Ricorsi in via incidentale n. del 27 novembre 1970

ORDINANZA DEL 27 NOVEMBRE 1970.

(G.U. n. 87 del 07.04.1971)

Ordinanze, di identica motivazione, emesse il 27 novembre 1970 dal pretore di Aosta nel procedimento penale a carico di Ciolino Giuseppe e, analogamente, nei procedimenti penali a carico di Politano Francesco ed altro, di Semenzin Luigi e di Conte Giovanni ed altri. (Reg. ord. nn. 23, 24, 25 e 26, 1971).

IL PRETORE

Letti gli atti del procedimento a carico di Ciolino Giuseppe, nato in Gibellina il 10 ottobre 1934, residente in Aosta via St. Martin de Corleans n. 124, imputato del reato di cui all'art. 12 della legge regionale 8 novembre 1956, n. 6, osserva.

La dottrina e la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 68 del 15 maggio 1963; sentenza n. 90 del 22 novembre 1962) sono concordi nell'escludere che le regioni siano legittimate ad emettere norme penali. Nella sentenza n. 21 del 1957, la disposizione del comma secondo dell'art. 25 della Costituzione è stata interpretata nel senso che per legge debba intendersi, in tale disposizione, soltanto la legge dello Stato; nella medesima sentenza la esclusiva appartenenza allo Stato della potestà normativa trovò come suo fondamento la particolare natura delle restrizioni della sfera giuridica che vengono inflitte mediante la pena. La quale - è stato detto - incide sui beni ed attributi fondamentali della persona umana, in primo luogo la libertà personale; onde la necessità che tali restrizioni siano da stabilire in base ad una generale e, si potrebbe aggiungere, superiore valutazione dei beni e degli interessi dell'uomo e della vita sociale, quale può essere compiuta soltanto dal legislatore statale. Stabiliti questi due punti, la impossibilità di porre limite alla potestà penale dello Stato a favore di altri enti appare evidente. Né varrebbe obiettare che una eventuale potestà normativa penale della regione avrebbe carattere limitato, in quanto riferibile soltanto ai particolari interessi della regione stessa e, come presidio delle sole norme giuridiche che statutariamente essa ha il potere di emettere. È più che evidente, infatti, che soltanto entro questi limiti sarebbe ipoteticamente concepibile una potestà penale della regione; pertanto, soltanto relativamente a questa ridotta possibilità viene riaffermato il principio della esclusività del potere statale, non ponendosi nemmeno come astratta ipotesi l'idea di un potere penale della regione che vada al di là di quei limiti. Ciò vale anche nei confronti della competenza legislativa esclusiva, a mezzo della quale si ha una riserva piena di competenza a favore della regione per talune materie: la circostanza che sia devoluta esclusivamente alle regioni la concreta disciplina dei rapporti inerenti a queste materie non significa, tuttavia, che nell'ambito di tale specifico settore, debba ritenersi necessariamente inclusa anche una autonoma disponibilità della tutela penale, quasi ché essa potesse considerarsi un attributo essenziale del comando giuridico.

Ciò premesso, la problematica che pone l'art. 12 della legge regionale 8 novembre 1956 n. 6, non può dirsi, in forza delle suesposte considerazioni, senz'altro risolta nel senso della illegittimità costituzionale del disposto che prevede la punizione dei contravventori ai precetti della legge a mente delle sanzioni previste dal codice penale: a parte l'estrema genericità di questa formulazione letterale, che non precisa neppure il tipo di sanzione (arresto od ammenda), l'aspetto più singolare della normativa in questione sta nel fatto che il legislatore regionale - come facilmente si desume dal verbale dei relativi lavori preparatori - ha inteso inquadrare tale particolare fattispecie nel più ampio contesto dell'art. 734 del codice penale., richiamandone esplicitamente il regime sanzionatorio. Si rendono, perciò, necessarie talune puntualizzazioni d'ordine generale. Il legislatore dello Stato, nell'adempiere alla riserva ex art. 25, comma secondo, della Costituzione, in settori di competenza legislativa delle regioni, risulta legittimato, soltanto, a stabilire il modo di disciplina (penalistico) della sanzione criminale, mentre è tenuto ad assumere, quale immodificabile dato di campo materiale, quanto disposto dai diversi poteri legislativi regionali. Esso ha, nel contempo l'obbligo di salvaguardare l'unità dello Stato e l'uguaglianza dei cittadini innanzi alla legge, ex artt. 5 e 3, comma primo, della Costituzione. È dunque evidente che il potere legislativo dello Stato, nel predisporre la disciplina penalistica dei campi di materia attribuiti in competenza alle Regioni, è tenuto a stabilire tutti gli elementi essenziali di ciascuna fattispecie di reato: pertanto i dati normativi, deducibili dai regimi regionali di campo materiale, non possono costituire, in modo diretto, le relative fattispecie di reato. Da quanto detto consegue che il potere legislativo statuale risulta, comunque, vincolato a stabilire schemi normativi, corredati sia del precetto che della sanzione criminale: in forza, però, del principio della reciproca intangibilità funzionale, nei confronti delle competenze legislative regionali, il precetto normativo dello Stato può soltanto consistere in un rinvio alle leggi regionali regolanti il comune campo di materia, al quale si intenda far accedere una certa sanzione criminale. Si realizza, in sostanza, una vera e propria connessione a carattere sanzionatorio tra la norma penale dello Stato e quelle regionali richiamate. È tuttavia necessario che la norma penale (statuale) si riconnetta a norme legislative regionali già entrate in vigore al momento della sua emanazione in quanto l'intervento normativo dello Stato è da considerarsi costituzionalmente legittimo solo se viene operato in vista delle esigenze di garanzia ex artt. 5 e 3, comma primo della Costituzione, così da ottemperare anche al principio della irretroattività della legge penale, sancito dall'art. 25, secondo comma , della Costituzione. D'altra parte, è proprio in ragione delle esigenze di garanzia di cui agli articoli 5 e 3, comma primo, della Costituzione. che le norme in oggetto non possono assumere i requisiti delle norme penali in bianco anche se queste ultime, per soddisfare al carattere irretroattivo della relativa fattispecie di reato, rimangono prive di efficacia sino a quando non sia stata emanata la norma extrapenale, cui esse fanno generico rinvio.

Alla luce di queste considerazioni appare anzitutto chiaro come il contesto dell'art. 734 del codice penale non riproduca affatto la statuizione regionale che si pretenderebbe corredare da sanzione: nel prosieguo se ne evidenzieranno le intrinseche diversità sul piano dei rispettivi oggetti giuridici. È pacifica, d'altro canto, la configurazione dell'art. 734 del codice penale come norma penale in bianco in quanto, per la sua applicabilità, presuppone un atto amministrativo con cui l'autorità riconosce in un immobile una bellezza della natura e, come tale, lo sottopone alla speciale protezione giuridica: da ciò, tuttavia, non vale argomentare che, se è riservato alla Regione della Valle d'Aosta il riconoscimento della bellezza naturale di un determinato luogo, non possono non essere riservate alla regione stessa anche le valutazioni concrete, che, ad integrazione e specificazione di quell'iniziale riconoscimento, accertano quali azioni debbano impedirsi come lesione della bellezza naturale. La sovrapposizione concettuale balza evidente: la caratteristica di norma penale in bianco attiene al piano della previsione normativa ( nel senso che il precetto generico deve concretizzarsi con un elemento futuro), mentre l'individuazione dei comportamenti che violano il precetto - quale risulta precisato dal provvedimento che completa la norma penale in bianco -, attiene al ben distinto piano dell'accertamento concreto, e non rientra quindi nella competenza dell'autorità che, essendo chiamata ad integrare la norma in bianco, opera sul piano della previsione normativa. Nella specie, dunque, il giudizio implicitamente espresso dall'autorità regionale circa il deturpamento delle bellezze naturali per effetto della incontrollata raccolta delle piante spontanee ( protette, medicinali ed officinali) in Valle d'Aosta, non soltanto difetta del suo presupposto indefettibile, costituito, come si è già detto, del provvedimento istitutivo del vincolo, ma tale valutazione, penalmente sanzionatoria di una specifica condotta che non trova alcun aggancio nell'art. 734 del codice penale, integra addirittura una autonoma fattispecie di reato: l'attitudine lesiva, cioè deturpatrice delle bellezze paesaggistiche, di una concreta attività attinente alla raccolta delle piante, costituisce invero il frutto di un libero apprezzamento giudiziale, fondato sul positivo riscontro con la fattispecie tipica, completa naturalmente in ogni suo elemento penale ed extrapenale. Ad analoga conclusione si perviene peraltro ove si dia per postulato che il legislatore penale possa limitarsi a fornire alcuni elementi (essenziali) al contenuto precettivo della fattispecie di reato: la riserva di legge viene soddisfatta, pur se non sono specificati tutti i dati naturalistici e normativi che debbono concorrere a costituirne il precetto. È evidente, in tale ipotesi, che la legislazione regionale, soprattutto nel campo materiale di competenza esclusiva, può conferire un rilievo penalistico ad alcuni elementi non direttamente previsti dalla fattispecie statuale (per esempio, in materia di caccia o di turismo): è compito, allora, del potere giurisdizionale dello Stato procedere ad una connessione a carattere interpretativo.

Il legislatore statuale, nella formulazione dell'art. 734 del codice penale, dopo aver descritto analiticamente e tassativamente i comportamenti attraverso cui può realizzarsi l'offesa all'interesse tutelato («mediante costruzioni, demolizioni»), ha puntualizzato, servendosi di una formula generica, teleologicamente orientata («o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera»), il contenuto della fattispecie nei confronti del risultato antigiuridico per la cui prevenzione è posta la norma medesima: appare chiaro, dunque, che per supplire alla genericità della locuzione adoperata nel modello legale occorre rifarsi alla ratio della norma al fine di individuare, di volta in volta, gli esatti limiti di quei concreti comportamenti idonei a cagionare, appunto, la lesione dell'interesse tutelato. Alla luce di queste considerazioni, non occorre spendere parole per illustrare l'oggetto giuridico sotteso alla legge regionale de qua, finalisticamente predisposta in vista della migliore protezione della flora alpina come tale e non già quale inscindibile componente delle bellezze naturali valdostane, a loro volta, però, tutelate indirettamente nell'ipotetica eventualità in cui una condotta elusiva della disciplina regionale di raccolta delle suddette piante determini anche una variazione in pejus del paesaggio tipico soggetto a speciale protezione dell'autorità.

In conclusione, per tutte le argomentazioni svolte, si ritiene costituzionalmente illegittimo, siccome contrario agli artt. 3, 5 e 25, secondo comma, della Costituzione, l'art. 12 della legge regionale 8 novembre 1956, n. 6, e se ne rimette pertanto la relativa decisione alla Corte costituzionale.

P. Q. M.

Visto gli articoli 1, della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ordina la sospensione del presente procedimento e la trasmissione immediata degli atti alla Corte costituzionale.

Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente della giunta della regione della Valle d'Aosta, al pubblico ministero presso il tribunale di Aosta, all'imputato e di comunicarla al Presidente del Consiglio regionale della Valle d'Aosta.

Il pretore: Selis