lontananza.

In quale contesto avviene l'attuale dibattito? È un contesto in cui la partitocrazia ha ancora la preminenza nell'ambito parlamentare; se la Seconda Repubblica vorrà evitare i difetti della prima, dovrà in primo luogo tendere a distruggere la partitocrazia, essendo quest'ultima contraria alla democrazia. Anche se essa si apre con le maschere del pluralismo e della libertà di scelta da parte del cittadino, è in realtà una dittatura parlamentare. Ricordiamo a questo proposito il detto di Sturzo, che i partiti devono fermarsi alla soglia del Parlamento, senza occupare il potere.

Abbiamo dall'altra parte uno sfacelo dello Stato assistenziale. Voleva ottenere più benessere ed ha prodotto una grave crisi economica; proponeva impegno e partecipazione del cittadino e invece ha sollecitato deresponsabilizzazione; intendeva rendere la società più flessibile e l'ha fortemente irrigidita; mirava all'incremento e miglioramento dei servizi sociali e li ha incancreniti ed avviliti.

L'errore di base è consistito nella realizzazione dello Stato assistenziale come statizzazione della società a servizio del dominio partitocratico. Nel momento attuale il pericolo è quello di uno Stato tanto più invadente tanto più burocratico, tanto più costoso quanto più inefficiente. La via d'uscita è quella che risponde all'indicazione di più società e meno Stato, si tratta di rifondare una convivenza sociale sul primato della persona.

Un altro elemento è l'esigenza di superamento dello Stato centralistico; occorre trasformare la Repubblica, apparentemente unica ed indivisa, in una Repubblica autenticamente federale e pertanto realmente unita. Non è un caso che gli Stati più saldi del mondo siano proprio quelli federali. Lo Stato federale poi costituisce la migliore difesa dell'identità locale dei cittadini, quel complesso di tradizioni e comportamenti che attribuiscono un nome e un viso ai membri di una comunità e che Simon Veil chiamava "racinement".

La soluzione federale, mentre collega le diversità nell'unità dello Stato, impedisce a questo di divenire centralismo e prevaricazione: tutti italiani, ma senza con ciò cessare di essere prima di tutto Valdostani, Liguri, Lombardi e così via.

Democrazia e federalismo insieme nati non sono soltanto dei metodi di governo, sono anche e soprattutto due concezioni dell'uomo e della società. Essi affermano il primato della persona e delle sue forme associative sullo Stato.

Infine in Italia il federalismo appare necessario proprio perché gli eventi della nostra storia, anche recente, hanno fortunatamente impedito il formarsi di una coscienza civile statale.

Certo che è difficile pensare che la partitocrazia nazionale, così ben rappresentata nella Bicamerale, possa convergere su tali principi. La visione dello stesso Presidente della Bicamerale, D'Alema, lascia enormemente perplessi sui suoi veri obiettivi quando dichiara che il federalismo nasce come decentramento dei poteri di uno Stato centrale e non come il risultato storico di un incontro fra Stato e regioni.

Questa visione di semplice modernizzazione e razionalizzazione dello Stato ci lascia perplessi sul futuro e sul fatto che possa affermarsi l'idea federalista poiché non è possibile tendere a far coincidere il semplice decentramento di poteri con una vera visione federalista.

Abbiamo ancora in tale logica una visione che parte dall'alto, dallo Stato, anziché dal basso ed è ben distante dal riconoscere le diversità politico-culturali dei popoli d'Italia.

L'unité de la pensée fédéraliste vient de la certitude - partagée par tous ceux qui d'une manière ou de l'autre se réclament d'elle - que l'Etat n'est pas une réalité suprême, transcendante, et par conséquent totalement distincte des multiples expressions sociales qui la composent. Paradoxalement le fédéralisme repose d'abord sur cette exigence du petit Etat.

Certes, il est une aspiration à l'élargissement et même à l'universel, mais par les voies du particulier. Il n'y a donc pas incompatibilité entre le petit Etat-communauté et l'Union fédérative aussi vaste qu'en soit l'étendue, mais si l'on regarde bien ils s'appellent réciproquement.

Le phénomène de la sécession proposé par la Lega peut donc être dépassé à travers l'affirmation d'une unité qui repose sur le respect des identités, donc sur le consentement et la permanence des diversités, nullement sur leur réduction ou leur mise en tutelle.

Chaque fois que les divisions tendent à faire des cellules closes (voir la Padanie qui ne nous appartient pas) qui, en se réformant sur elles-mêmes, oublient leur vocation commune et même leurs intérêts communs, le fédéralisme a voulu être un rassembleur et c'est le pôle de l'union qu'il a exalté.

Mais quand plus souvent encore une unité centralisatrice, à travers les instruments de la bureaucratie, tente d'écraser tous ceux qui osent se réclamer de la liberté, alors oui le fédéralisme devient un défenseur obstiné des diversités, sans lesquelles il n'y a pas d'unité digne de ce nom.

En conclusion, contre les rivalités de l'esprit de clocher il est unitaire; contre l'idéologie et la bureaucratie totalitaire il est séparatiste. Et pourtant c'est toujours le même.

Nous sommes tous, individus ou groupes, des existences uniques et autonomes qui doivent se suffire à elles-mêmes; pourtant chacune de ces existences s'accomplit que par les autres. Essentiellement le fédéralisme représente la possibilité de faire revivre ensemble des hommes et des groupes différents, sans qu'ils renoncent à rien d'eux mêmes. La Vallée d'Aoste est réussie à faire vivre ensemble dans ses 50 ans d'autonomie réduite ses composantes différentes, qui ont su vivre bien ensemble en s'enrichissant réciproquement.

Par-là le projet fédéraliste ne vise à rien de moins qu'à l'affirmation de l'unité humaine dans sa plus large compréhension, comme dans toute son extension.

Questa visione è ben lontana dall'appartenere alla maggioranza della Bicamerale ed alla stessa posizione del Presidente D'Alema, che mercoledì scorso ha riassunto lo stato dei lavori della Bicamerale ed ha indicato alcuni indirizzi. Pur in un'analisi di bisogno di profondi cambiamenti evidenziata dallo stesso D'Alema, vanno ricordati alcuni punti di grande negatività e di pericolo per la nostra autonomia, che hanno caratterizzato quest'intervento. Pericoli che andrò ad identificare.

Prima di tutto, un'esigenza di federalismo - anche qui il termine non sarebbe davvero appropriato - che nascerebbe da un bisogno di decentramento di poteri e non come risultato storico di un nuovo rapporto fra Stato e regioni, non come un riconoscimento delle diversità politiche e culturali delle comunità presenti sul territorio nazionale. E quindi, come dicevo prima, con un bisogno soltanto di razionalizzare un sistema che ormai fa acqua da tutte le parti.

Un secondo aspetto riguarda il giusto modo di porsi, parte da una definizione di competenze statali, che vengono già indicate come sufficientemente ampie e compiute, ma senza dire minimamente di quali competenze dovrebbe essere investito lo Stato quindi, sotto questo profilo abbiamo una grande genericità dell'intervento.

Un terzo aspetto riguarda l'indagine fatta sulle Regioni a Statuto speciale. A questo proposito mi pare di poter individuare un tentativo di omologazione al ribasso, nel senso che si tende ad inserire le Regioni a Statuto speciale nel contesto più generale di autonomia che sarà riconosciuta a tutte le regioni; quindi non una distinzione precisa della diversità rappresentata dalle Regioni a Statuto speciale, ma il bisogno di armonizzarle e di inserirle nel contesto più generale dei poteri che verranno attribuiti alle Regioni a Statuto ordinario, di cui non si ha ancora traccia, con grave pericolo di vedere addirittura ridotti gli attuali poteri che le Regioni a Statuto speciale hanno.

Un altro elemento di negatività riguarda l'esigenza di costituzionalizzare un rapporto diretto Stato-Comune, lasciando alle regioni la definizione dei soli enti intermedi; sotto questo profilo mi pare che il nostro documento invece sia molto chiaro e proprio partendo dal concetto federalista si dice che devono essere le regioni al loro interno ad individuare il miglior funzionamento, sulla base del principio di sussidiarietà, individuando quegli enti che risultino funzionali alle proprie istituzioni più generali.

Un ulteriore elemento di negatività riguarda il problema della fiscalità. Altro che federalismo fiscale! Qui ancora una volta si parte individuando nello Stato centrale il momento di raccolta di tutto il denaro, prevedendo poi una ridistribuzione nuovamente dallo Stato. Anche qui siamo lontanissimi da una logica federalista.

Ultimo punto, si elimina definitivamente - si accantona, questo è il termine usato da D'Alema - la previsione di una Camera delle regioni; quindi si andrebbe verso un bicameralismo differenziato, ma non un bicameralismo rappresentativo di interessi diversi. Ed è qui che mi pare di poter individuare ancora una volta la forza della partitocrazia nazionale che tende - lo dice espressamente lo stesso D'Alema - ad assicurare l'omogeneità del risultato politico. La preoccupazione non è quella di avere due Camere rappresentative di interessi diversificati, che si confrontano e portano nell'ambito del Parlamento interessi diversi su cui poi trovare un momento unificante, ma è quella che si accantoni l'idea della Camera delle regioni proprio perché si individua in essa un pericolo al fatto di non poter assicurare un'omogeneità di risultato politico fra le due Camere.

Questi sono per ora i punti salienti. Come ricordava il Presidente Perrin, a partire dalla prossima settimana avremo a che fare con i testi legislativi, però le indicazioni di partenza sono quelle che ho riassunto. Evidentemente voteremo a favore del documento che è già stato votato da noi in Commissione in modo favorevole.

Presidente Ha chiesto la parola il Consigliere Squarzino Secondina.

Squarzino (VA) Non esaminerò tutti i problemi che all'interno della Bicamerale sono affrontati, limitandomi ad affrontare un argomento o due relativamente alla mozione che oggi stiamo discutendo.

Nel momento in cui come Consiglio abbiamo chiesto alla I Commissione consiliare, allargata ai Capigruppo, di seguire da vicino i lavori della Bicamerale, con attenzione soprattutto alla forma di Governo, era intenzione del Consiglio far giungere alla Bicamerale, attraverso i propri rappresentanti, delle proposte e il punto di vista della Regione, in particolare per quanto riguarda la forma di Stato, quella che riteniamo più efficace per dare una risposta ai problemi che oggi affronta.

L'obiettivo era quello di arrivare ad un punto di vista comune, condiviso da tutti, ma nel momento in cui ci siamo confrontati sul significato che davamo alla parola federalismo, abbiamo verificato quello che avviene anche nella realtà della ricerca, cioè che ci sono più concezioni di federalismo. Quindi era necessario confrontarsi con tutte le diverse sfumature in cui viene usata questa parola, soprattutto con il significato concreto che viene dato e con gli obiettivi di fondo che si hanno.

Nel momento in cui abbiniamo la parola federalismo alla parola autonomia, scattano interpretazioni diverse. Come abbiamo visto nel dibattito avvenuto ad Aosta, pochi giorni fa fra i costituzionalisti Barbera e Miglio, e nella relazione di D'Alema alla Bicamerale, diverse sono le interpretazioni che vengono date alla stessa espressione. Qui riprenderei quanto dice D'Alema chiaramente: "Il federalismo che vogliamo costruire nel nostro Paese nasce come decentramento dei poteri di uno Stato centrale e non..." - ed è questa la parte che voglio sottolineare - "... come risultato storico di un incontro fra Stato e regioni". Barbera, pur con parole diverse, esprime la stessa consapevolezza.

Esiste un'altra interpretazione del federalismo inteso come un fenomeno per cui più entità prima diventano sovrane con la secessione e poi decidono di unirsi per dare vita al patto federale.

Questa è una concezione che ho sentito echeggiare in questa sala e che è sottesa anche nella proposta di legge costituzionale che l'U.V. ha presentato al Parlamento.

Noi pensiamo piuttosto, e qui sono d'accordo con quanto diceva Barbera, che si debba parlare di un regionalismo forte, ispirato a principi federali, di un federalismo cioè che nasca dall'esigenza di governare e di supportare un processo di unificazione politica, di un federalismo che nasca da un processo di costruzione e non di disgregazione dell'unità politica.

In un caso (come dicono Barbera, D'Alema, ma anche i vescovi italiani la pensano nello stesso modo), il federalismo è visto come una risposta alle difficoltà, ai limiti del sistema centralizzato dello Stato, come uno strumento per rispondere ai disagi, alle tensioni, alle fratture che oggi minano l'unità nazionale, come uno strumento per valorizzare al massimo le potenzialità presenti sul territorio. Nell'altro caso invece il federalismo è visto più come uno strumento per affermare o realizzare progetti di indipendenza dallo Stato, progetti che sono venati di secessionismo al di là del fatto che non si vuole utilizzare questa parola.

Nel primo caso il binomio federalismo-autonomia significa che vogliamo una riorganizzazione dello Stato italiano in senso federale, riconoscendo alle regioni il maggior numero possibile di competenze legislative, tutte quelle che nell'ottica della sussidiarietà o della prossimità non possono essere efficacemente svolte dalle realtà territoriali più piccole (regioni, comuni) e precisando nella Costituzione gli ambiti di competenza dello Stato.

Nel secondo caso invece il binomio federalismo-autonomia significa Stato federale in cui esiste una confederazione di regioni, ciascuna indipendente e dotata di sovranità propria, regioni che decidono le regole di un nuovo stare insieme.

Ma per realizzare questa situazione nel nostro Paese dovremmo procedere prima al riconoscimento di un'indipendenza totale delle sue vari parti (le regioni, ad esempio) e poi saranno queste che ridefiniranno autonomamente in modo concorde le regole di un nuovo stare insieme.

Queste diverse interpretazioni emergono anche nella mozione che è stata predisposta in Commissione, proprio nelle parti che non condividiamo e che chiediamo di emendare.

Mi riferisco in modo particolare al punto b) della seconda parte, laddove si fa riferimento al principio di autodeterminazione di ogni popolo come criterio che deve ispirare la riformulazione dell'articolo 116 della Costituzione. Chiaramente quest'affermazione si ispira ad una concezione di federalismo che meglio si attaglierebbe ad un processo di confederazioni di Stati, una concezione che interpreta il binomio federalismo-autonomia come federalismo-indipendenza, come patto federativo fra regioni sovrane, fra regioni che si dichiarano cioè Stato, depositarie della sovranità del loro popolo, e che in quanto tali hanno il potere di autodeterminarsi.

A parte il fatto che non condividiamo quest'impostazione, che sul piano politico è l'opposto di quanto chiedono i movimenti federalisti che si sono storicamente affermati, quelli che sono alla base di tutti i processi di federalismo che abbiamo visto realizzarsi storicamente e che puntano invece ad unire realtà statuali diverse e a suscitare all'interno di queste realtà delle speranze e la volontà di un'unificazione. Ma al di là di queste considerazioni, tale impostazione è inoltre del tutto impraticabile per l'impossibilità di far esprimere sull'argomento l'elettorato. Non solo. Sarebbe un'impostazione che, se fosse applicata anche nella nostra Regione, sarebbe l'inizio di una disgregazione.

Per quale motivo dovremmo negare alla gente che abita un certo territorio l'idea di dichiararsi popolo e come tale di autodeterminarsi? In una logica federalista che non fa riferimento a entità territoriali autonome già esistenti e riconosciute, è difficile evitare un processo di disgregazione. Per questo motivo proponiamo i seguenti emendamenti che presento.

Si tratta di emendamenti che riguardano in particolare il paragrafo "sottolineato"; qui vogliamo eliminare l'ultima parte perché qualunque sia l'ottica che adottiamo, sia quella federalista in senso stretto, sia quella del regionalismo forte, non possiamo affermare che la materia dell'autonomia delle Regioni a Statuto speciale è sottratta alla discussione della Bicamerale, così come viene evidenziata nella mozione. Piuttosto vogliamo che la tematica delle Regioni a Statuto speciale venga affrontata in Bicamerale qualunque sia l'interpretazione data al problema. Se si andasse verso una confederazione di stati - anche se non condividiamo quest'impostazione - comunque la nostra Regione avrebbe tutte le competenze come tutte le altre regioni e dovrebbe rivedere le sue competenze all'interno della revisione della Costituzione. Come pure, se si andasse nella direzione che auspichiamo, quella di un regionalismo forte ispirato ai principi federali, condividiamo l'ipotesi di verificare quali sono le diverse competenze che le singole regioni sono in grado di esercitare. Quindi vogliamo che all'interno della Bicamerale si affronti il tema della specificità delle Regioni a Statuto speciale e si verifichino le competenze rispetto alle altre regioni.

Il secondo emendamento che proponiamo riguarda la seconda parte della mozione, lettera a). Chiediamo di eliminare l'elenco delle materie che qui sono indicate perché ad una successiva riflessione ci sembra che quest'elenco sia incompleto. È un elenco che ha solo valore indicativo, diversamente dovremmo fare un elenco molto maggiore; se per esempio prendiamo la Costituzione della Svizzera, vediamo che di volta in volta una serie di materie nuove sono state aggiunte ai poteri nella Confederazione: dal problema del patrimonio genetico, al problema dell'esercizio e della costruzione delle ferrovie, al problema dei carburanti e via dicendo. Per cui riteniamo che sia importante affermare il principio secondo cui debbono essere fissate in Costituzione le materie di competenza dello Stato, mentre tutte le altre sono di competenza delle regioni.

Proponiamo un terzo emendamento che riguarda la lettera b) della seconda parte, dove si parla dell'autodeterminazione dei popoli, proprio nella logica delle cose che dicevo prima. Non solo. Riteniamo che anche la parte contenente tutta la specificazione dei vari punti che sono elencati dopo la lettera b), cioè quelli che si riferiscono alle procedure con cui vanno adottati gli Statuti speciali, vada cassata perché è coerente con la logica dell'autodeterminazione dei popoli, è cioè coerente con la logica della Regione in quanto Stato, che ha in sé delle competenze costituzionali.

Chiediamo quindi che venga eliminata questa parte, mentre affermiamo con forza che deve essere previsto all'interno della Costituzione il mantenimento di forme e di condizioni particolari di autonomia per la Sicilia, la Sardegna e le altre Regioni a Statuto speciale.

Infine riformuliamo la lettera d) riguardante il federalismo fiscale perché c'è qui un elemento che è un po' equivoco nella formulazione. Da una parte si afferma che bisogna invertire l'attuale flusso finanziario dal centro alla periferia attribuendo alle regioni e agli enti locali la potestà impositiva, dall'altra c'è un elemento che può essere ambiguo, laddove si dice che vanno garantite delle risorse finanziarie alle competenze legislative già esistenti e a quelle che saranno ulteriormente assegnate. Ora, una volta che abbiamo definito in una logica di federalismo fiscale le imposizioni maggiori che vengono riconosciute alle regioni e agli enti locali, che hanno la possibilità di esercitare direttamente la potestà impositiva, e una volta che affermiamo che sono ridotte drasticamente le tasse e i tributi introitati dallo Stato, abbiamo individuato i meccanismi con cui, all'interno delle decisioni che concordemente dovranno essere prese fra questi diversi enti, saranno definite le risorse necessarie per esercitare le diverse competenze legislative riconosciute agli enti territoriali.

Chiaramente il nostro voto dipenderà dall'accoglimento di questi emendamenti. Ci riserveremo comunque di tornare in sede di discussione su altri aspetti che non ho in questa sede sottolineato.

Presidente Ringrazio il Consigliere Squarzino, alla quale rammento che gli emendamenti dovranno essere presentati formalmente alla Presidente.

Con l'intervento della stessa, chiudiamo i lavori della seduta mattutina che verranno riaperti alle ore 16,00 di oggi.

La seduta è tolta.