Objet du Conseil n. 137 du 4 octobre 1968 - Verbale

OGGETTO N. 137/68 - Comunicazioni del Presidente della Giunta.

Il Presidente della Giunta, BIONAZ, riferisce di dover fare al Consiglio due comunicazioni, di cui la prima può essere fatta subito in seduta pubblica, mentre la seconda deve essere fatta in seduta segreta, perché concerne un provvedimento da adottare nei confronti di un dipendente dell'Amministrazione regionale.

Il Presidente, MONTESANO, preso atto di quanto detto dal Presidente della Giunta, Bionaz, dichiara che la comunicazione concernente un provvedimento a carico di un dipendente regionale potrà essere fatta a fine seduta, in sede di trattazione di altri quattro argomenti che pure debbono essere discussi in una seduta segreta.

Il Consiglio prende atto.

Il Presidente della Giunta, BIONAZ, riferisce quindi quanto segue:

"Signor Presidente del Consiglio e Signori Consiglieri, l'aggressione che ha offeso i cechi e gli slovacchi e che si rivela ancora oggi attraverso il loro dramma di coscienza ci impone, in questa prima seduta del Consiglio, dopo i fatti di agosto, il dovere di rendere pubblica testimonianza dei sentimenti che la popolazione valdostana prova di fronte all'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'Unione Sovietica e di altri Stati del Patto di Varsavia.

Sono sentimenti di condanna della brutale sopraffazione che ha violato i fondamentali diritti dei popoli all'indipendenza ed all'autonomia, così come ha violato ogni principio di moralità internazionale, inferendo un duro colpo all'edificio della Pace.

Sono sentimenti di dolore per le vittime di tale tragedia, per i giovani uccisi, per coloro che sono dovuti fuggire, per coloro che sono stati epurati per avere creduto troppo presto nella libertà.

Sono sentimenti di rivolta per il cinismo con cui l'Unione Sovietica ha condotto nei confronti della Cecoslovacchia un disgustoso doppio gioco ed un perfido tradimento, preparando l'invasione mentre assumeva gli impegni di Cerna e di Bratislava.

Con il favore delle tenebre notturne, senza essere preceduti da alcuna dichiarazione, i carri armati di cinque Stati comunisti hanno invaso un paese che non minacciava, ma che era legato a quella alleanza di Varsavia, dalla quale invece riceveva offesa.

La carta delle Nazioni Unite, gli accordi di Yalta, il trattato di amicizia russo-cecoslovacco del 12 dicembre 1945, il patto di Varsavia del 1955, il trattato di non proliferazione nucleare, oltre ai già ricordati impegni di questa estate, tutti questi trattati, liberamente sottoscritti, sono stati schiacciati sotto i piedi dei militari sovietici.

Sono sentimenti di ammirazione per la nobile resistenza cecoslovacca; tutto un popolo si è ribellato con ammirevole, spontanea opposizione, assediando gli invasori e isolandoli in una barriera di avversione e di non collaborazione.

Sono sentimenti di amarezza o di delusione per la dimostrazione che la società umana ha offerto in questa occasione, di non avere, cioè, adeguati strumenti per opporsi alla politica della forza e per ridare a quel popolo l'autonomia e la libertà che aveva conquistato.

Sono, infine, sentimenti di solidarietà con una popolazione che ha visto, per la seconda volta in trent'anni, invadere le proprie Città e calpestare la propria indipendenza.

Noi intendiamo qui dare testimonianza di tutti questi sentimenti della popolazione valdostana, che noi condividiamo; ma essi non potrebbero placare la nostra coscienza se non si traducessero soprattutto in noi, uomini politici, in un impegno di fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità per fare comprendere che l'errore commesso in Cecoslovacchia, se isolato da un sistema negatore della libertà e della democrazia, può essere rimediabile e per fare comprendere che la libertà e la pace sono valori indivisibili. Se essi sono colpiti in Cecoslovacchia, anche noi ne soffriamo i rischi e le conseguenze.

L'impegno che assumiamo è, perciò, anche quello di restare vigilanti contro la politica della forza, contro le tentazioni della violenza ed il risorgere della guerra, contro tutto ciò che continua a dividere gli uomini. L'impegno è, infine, quello di prendere insegnamento dalla resistenza cecoslovacca, affinché sappiamo come fare a rinsaldare le nostre libere istituzioni.

Si constata, insomma, che libertà e comunismo sono termini contradditori: o l'uno o l'altro. Una combinazione tra essi non è possibile. Democrazia significa libera alternativa dei partiti al Governo; ma quale alternativa è possibile laddove non è ammesso che un solo partito?

La favola di un comunismo democratico è stata inventata dai partiti comunisti occidentali per turlupinare le masse: sono i fatti che lo dimostrano, sono le vittime del sistema che lo dichiarano, ma il mondo è pieno di sordi della peggiore specie, di quelli, cioè che non vogliono sentire.

Perciò la nostra condanna e la nostra indignazione sarebbero vane se gli ideali di pace e di libertà che avremmo voluto vedere rispettati a Praga fossero qui resi vani dalle nostre divisioni, dai nostri odi politici e dalla nostra cecità.

È per questo che non posso non apprezzare la posizione assunta dai comunisti italiani in questa vicenda. Essi hanno affermato di voler trarre dai fatti di Praga una lezione di autonomia che li ha portati a distinguere le loro responsabilità dalla politica di violenza di Mosca.

È pur vero che questa lezione non è ancora servita a riscattarli del tutto. Basterebbe pensare al fatto che il loro dissenso è stato formulato a livello di vertice e che nessuna organizzazione di esso è stata promossa all'interno del Partito; nessuna libera espressione di esso è stata permessa o alimentata democraticamente tra la base.

Comunque, un fatto appare certo, da quanto Togliatti ha detto, oltre trent'anni fa, "noi non difendiamo soltanto l'Unione Sovietica in generale, noi difendiamo concretamente la sua politica e ciascuno dei suoi atti", si deve registrare oggi la condanna, sia pure assai più prudente, dell'aggressione sovietica del 20 agosto fatta dal Partito Comunista Italiano.

Veramente, con grande sincerità, spero e mi auguro che questo atteggiamento dei comunisti italiani non si risolva in una posizione strumentale, oppure non si limiti ad una commedia per salvare la faccia, per non essere travolti dalla indignazione universale. Li colloco più volentieri fra coloro che ritengono che le parole contano e che le prese di posizione, quando sono inequivocabili, hanno un profondo valore morale e sono destinate ad aprire spiragli nuovi o, comunque, a suscitare fermenti e dibattiti che vanno oltre l'episodio contingente.

Quando la Russia aggredì la Finlandia, quando Ribbentrop e Molotov firmarono il 23.8.1939 il patto che avrebbe portato alla spartizione della Polonia, quando l'Unione Sovietica continuò ad aggredire altri Stati come la Lituania, la Lettonia, l'Estonia, quando essa violò gli impegni di Yalta e la Carta delle Nazioni Unite, instaurando regimi schiavi nei paesi occupati militarmente al di là della cortina di ferro, quando nel 1948 la Russia fece il colpo di mano a Praga, quando cercò di strangolare la Berlino Occidentale, isolandola dal mondo, quando schiacciò nel sangue la rivolta dei berlinesi nel 1953 e dei Polacchi nel 1956, quando fece alzare il muro di Berlino nel 1961 e quando fece imprigionare Sinavski e Daniel, in tutte queste circostanze non abbiamo mai sentito una sola parola di riprovazione e di dissenso da parte dei comunisti di casa nostra.

Così dicasi per l'annientamento della cultura ucraina, per la sanguinosa persecuzione contro i cattolici e gli ebrei, per la snazionalizzazione dei popoli non russi, per la collettivizzazione forzata, così come in occasione della pubblicazione del Rapporto Iliciov.

E quando, nel novembre del 1956, l'Ungheria fu schiacciata dai carri armati russi, Togliatti disse: "Una protesta contro la Unione Sovietica avrebbe dovuto farsi se essa non fosse intervenuta". E nella drammatica seduta della Camera dei Deputati italiani, dopo tale violenta repressione ungherese, allorché i rappresentanti di tutti i gruppi politici si levarono in piedi, solidarizzando con l'eroico popolo ungherese, soltanto i comunisti, ad un cenno di Togliatti, rimasero seduti, immobili.

Questa volta, invece, abbiamo subito saputo che il Partito Comunista la pensava molto diversamente e considerava ingiustificata la decisione dell'intervento militare, che non si concilia con i principi dell'autonomia e dell'indipendenza di ogni Partito Comunista e di ogni Stato Socialista, ed esprimeva grave dissenso, facendosi portavoce dell'emozione e della vivissima preoccupazione che colpiscono i movimenti operai, riaffermando, infine, la propria solidarietà con l'azione di rinnovamento condotta dal Partito Comunista Cecoslovacco.

È da augurarsi che l'autonomia del Partito Comunista italiano dalla sudditanza liberticida di Mosca faccia così un notevole passo avanti. Ripeto, non credo si tratti, a parer mio, di freddo tatticismo; anzi, credo più volentieri alla sincerità di questo travaglio attuale e di questa presa di coscienza e su questa linea va dato atto ai comunisti valdostani di essere stati più costanti nella riprovazione rispetto ai loro dirigenti centrali.

Dopo che il Gruppo comunista alla Camera faceva innegabilmente un passo indietro rispetto all'originario comunicato, non accennando più né al dissenso, né alla riprovazione, si poteva ascoltare al Consiglio comunale di Aosta e si poteva leggere sul la stampa della locale federazione del Partito comunista di Aosta, che il P.C.I. di Aosta ribadiva l'accusa che l'azione sovietica aveva determinato una lacerazione ed un conflitto nel mondo socialista e chiedeva il ritiro di tutte le truppe di intervento e soprattutto sollecitava che le esigenze della Cecoslovacchia fossero ascoltate e tenute in conto dai partiti dei paesi comunisti, l'Unione Sovietica in primo luogo. Ed ancora il 20 settembre si poteva leggere sul settimanale comunista locale che l'intervento in Cecoslovacchia è stato un tragico errore, tale da non poter essere giustificato in alcun modo.

Finalmente, si potrebbe dire, i comunisti si accorgono:

1) che in nessun posto come qui vi è la libertà integrale, che il progresso vi fa passi da giganti e che il tenore di vita delle classi popolari migliora sensibilmente ogni anno;

2) che il paragone con quello che sta succedendo oltre Cortina sta aprendo gli occhi anche ai più fanatici e che, comunque, almeno i più sinceri lo riconoscono apertamente.

3) che se non appare difficile trovare una difesa di fondo sui grandi problemi della pace e dell'indipendenza degli Stati in Europa, visto che la condanna dell'aggressione della Cecoslovacchia dovrebbe essere unanime per le premesse già esposte, altrettanto non dovrebbe essere difficile di tentare di essere meno divisi su altri grandi problemi della democrazia e della libertà.

A questo punto, sarebbe altrettanto logico di fare luogo ad una certa conseguenzialità e, cioè: questa libertà e questa democrazia, che non possiamo difendere se non con i mezzi che l'Occidente già ha indicato, debbono trovare scudo in quelle protezioni che si chiamano "il Patto Atlantico e la Nato" e alle quali dobbiamo 20 anni di libertà e di pace.

Evidentemente, di fronte alla sorte dei comunisti cecoslovacchi, tutti i comunisti occidentali dovrebbero avere un ripensamento per non subire gli oltraggi dei loro compagni di oltre cortina.

È questo l'augurio che io formulo e se è vero, come io ritengo, che i comunisti, a proposito della Cecoslovacchia, hanno fatto un passo avanti nell'autonomia da Mosca, ritengo che essi possano accogliere questo mio augurio: si tratta per i comunisti di portare avanti la loro posizione, provare che essa non è provvisoria, dimostrando con i fatti la loro scelta, uscire dall'equivoco e dare finalmente un'altra interpretazione a questi temi della libertà, della democrazia e della pace.

Solo nella democrazia e nella libertà resta aperta la via ad ogni possibilità di evoluzione e di progresso. Comunque, per quanto ci riguarda, stiamo in attenta attesa, fermi nei nostri propositi di ieri, di oggi e di sempre, di promuovere, di difendere la libertà a qualsiasi prezzo e con qualsiasi sacrificio".

Il Consigliere TONINO dichiara quanto segue:

"Non sarei intervenuto su questo argomento se il Presidente della Giunta, Bionaz, non me ne avesse dato lo spunto.

Le offensive parole del Presidente della Giunta verso delle Nazioni interessate alla giusta sopravvivenza del socialismo mi obbligano ad intervenire per una illustrazione più globale e non a senso unico.

Gli avvenimenti della Cecoslovacchia e le ripercussioni che tali avvenimenti hanno avuto in Italia e nel resto del mondo, cominciando dal movimento operaio nei Paesi socialisti, sono senza dubbio un fatto molto importante.

L'entrata in Cecoslovacchia di forze armate di Paesi del Trattato di Varsavia ha potuto creare un turbamento e divisioni dovuti a valutazioni differenti del Movimento operaio internazionale.

Noi, Socialisti di Unità Proletaria, riteniamo che si debbano individuare le condizioni e le cause che hanno portato all'intervento in Cecoslovacchia dei cinque Stati del Patto di Varsavia.

Individuare le ragioni dei ritardi e delle contraddizioni

in campo socialista che hanno sfociato nell'intervento armato, senza cercare di individuare la vera crisi cecoslovacca, non darebbe la possibilità di giudicare i rapporti esistenti fra i Paesi socialisti e all'interno del Movimento operaio internazionale.

Per questo il nostro Partito ha giudicato il ritiro delle truppe un necessario contributo alla ripresa socialista e allo sviluppo del Movimento operaio internazionale.

Noi pensiamo che il primo dovere sia quello di reagire al tentativo messo in atto in alcuni Paesi, - tra cui il tentativo stesso del Presidente della Giunta Regionale, in questo momento -, ed in Italia, da parte delle forze imperialiste, di strumentalizzare gli avvenimenti della Cecoslovacchia per rilanciare l'oltranzismo atlantico, cercando di rinviare la firma del trattato di non proliferazione e di creare, con l'esasperazione dell'antisovietismo, il clima della guerra fredda.

Si sono dimenticati, costoro, della lunga guerra del Vietnam, delle aggressioni a S. Domingo e a Cuba; si sono dimenticati e rimasti indifferenti di fronte alle decine di migliaia di comunisti morti in Indonesia e non hanno più avuto il tempo di pensare al problema della fame e dell'arretratezza economica nel mondo.

Tutto questo, però, non deve esimerci dal valutare ed approfondire le ricerche sulle ragioni di quanto è avvenuto, che è cosa che interessa tutto il Movimento operaio internazionale.

È necessario aprire un dibattito su tutto ciò che deve essere fatto e che si può fare affinché l'edificazione del socialismo e la lotta contro il capitalismo e l'imperialismo si sviluppino in ogni Paese, con vie rinnovate che partano dalla base dei lavoratori per dare maggiore forza ed obiettivi più avanzati in tutto il mondo, per l'edificazione del socialismo e le lotte per la trasformazione della società capitalistica.

Noi pensiamo che per superare la carenza che ci ha portato ai fatti della Cecoslovacchia sia necessario, come primo elemento, l'impegno del Movimento operaio, che è la solidarietà socialista, il quale può essere efficacemente operante solo nel quadro di una nuova strategia dell'internazionalismo operaio, che contrasti e batta la tendenza all'internazionalizzazione del capitale e al coordinamento dei Paesi capitalistici.

Tale strategia non può scaturire né dal ritorno alla concezione dello Stato e del Partito guida, né dalla somma delle vie nazionali al socialismo e tanto meno dalla somma di vie che abbiano diversi centri omogenei internazionali. E difatti, le tendenze circoscritte ad obiettivi prevalentemente nazionali, i contrasti, o rapporti errati tra Paesi socialisti creano profondi squilibri e acuiscono le contraddizioni inerenti allo sviluppo ineguale del socialismo, favorendo obiettivamente le forze socialdemocratiche nei Paesi capitalistici avanzati.

Non si tratta, oggi, di dare soluzioni prefabbricate, o di fornire ricette. Lo sviluppo ineguale tra Paesi socialisti, le condizioni profondamente diverse da Paese a Paese, da continente a continente, in cui operano il Movimento operaio, e le forze anti-imperialistiche sono una realtà che non può essere ignorata, né sottovalutata, ai fini della piena utilizzazione del potenziale di lotta, nei Paesi capitalistici e nel terzo mondo, delle risorse umane e naturali dei Paesi Socialisti.

Vi sono altri aspetti che non sto qui ad elencarvi e che potrebbero essere i rapporti tra Partito e classe lavoratrice, la medesima democrazia interna di partito, la partecipazione continua dei lavoratori alle lotte e all'edificazione del socialismo, che sono gli aspetti più immediati per tutto il Movimento operaio internazionale.

Il nostro obiettivo è quello di un rinnovamento del Movimento operaio, nel quale il Partito assolva il ruolo di coordinare e di indirizzare le lotte ai fini del socialismo, nel quadro di una politica unitaria e dialettica di cui siano partecipi e protagoniste tutte le forze anticapitalistiche e anti-imperialiste socialiste, laiche e cattoliche.

Fra il nostro Partito e i Partiti anti-capitalistici occorre, a mio avviso, rafforzare i vincoli unitari che non possono essere allentati da dissensi o da diverse valutazioni, ma francamente dibattuti per tutelarli come fatto interno del Movimento operaio.

Questo discorso lo possiamo fare anche a quei gruppi rimasti socialisti della socialdemocrazia unificata, disorientati e spettatori passivi di avvenimenti che passano sopra la loro testa. Questa è la risposta che ho inteso dare, chiara e definitiva, all'avvenire di classe. Speriamo nel socialismo noi".

Il Consigliere GERMANO dichiara quanto segue:

"Io vorrei prima fare rilevare il modo inusato con cui è stato introdotto nel dibattito del Consiglio questo argomento.

Non leggo tutti i punti del Regolamento, ma sono almeno quattro o cinque i punti che prevedono che i singoli Consiglieri devono sapere di che cosa discutere e possono votare solo le cose che sanno di dover discutere.

Dico "modo inusato", non perché da parte nostra non si voglia discutere di questo argomento. Siccome, però, pare che ci sia passione da parte del Presidente della Giunta e siccome pare che noi abbiamo intenzione di discuterne ampiamente, noi presenteremo una mozione e discuteremo di questo.

Però, non posso fare a meno di accennare ad alcune questioni che sono state altrettante imprecisioni da parte del Presidente della Giunta.

Prima di tutto, vorrei dire che è una questione seria, non è una questione da trattare dal punto di vista di una trincea che sia attaccata dal nemico.

L'impressione che ha dato il Presidente della Giunta è che ci fosse qualcosa che non andava ed allora: "facciamo una ondata di anticomunismo e mettiamo le cose a posto a casa nostra".

No, questa è una discussione seria; noi ne abbiamo discusso seriamente. Noi non ci siamo preparati a fare sparate, noi siamo stati anche senza dormire, perché la cosa ci preoccupava, ci interessava, ci appassionava e vogliamo continuare a discuterne seria mente, come di una questione seria.

Il nostro Partito ha disapprovato l'intervento, senza marce in avanti o marce indietro; lo ha disapprovato fin dal primo momento e, se il Presidente della Giunta non lo sa, io glielo comunico.

Il giorno stesso dei fatti, alle sei del mattino, il Direttivo della nostra Federazione si è riunito al Partito ed è stato riunito per tutto il giorno.

Quindi non è che la cosa la prendiamo battendoci su una trincea: è una questione grave e seria che deve essere affrontata con tutta la pacatezza, il buon senso, l'equilibrio di cui noi possiamo disporre.

E non solo gli organi di vertice o i dirigenti, perché il nostro Direttivo, nella stessa giornata, ha emesso un comunicato che è stato diffuso alla popolazione e siamo andati noi, del Comitato direttivo, a diffonderlo.

Noi non ci siamo limitati alla disapprovazione: il nostro Partito ha lavorato e lavora per il ripristino, per la normalizza zione della situazione in Cecoslovacchia.

Il nostro Partito è impegnato, con tutta la sua forza, in questo lavoro.

Questa è una seconda considerazione.

Bisogna anche pensare al perché di queste cose, a come possono succedere. Non è ormai più una analisi solo del nostro Partito, è una analisi anche di altre forze politiche, non solo del Partito Socialista di Unità Proletaria, ma anche del Partito Socialista Unificato, della Sinistra Democristiana e di molte altre forze; perché questa è una conseguenza della politica dei blocchi. L'azione che ogni persona di buon senso e di buona volontà oggi deve portare avanti è il superamento di questa politica, per creare delle condizioni in Europa e nel Mondo perché la distensione possa andare avanti.

Questo si può fare non con la rissa: si può fare con la discussione e con la discussione pacata.

Dirò ancora di più: il superamento della politica dei blocchi non è solo l'obiettivo del nostro Partito, è l'obiettivo di un largo schieramento in Italia che raggiunge la maggioranza.

Da che posizione noi comunisti facciamo queste cose? Noi non facciamo queste cose dalla posizione di dire: il Comunismo e la libertà sono in antitesi, sono in contraddizione.

No, noi vogliamo costruire una società socialista, dove l'uomo sia nel clima più democratico e più libero; per noi questa è la concezione della Società socialista.

Ripeto, non partiamo da quelle posizioni; partiamo dalle posizioni del socialismo, non abbandoniamo questa trincea e lavoriamo perché diventi come è la nostra aspirazione, come è l'aspira zione di milioni e di milioni di uomini, soprattutto di lavoratori.

Quindi, non partiamo noi dalla Sua posizione, Avvocato Bionaz, e vogliamo farlo rilevare pacatamente, molto pacatamente.

C'è stato un errore, questo errore è stato riprovato, lavoriamo perché si superi, perché la distensione possa andare avanti, perché la politica dei blocchi sia sconfitta, perché si crei un mondo di pace, dove il confronto sia libero, dove la scelta delle maggioranze sia determinante, però non dimentichiamoci di osservare, come abbiamo osservato alla nostra televisione, come si comportava il popolo cecoslovacco, che, non dimentichiamolo, era guidato dal Partito Comunista, nella sua resistenza passiva; e non dimentichiamo neanche come si comportava quell'esercito rosso: è un esercito del popolo, anche se è stato costretto a fare questo passo che noi non condividiamo.

Sono cose ben diverse da quelle che succedono, ieri e oggi, nel Messico, che non hanno provocato la Sua indignazione, e sono risultati anche ben diversi.

Pensiamo che sono morti ormai quasi due milioni di uomini, donne, vecchi e bambini nel Vietnam! due milioni, non 25 come si calcola sia il risultato di questo atto riprovevole da parte dell'Esercito Sovietico e degli altri Paesi socialisti: due milioni tra uomini, donne, giovani, vecchi e bambini. E non abbiamo mai sentito il bisogno di reclamare contro queste cose, di condannarle, di riprovarle, di dissociarsi!

Il nostro Paese è in una organizzazione di alleanza militare, se si vuole, anche politica, con Paesi fascisti, come la Grecia, dove migliaia e migliaia di persone sono imprigionate ed uccise, come il Portogallo, come la Spagna, e non c'è stato mai atto di indignazione.

Questa è una cosa che io vorrei fare osservare molto pacatamente al Presidente della Giunta.

Siccome, però, noi riteniamo che di queste cose si debba discutere e si debba discutere anche pacatamente, noi preannunciamo che intendiamo portare una mozione su questo argomento.

Io direi: non lavoriamo col coltello sotto il tavolo; non c'era nessuno di noi che voleva sfuggire una discussione del genere. Si poteva benissimo mettere all'ordine del giorno: "Comunicazione del Presidente della Giunta sui fatti della Cecoslovacchia": saremmo stati tranquilli e pacati come lo siamo adesso e avremmo agito alla faccia del mondo con la massima tranquillità. Noi vi preannunciamo: presenteremo la mozione, lo diremo e la presenteremo e intendiamo e ci auguriamo che la discussione serva a chiarire meglio le idee a noi ed a voi e serva a fare sì che il nostro Paese, il nostro Governo cominci a fare un passo anche lui nella direzione del superamento della politica dei blocchi.

Questo è il nostro pensiero".

Il Consigliere MANGANONI dichiara quanto segue:

"Io non sono stupito di vedere certe persone oggi atteggiarsi a super-patrioti cecoslovacchi.

L'ha detto Germano e tutti lo sapete che noi, comunisti, abbiamo disapprovato l'azione fatta dall'Unione Sovietica. Questo non vuole dire che noi condanniamo l'Unione Sovietica e che le indirizziamo insulti come ha fatto il Presidente della Giunta.

No, per noi il Partito comunista, sia dell'Unione Sovietica, sia di qualsiasi altro Paese, è sempre un Partito comunista fratello, che può sbagliare; e quando sbaglia, noi, non solo non ci associamo, ma disapproviamo l'operato, come abbiamo fatto adesso e come faremmo se simili fatti dovessero verificarsi in altre circostante.

Questa è la prima cosa che volevo dire. Trovo strano, però, che certi Signori, che si atteggiano a paladini della Libertà, non abbiano sentito il dovere di pronunciare una sola parola di protesta contro i massacri che gli Americani stanno compiendo nel Vietnam, ove milioni di vietnamiti sono morti: uomini, donne, bambini e vecchi, paesi, città, case, ospedali, scuole, pagode, chiese an che cattoliche, rasi al suolo; suore e preti ammazzati dalle bombe americane. Questo va tutto bene, secondo loro, questo si approva, questo è la Libertà.

Ecco perché io sono stupito della vostra posizione, che è una posizione troppo interessata e strumentale e, pertanto, io non intendo assolutamente ricevere delle lezioni di libertà da Voi. Tutto al più ve ne posso dare.

Riferendomi ai vostri insulti all'Unione Sovietica, io vi dirò che Voi all'Unione Sovietica dovreste ancora oggi dire "grazie" perché l'Unione Sovietica ha avuto mezzo paese distrutto e venti milioni di morti, non solo per liberare l'Europa, ma anche per liberare l'Italia e per liberare la Valle d'Aosta.

Se non ci fosse stata l'Unione Sovietica, oggi molti di voi, o quanto meno alcuni di voi, avrebbero ancora il fez e contribuirebbero ancora a far chiudere nelle prigioni coloro che difendono la libertà, cioè i comunisti, e tutto andrebbe bene.

Pertanto, io vi consiglio di riflettere prima di usare certe volgarità nei confronti di un grande Paese al quale, noi tutti, ed anche voi, e particolarmente voi, dovete quella libertà di cui oggi godete.

Si parla dell'aggressione dell'Unione Sovietica alla Lituania, all'Estonia, alla Lettonia: perché?

Non sono i nazisti che hanno aggredito la Lituania, la Lettonia, l'Estonia e che hanno fatto quello che hanno fatto?

No, secondo voi è l'Unione Sovietica.

Io vi dico: siate più obiettivi. Alla vostra affermazione che in nessun posto vi è la libertà come qui, io devo risponderVi che la libertà ce la siamo conquistata noi. Io vorrei chiedere a molti di voi: dove eravate e cosa facevate quando noi, comunisti, eravamo in galera, sotto il fascismo, per difendere la libertà?

Ed allora, forse, siete i meno qualificati per parlare di libertà. Questo per prima cosa.

Secondo: in fatto di libertà, io posso anche permettermi di nutrire dei dubbi sulla libertà del nostro Paese, perché 74 operai e braccianti sono stati ammazzati dalla polizia di Scelba a Melissa, Reggio Emilia, ecc. ecc.

Non so se questo sia proprio l'esempio da additare a tutti in fatto di libertà. E le manganellate, le bombe lacrimogene, i colpi di pistola sparati dalla polizia italiana contro gli operai in questi anni scorsi, ancora dopo il periodo nefasto di Scelba, e le manganellate che si danno ora agli studenti? Che cosa chiedono costoro? Non chiedono mica la dittatura, io penso; essi chiedono la libertà, una maggiore libertà. Ora, se questa libertà, tanto decantata dal Presidente della Giunta, Bionaz, c'è effettivamente nel nostro Paese, perché abbiamo milioni di cittadini, fra studenti, operai, braccianti, ecco che protestano? Ci si potrà dire: gli operai e i braccianti protestano per ragioni economiche. Ma gli studenti no, gli studenti protestano per questioni di libertà.

Ora, ripeto, se questa libertà così decantata c'è effettivamente, perché queste decine di migliaia di studenti reclamano, protestano, affrontano le legnate, le manganellate, e vanno a finire feriti all'Ospedale? Ne consegue che o le affermazioni del Presidente della Giunta, Bionaz, non sono interamente esatte, op pure gli studenti non capiscono niente.

Io penso che siano gli studenti a capire meglio.

In fatto di libertà e della Nato io vorrei ricordare questo al Presidente Bionaz: l'esistenza della Nato vuole dire avere in Italia dei soldati armati con dei cannoni, con dei carri armati, con degli aeroplani, con delle navi da guerra; vuole dire avere degli stranieri in Italia. Ed infatti, abbiamo un esercito straniero, instaurato sul nostro suolo, a Verona, a Pavia, dove c'è il centro della Nato, con gli Americani a Livorno ed in Sardegna.

Io inviterei il Presidente della Giunta, Bionaz, che si sente così patriota cecoslovacco, a sentirsi anche patriota italiano.

Mi avrebbe fatto piacere se avesse aggiunto nel suo intervento: vadano via i reparti dei cinque eserciti che occupano la Cecoslovacchia e noi fin qui siamo d'accordo. Però, io vorrei chiedere al Presidente Bionaz: è d'accordo che noi, italiani, chiediamo che gli eserciti stranieri che si trovano sul nostro suolo se ne vadano nel loro Paese?

Se il Presidente, Bionaz, è d'accordo a fare anche il patriota italiano, e non solo il patriota cecoslovacco, allora, io concordo col Presidente, Bionaz. Però egli si è ben guardato dall'accennare alle truppe straniere che occupano il nostro Paese e questo significa che fa il patriota a doppio taglio, cioè che è molto patriota cecoslovacco, ma molto poco patriota italiano.

Ed in fatto di Trattati? Si parla di cinismo dell'Unione Sovietica, la quale avrebbe violato gli accordi di Yalta, che non c'entrano in questo caso, e i Patti di Varsavia, ecc.

Ignora forse il Presidente della Giunta il Trattato di Ginevra del 1954, che sanciva la libertà del Vietnam?

Ebbene, oggi queste libertà vengono tutelate dai vostri ami ci, à suon di bombe, di distruzioni e di massacri. Vede, Presi dente Bionaz, noi potevamo anche associarsi, ma Lei avrebbe dovuto fare un esame più vasto e non limitarsi ai fatti della Cecoslovacchia

Io avrei ancora molte cose da dire, ma non voglio prolungarmi perché Germano ha annunciato che presenteremo una mozione ed avremo, così, occasione allora di essere più precisi.

Concludo, ribadendo quanto detto all'inizio: noi riproviamo questo atto. Non ammettiamo però assolutamente, - anzi, io protesto energicamente -, gli insulti del Presidente nei confronti di un grande Paese al quale noi dobbiamo tanto.

In secondo luogo, noi, comunisti, che per la Libertà abbiamo provato le galere fasciste, che sappiamo cosa è stata la Resistenza e che ancora oggi ci pigliamo delle legnate dalla vostra polizia, che tutela la libertà, non intendiamo assolutamente ricevere delle lezioni di patriottismo da voi altri".

Monsieur le Conseiller CAVERI déclare ce qui suit:

"Le jugement que nous pouvons donner sur l'invasion de la Tchécoslovaquie de la part des troupes russes dépend de l'ordre de considérations dont nous voulons partir; c'est-à-dire, nous pouvons partir des principes qui devraient régler la coexistence des Peuples, ou bien nous devons choisir un autre ordre de considérations basées sur la raison d'Etat.

Principe qui devrait régler la coexistence des Peuples: évidemment, il faudrait que chaque Peuple respecte un autre Peuple; il ne devrait pas y être d'invasions de la part de l'un vis-à-vis de l'autre Peuple.

Raisons d'état: le principe de la raison d'Etat c'est le contraire des principes de liberté, de justice et de paix qui devraient régler la coexistence des Peuples; cette raison d'État qui n'a pas été inventée par Nicolò Machiavelli, parce que avant lui on appliquait déjà le principe "I nemici conviene accarezzarli o sperderli".

Plus tard, Bismarck parlait de la Réal Politik contraire à tout principe de liberté et de justice. Guillaume II suivait les idées de Bismarck et, plus tard, nous avons vu Hitler répudier les principes de liberté, de justice et de paix et suivre les principes de ce qu'il appelait la géopolitique.

Nous, en tant que Valdôtains, et en tant que Unionistes, évidemment nous devons suivre et appliquer en toutes les occasions ces principes de liberté et de justice internationale et à l'intérieur des États que nous avons toujours invoqués pour la Vallée d'Aoste et pour le Peuple Valdôtain.

On critique aujourd'hui le fait qu'on ait envoyé les chars armés russes en Tchécoslovaquie et nous, nous partageons pleinement cette désapprobation et nous disons même que cela n'a pas été seulement une erreur, mais cela a été une violation des principes qui devraient régler les rapports entre les États. Mais alors, nous disons, mais alors vous auriez dû, vous, désapprouver lorsqu'en Vallée d'Aoste on a envoyé les chars armés américains pour empêcher au Peuple Valdôtain de se prononcer sur sa destinée.

Et je veux faire un autre exemple: lorsque on a fait le premier Congrès de l'Union Valdôtaine, certaines personnes très bien identifiées, qui aujourd'hui pleurent pour les chars armés russes en Tchécoslovaquie, ces mêmes personnes sont allées au Commandement des Carabiniers d'Aoste et ont invoqué que les Chars armés de Turin soient envoyés en Vallée d'Aoste et cela s'est vérifié. Et c'est alors que celui qui parle a demandé directement, par téléphone, à Monsieur De Gasperi que ces chars armés soient retirés de la Vallée d'Aoste, parce que dans ce cas-là le Président d'alors de la Junte Régionale ne répondait pas de l'ordre public.

Monsieur De Gasperi, en cette occasion, a donné une preuve de sagesse et il a donné l'ordre au Commandant de ces chars armés qui étaient déjà arrivés à Nus de retourner à Turin.

Et alors, si on est pour les principes de paix, de liberté, de justice, d'autodétermination des Peuples, de cette autodétermination des Peuples qui a été proclamée dans la Charte de l'Atlantique, mais qui a été bafouée et vilipendée et non respectée, à commencer par Monsieur Truman, Président des Etats Unis, comme l'on sait très bien, et il suffit de lire les mémoires du Président Truman pour voir comment ce Président a respecté la volonté des peuples, c'est-à-dire tout le contraire, en se servant de la menace et du chantage et alors, si on est pour ces principes de paix, de liberté, de justice, d'autodécision des Peuples, ces principes il faut les appliquer partout, il faut les appliquer à l'Ouest et il faut les appliquer à l'Est.

Dernièrement, un candidat à la Présidence des États Unis, en parlant de la question de la Tchécoslovaquie et de la question du Vietnam, ce candidat qui n'était pas un candidat communiste, mais un candidat démocrate à la Présidence des États Unis, a dit, et nous ne l'avons pas inventé nous, nous l'avons lu sur la Stampa de Turin du 16 septembre dernier -, il a dit: "Quand même la Russie n'a pas bombardé la Tchécoslovaquie, la Russie n'a pas jeté le napalm sur la population civile comme il est arrivé dans le Vietnam".

Cela, je le répète, c'est un candidat du Parti démocrate à la Présidence des États Unis qui l'a dit en faisant un parallèle entre la Russie et l'Amérique, c'est-à-dire son Pays.

Certes, si on réfléchit un moment à ces faits, nous avons la preuve que ce qui se passe, d'autre part, est la conséquence de l'accord de Yalta, parce que nous avons eu la preuve, à travers l'invasion russe de la Tchécoslovaquie, que le monde à Yalta a é té effectivement partagé dans une zone d'influence russe et dans une zone d'influence américaine.

Cela est tellement vrai que les Russes, avant d'envahir la Tchécoslovaquie, ont interpellé et avisé les États Unis et les États Unis, comme il résulte de ce que dit le journal français "Le Monde", les États Unis n'ont rien objecté à cette communication, ils n'ont rien dit; en tout cas ils n'ont pas dit qu'il aurait été un "casus belli". Tandis que, lorsque la presse Russe a tenu un certain langage vis-à-vis de l'Allemagne occidentale, alors les États Unis ont réagi et ont déclaré que les États Unis n'auraient pas été impassibles dans le cas d'une intervention vis-à-vis de l'Allemagne occidentale.

Cela c'est "la prova del nove" que le monde a été divisé en deux zones d'influence: la zone d'influence américaine et la zone d'influence russe.

Or, aujourd'hui c'est de mode de parler contre le colonialisme, mais en réalité, quand il y a une zone d'influence d'un côté et une zone d'influence de l'autre, c'est évidemment une nouvelle forme de colonialisme et, du reste, je demande aux démo-chrétiens et à leurs alliés: qu'est-ce qu'il arriverait si, demain, une quelconque majorité à la Chambre des Députes et au Sénat italien proclamait la République Populaire Socialiste d'Italie? Êtes-vous sûrs que les États Unis ne débarqueraient pas immédiatement des troupes à Naples, à Salerne, à Livorno en plus de celles qui existent déjà aujourd'hui en Italie ? Personne ne se scandalise de ce fait, surtout pas ceux qui ont lancé los hauts cris pour la présence des troupes russes en Tchécoslovaquie.

Je dois dire que ma demande est purement rhétorique, parce que quiconque a deux sous de bon sens et deux sous de réalisme politique sait très bien que, si la Chambre des Députés et le Sénat de l'Italie proclamaient la République Populaire Socialiste de l'Italie, soyez tranquilles que les Américains débarqueraient immédiatement avec leurs chars armés, avec leurs blindés, avec leurs troupes d'assaut, avec leurs troupes de marines, ou je ne sais pas comment ils s'appellent, c'est-à-dire avec un des plus grand attirails de guerre de ce monde.

Et alors, voilà qu'il est certain que, s'il arrivait en Italie ce qu'on dit qui se préparait en Tchécoslovaquie, les États Unis d'Amérique ne manqueraient pas d'appliquer, non pas les principes de liberté, de justice, de paix, de respect de la volonté des Peuples, mais les États Unis appliqueraient, ni plus ni moins, que la raison d'État, ou la Réal Politik de Bismarck, ou la Géopolitique d'Hitler.

Il faudrait être un peu plus sincères et plus objectifs, parce que nous ne sommes pas de la catégorie de ces personnes pour lesquelles il y a une vérité à l'Est et il y a une vérité à l'Ouest. La vérité est une seule. Sommes-nous pour le respect de certains principes? Et alors nous devons demander, dans un cas ou dans l'autre, que ces principes soient respectée à l'Est et à l'Ouest.

On parle de liberté. Mais quelle est la liberté qui existe dans notre Pays? Est-ce qu'il y a une liberté de presse dans notre Pays? Quand, le matin, nous ouvrons les journaux, nous savons déjà tout ce qu'ils disent ces journaux. Hier il y avait le système du Minculpop, Ministère de la Culture Populaire, qui imposait aux journaux un certain langage; aujourd'hui il y a les trusts privés des Agnelli, de la Montedison etc. qui imposent un certain langage à la Stampa, à la Gazzetta del Popolo, au Corriere della Sera, etc. etc.

Et nous en Vallée d'Aoste nous en avons eu une preuve. Combien de fois nous avons vu que la vérité a été méprisée, bafouée, vilipendée.

On a toujours déformé les événements de la Vallée d'Aoste; pourquoi ? parce qu'il n'y a pas de liberté de presse, parce que les journaux ne sentent pas le devoir et ils ne peuvent pas sentir le devoir d'informer le public de toutes les nouvelles, pas seulement des nouvelles qui plaisent au Gouvernement démo-chrétien et des alliés, mais de toutes les nouvelles qui devraient intéresser la population.

Cela est la preuve qu'il n'y a pas la liberté de presse.

Lorsque quarante-sept Syndics ont adressé un appel au Président de la République Italienne, il n'y a pas eu un journal, il n'y a pas eu un quotidien national qui a parlé de l'appel des quarante-sept Syndics, tandis qu'on parle d'un petit vol à la banlieue d'Aoste somme d'une chose importante. Ceci c'est la confirmation que dans notre Pays il y a la caricature de la liberté de presse.

Du reste, ces polémiques que l'on fait aujourd'hui sont de vieilles polémiques parce que déjà au XIX° siècle, lorsqu'il y avait le Risorgimento, Mouvement National Italien pour l'indépendance de l'Italie, lorsqu'il y avait des mouvements analogues d'indépendance un d'autres Pays, déjà alors les uns et les autres discutaient de ces mêmes choses et on parlait du droit d'intervention ou de non intervention dans les affaires des autres États.

Et Napoléon III, qui avait toujours dit qu'un État ne devait pas intervenir dans les affaires d'un autre État, il est intervenu, et comment, lorsqu'il a envoyé des zouaves et les fameux chasse-pots pour défendre la Rome du Pape.

Eh bien, aussi dans ces cas-là c'était des cas d'intervention dans les affaires d'un État, ni plus ni moins comme la Russie qui est intervenue dans les questions de la Tchécoslovaquie. Et déjà alors, au XIX° siècle, on soutenait le principe de l'intervention ou de la non intervention dans les Affaires d'un autre État selon la raison d'État, selon s'il y avait ou pas l'intérêt d'intervenir ou de ne pas intervenir dans un autre État.

Tout cela dit, cependant, ne doit pas faire oublier ce que j'ai dit au commencement, au nom du groupe de l'Union Valdôtaine, notre désapprobation sur le fait de l'invasion de la part de la Russie du territoire de la Tchécoslovaquie.

Notre désapprobation est tout-à-fait totale et sans réserves, mais sans réserves vraiment en base à ces principes que nous voudrions voir appliqués non seulement à l'Ouest, mais aussi à l'Est".

Il Consigliere MILANESIO dichiara quanto segue:

"Signor Presidente, colleghi Consiglieri,

Le dichiarazioni del Presidente della Giunta hanno riproposto alla nostra attenzione un problema che non ha mai cessato di essere di attualità e che è il problema della invasione della Cecoslovacchia.

Io ritengo che questa discussione che si svolge, oserei dire, così a freddo, anche se accende i sentimenti e gli animi di qualche oratore, può essere più proficua se preparata, non nel senso che alcuni di noi, per intervenire in questo dibattito, devono prepararsi.

Io penso che sulla Cecoslovacchia abbiamo detto tante cose che possiamo benissimo, questa sera qui, fare della cassa di risonanza di quello che altri hanno scritto o detto meglio di noi.

Io, per parte mia, non voglio in questa sede fare molte considerazioni. È chiaro che, come socialista, non ho nessun timore di affrontare l'argomento della Cecoslovacchia e l'argomento, in genere, della Libertà dei popoli, da qualunque oppressione, da qualunque attentato che perpetrato alla loro libertà.

Noi abbiamo condannato l'intervento americano nel Vietnam, abbiamo condannato l'intervento a S. Domingo, a Cuba, noi abbiamo condannato l'intervento sovietico a Budapest e oggi condanniamo l'intervento sovietico dei Paesi del Patto di Varsavia in Cecoslovacchia.

Certo che, per ognuno di questi casi, occorre fare delle considerazioni particolari e non si può, evidentemente, fare di ogni erba un fascio.

Io, però, non posso nemmeno accedere a quel concetto quantitativo a cui è stato accennato dal Consigliere Manganoni, e, in fondo, anche dal Consigliere Germano, pur avendo apprezzato una parte delle considerazioni fatte da Germano.

La libertà di un Popolo, l'autodeterminazione, l'autodecisione, si conculcano non solo necessariamente uccidendo tanti suoi figli, tanti suoi uomini; si può conculcare la libertà di un Popolo anche occupandolo militarmente, impedendo a questo Popolo di manifestare il suo dissenso.

È un attentato alla Libertà, come quello degli Stati Uniti nel Vietnam con le bombe al Napalm, come quello dei governanti messicani, in questo momento, nei confronti di coloro i quali chiedono più democrazia e più libertà.

Quindi, per quanto riguarda il problema della Cecoslovacchia, io penso che noi socialisti possiamo dire che certe analisi, che erano state fatte sulla degenerazione del comunismo sovietico e del comunismo internazionale, erano esatte.

Possiamo dire che certi principi, che noi riteniamo negatori di libertà di discussione, di decisione democratica, hanno finito per coinvolgere il Partito comunista sovietico, in primo luogo che si è comportato, in questo caso, secondo quella politica di potenza che ha sempre rimproverato agli Stati Uniti, che è giusto rimproverare agli Stati Uniti ed a coloro che se ne servono in qualche modo per fare dell'imperialismo.

Il Partito comunista sovietico, - e qui dò ragione all'Avvocato Caveri -, in base agli accordi di Yalta, evidentemente, ma certamente non in base all'internazionalismo proletario, si è sentito autorizzato ad invadere, assieme ad altri Paesi, la Cecoslovacchia.

Gli errori stanno nel sistema. Il marxismo è quella corrente politica, quel filone politico su cui per noi socialisti si è innestato il discorso "leninismo" che porta alla degenerazione della dittatura del proletariato in un governo, in una dittatura sul proletariato, sul popolo.

Io non voglio fare un discorso anticomunista, perché non è forse neanche l'occasione più opportuna e non è nemmeno questo il modo per risolvere fraternamente quelle che possono essere le divergenze ideologiche e le diatribe politiche; però è certo che l'intervento sovietico, l'intervento dei Paesi del Patto di Varsavia deve avere gettato, e me lo auguro, del dubbio, della confusione nelle file dei Partiti comunisti europei, di quello italiano in modo particolare, e degli altri Partiti comunisti mondiali.

Quanto è accaduto non è certamente un segno di vitalità e di bontà di quel sistema. Noi avevamo mosso delle critiche, non interessate, non opportunistiche, delle critiche di fondo a questo sistema; e queste critiche' si rivelano valide oggi di fronte ad una situazione internazionale che si sta evolvendo, che sta cercando di scappare dalle mani sia dell'Unione Sovietica da una parte e sia degli Stati Uniti dall'altra.

Quello che è entrato in crisi, che stava per entrare in crisi, almeno per noi socialisti, era la politica dei blocchi di potenze ed abbiamo visto che un Paese socialista, o che si definisce tale, come l'Unione Sovietica, invece di permettere che si attuasse questo scongelamento, ha invece ritenuto di dover riaffermare, in qualche modo, questa politica dei blocchi.

Oggi è più difficile, evidentemente, portare avanti un discorso all'interno dell'altro blocco, a cui noi partecipiamo; è difficile, più difficile di prima, portare avanti il discorso della distensione, portare avanti il discorso della collaborazione critica con altri Paesi, con altre potenze che appartengono al blocco occidentale.

Io ritengo, però, che questa discussione, che può approfondirsi, che deve approfondirsi, non possa chiudersi qui questa sera, di fronte alle dichiarazioni del Presidente che, confesso, mi erano state annunciate quando sono entrato in questa aula e che hanno colto un po' di sorpresa anche me.

Io quindi penso che da parte dei Partiti della coalizione governativa sarà bene su questo argomento presentare una mozione o un ordine del giorno. Comunque, io dichiaro fin d'adesso che la posizione del nostro Partito è per la lotta a tutte quelle forze, si richiamino esse al capitalismo e al comunismo, che, per fini di potere, per fini di politica interna, per ragioni di Stato, conculcano in qualche modo, in qualunque modo esso sia, la libertà e l'autodeterminazione dei Popoli, perché il socialismo ha una forza propulsiva che non ha bisogno di essere rappresentata o imposta, comunque, dalle armi e dall'acciaio dei carri armati".

Il Consigliere MAGHETTI dichiara quanto segue:

"Un breve commento a quanto è stato detto. Si è andato cianciando che in Italia non c'è libertà. Quale migliore riprova di gente che può dire ad alta voce quello che pensa! In quali altri Paesi si può dire altrettanto in determinati posti?

La Tribuna Politica, dieci giorni or sono, scriveva che il Partito Comunista può accettare il sistema democratico soltanto quando è all'opposizione, ma quando arriva al potere non si può più permettere il lusso dì avere dei Partiti che possano dissentire. Non ho altro da aggiungere".

Il Consigliere POLLICINI dichiara quanto segue:

"Signor Presidente, Signori Consiglieri,

La lezione delle vicende cecoslovacche non va vista nel senso del rigurgito della politica di forza. La coesistenza non deve interrompersi, i blocchi non devono tornare alla loro rigidità di un tempo.

Il rafforzamento della NATO, come quello del Patto di Varsavia, non è la risposta adeguata e necessaria. Non è stata, infatti, la politica di forza che ha provocato la crisi del comunismo. Durante la fase più cruda della guerra fredda il mondo comunista non presentava un panorama così variopinto come oggi, con lo scisma cinese in atto, i contrasti fra i comunisti e i castristi in America Latina, le spinte centrifughe della Romania e della stessa Cecoslovacchia, i dissensi aperti di molti Partiti comunisti occidentali.

Non è quindi un paradosso affermare che la crisi mondiale del comunismo è il frutto della coesistenza pacifica che si era andata spandendo in Europa.

Se i Sovietici hanno avuto paura della libertà che rifioriva in Cecoslovacchia sotto Dubcek, se inoltre hanno temuto che in questa libertà potessero fare breccia le presunte trame della Germania occidentale per scardinare l'equilibrio europeo, se tutto questo è vero, allora, dobbiamo concludere che l'atto di forza dei Sovietici dimostra una grande debolezza di fronte al mondo in movimento.

I comunisti sovietici erano forti quando tra i due blocchi si parlava soltanto col pugnale fra i denti; quando, invece, il seme della Libertà germoglia nel loro impero e minaccia un vasto contagio, allora perdono il controllo e commettono non solo un delitto contro un piccolo Paese, ma uno dei più gravi errori politici di tutta la loro storia.

Essi confessano al mondo intero la loro incapacità a tenere la "leadership" del comunismo, dimostrano di non saper reggere la sfida della coesistenza con i Paesi occidentali.

Per paura di perdere una provincia del loro impero, umiliano i Partiti comunisti occidentali, che già stentano ad accreditare l'immagine di un comunismo liberatore, danno ai Paesi del terzo mondo un esempio di quel comunismo dal quale il terzo mondo intende sottrarsi.

È un bilancio fallimentare, di cui non esiste un attivo reale, ma solo qualche vantaggio apparente.

I Sovietici hanno sottomesso la Cecoslovacchia, ma hanno perduto il Popolo ceco, senza aver risolto i problemi dell'Est europeo.

Di fronte ad un bilancio così disastroso, una sola risposta ai Paesi occidentali possono offrire, in ritardo magari, i Sovietici, quell'alibi che essi hanno cercato invano per invadere la Cecoslovacchia: questa risposta sarebbe per l'appunto il rigurgito della politica di forza.

Chi parla di rafforzare la NATO, di incrementare le spese militari offre ai Russi il pretesto, seppure posticcio, per rendere appena plausibile la tesi delle macchinazioni controrivoluzionarie che non hanno trovato finora il minimo credito.

Se è la coesistenza che ha messo in crisi il mondo comunista è in questa che occorre insistere perché la crisi si approfondisca e non si arresti con i carri armati piazzati alla periferia di Praga.

Se, invece, torniamo dalla coesistenza alla guerra fredda, il mondo comunista troverà argomenti per rinchiudersi nel guscio del Patto di Varsavia e sbarrare anche la finestra dalla quale finora è passata qualche ventata nuova."

Il Consigliere MANGANONI dichiara ancora quanto segue:

"Solo una osservazione: ha detto il collega qui di fronte che si va cianciando che in Italia non c'è libertà, mentre, invece, dove si può parlare più liberamente che qui in Italia? Infatti, in Italia, l'operaio che osa protestare contro i soprusi del padrone viene legnato dalla polizia e licenziato; gli studenti che protestano contro la mancanza di libertà e di democrazia vengono bastonati, denunciati e trascinati sui banchi del Tribunale. Quindi Lei ha perfettamente ragione".

Il Consigliere MAGHETTI replica: "Lei può parlare qui e dire quello che pensa. Vorrei vedere se Lei potrebbe esprimersi ad alta voce così in un determinato Paese! Qualcuno ha provato a farlo e non ci è riuscito".

Il Consiglio prende atto.