Ricorso della Regione per conflitto di attribuzioni n. 3 du 14 octobre 2021

N. 3 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 14 ottobre 2021

(GU n.43 del 27-10-2021 )

Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti depositato in cancelleria il 14 ottobre 2021 (della Regione autonoma Valle d'Aosta).

Consiglio regionale - Consiglio regionale della Regione autonoma Valle d'Aosta - Sentenza della Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello, n. 350 del 2021, con la quale e' stata accertata la responsabilita' amministrativa, con conseguente condanna per danno erariale, di alcuni consiglieri regionali, con riferimento all'adozione della deliberazione del Consiglio regionale n. 823/XIV del 23 ottobre 2014 - Istanza di sospensione.

- Sentenza della Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello, n. 350 del 2021, depositata il 30 luglio 2021.

Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti con istanza di sospensione per la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, con sede in Aosta, Piazza Deffeyes, n. 1, p. iva e c.f. 80002270074, in persona del presidente pro tempore, Erik Lavevaz, rappresentata e difesa nel presente giudizio, in forza di procura in calce al presente atto, ed in virtu' della deliberazione della Giunta regionale n. 1183, del 22 settembre 2021, dal prof. avv. Giovanni Guzzetta (c.f. GZZGNN66E16F158V; tel.: 06 6797976; p.e.c.: giovanniguzzetta@ordineavvocatiroma.org), presso il cui studio, sito in Roma, alla via Federico Cesi, n. 72, ha eletto domicilio; ricorrente;

Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12; resistente;

con notifica anche:

alla Corte dei conti, in persona del Presidente pro tempore; per la dichiarazione che non spetta allo Stato esercitare la funzione giurisdizionale, in relazione ad atti insindacabili dei consiglieri regionali, e, conseguentemente, che non spetta allo Stato, e per esso alla Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello, il potere di adottare la sentenza n. 350/2021, depositata in data 30 luglio 2021 (doc. n. 1), la quale, in parziale riforma della sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Valle d'Aosta, n. 5/2018, depositata in data 25 ottobre 2018 (doc. n. 2), ha accertato la responsabilita' amministrativa, con conseguente condanna per danno erariale, di alcuni consiglieri regionali della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, con riferimento all'adozione deliberazione del Consiglio regionale n. 823/XIV, del 23 ottobre 2014 (doc. n. 3), siccome lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione medesima, avuto riguardo all'insindacabilita' dei consiglieri suddetti per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, a mente dell'art. 24 legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 («Statuto speciale per la Valle d'Aosta») e, quindi, per l'annullamento della sentenza della Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello, n. 350/2021, depositata in data 30 luglio 2021, nonche' di tutti gli atti e provvedimenti antecedenti, consequenziali o comunque connessi, e, in particolare, per quanto occorrer possa, della sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Valle d'Aosta, n. 5/2018, depositata in data 25 ottobre 2018.

F a t t o

1. Il presente ricorso trae origine dall'esercizio della funzione giurisdizionale da parte della Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale di appello, concretatasi nell'adozione della sentenza meglio indicata in epigrafe, la quale decideva in via definitiva, e in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dell'appello promosso, tra l'altro, da alcuni consiglieri regionali della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (di seguito, Regione), avverso la sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Valle d'Aosta, n. 5/2018, depositata in data 25 ottobre 2018, nell'ambito del giudizio per l'accertamento della responsabilita' amministrativa dei consiglieri suddetti, e la relativa condanna per danno erariale, con riferimento, per quanto qui di precipuo interesse, all'adozione della deliberazione del Consiglio regionale (di seguito, Consiglio) n. 823/XIV, del 23 ottobre 2014 (di seguito, deliberazione). Giova ricordare, infatti, come il giudizio originariamente promosso evocasse la responsabilita' amministrativa, in relazione anche ad altre deliberazioni, ma sul punto la domanda e' stata rigettata sia in primo che in secondo grado.

2. La deliberazione veniva assunta, con riferimento al punto all'ordine del giorno della seduta del Consiglio del 23 ottobre 2014, recante «Rafforzamento finanziario del Resort e Casino' di Saint-Vincent. Incarico alla Finaosta S.p.a. di sottoscrivere, in nome e per conto della Regione, l'aumento di capitale della Casino' de la Vallee S.p.a. (Approvazione di un ordine del giorno)».

3. Come risulta dal verbale della seduta (doc. n. 3), il presidente Marco Vierin, «in relazione al dibattito avvenuto (oggetti n. 820/XIV e n. 821/XIV), invita[va] il Consiglio a procedere alla votazione della proposta indicata in oggetto e iscritta al punto 33.02 dell'ordine del giorno dell'adunanza, a seguito di un dibattito svolto in precedenza».

4. Seguivano, pertanto, due deliberazioni. La prima approvava,all'unanimita' del Consiglio, un ordine del giorno che impegnava la Giunta regionale nei termini, che si ritiene opportuno riportare qui integralmente (doc. n. 3):

«Ordine del giorno

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA VALLE D'AOSTA/VALLEE D'AOSTE

Considerata la gravita' della situazione gestionale ed economica in cui e' stata lasciata precipitare la Casino' de la Vallee S.p.a., che, sommando le perdite di esercizio del 2012 (18,6 milioni), del 2013 (21 milioni) e del primo semestre 2014 (8,791 milioni), fa registrare una perdita di oltre 47 milioni;

Ritenuto che la Casa da gioco possa ancora costituire un volano per l'economia dell'intera regione, mettendo a profitto gli ingenti investimenti pubblici che ad essa sono stati destinati negli ultimi anni;

Preso atto della relazione annuale al Consiglio regionale sull'andamento della "Casino' de la Vallee S.p.a." e della proposta di deliberazione concernente "Rafforzamento finanziario del Resort e Casino' di Saint-Vincent. Incarico alla Finaosta S.p.a. di sottoscrivere, in nome e per conto della Regione, l'aumento di capitale del Casino' de la Vallee S.p.a.";

Analizzata la relazione sulla gestione della Casa da gioco al 30 giugno 2014, nella quale l'amministratore unico propone ai propri azionisti di "procedere senza indugio, alla copertura della perdita del periodo 1° gennaio 2014 - 30 giugno 2014, di 8,791 milioni di euro, unitamente alle perdite portate a nuovo di euro 39,708 milioni, evidenziate nel bilancio intermedio", oltre che di procedere "entro tempi ragionevolmente brevi" alla ricostituzione del capitale sociale ad un importo tale da garantire l'ordinaria attivita' aziendale;

Visto il verbale dell'Assemblea ordinaria totalitaria del 22 settembre 2014, nella quale il collegio sindacale invita l'amministratore a convocare nel piu' breve tempo possibile l'assemblea straordinaria onde deliberare "le misure necessarie per garantire l'integrita' del patrimonio e la continuita' aziendale, tenendo conto dell'avvenuta iscrizione di imposte anticipate non in aderenza a quanto previsto dai principi contabili".

Ricordate le affermazioni dell'assessore Perron contenute nello stesso verbale dell'assemblea ordinaria con le quali egli "esprime le preoccupazioni dell'azionista sulla situazione economica della societa'";

Valutato come le perdite registrate superino il terzo del capitale sociale e rendano obbligatoria la ricapitalizzazione della societa' ai sensi dell'art. 2446 del codice civile;

Vista la richiesta di un aumento di capitale sociale pari a 60 milioni di euro, inoltrata dall'amministratore unico della Casa da gioco in data 2 ottobre 2014;

Ricordato come da inizio legislatura i gruppi di opposizione UVP-ALPE-PD SinistraVdA-Movimento 5 Stelle hanno richiesto, sia nei dibattiti in commissione consiliare che in Consiglio Valle, di porre la massima attenzione politica alla situazione della Casa da gioco proponendo nel 2013 di costituire una Commissione speciale e chiedendo poi, nel marzo 2014, di rimuovere e sostituire l'amministratore unico e la dirigenza tutta, attraverso una mozione approvata dal Consiglio;

Sottolineate le funzioni e le responsabilita' dell'amministratore unico e della dirigenza;

Ricordato che l'amministratore unico e la dirigenza tutta della Casa da gioco non hanno mai dato corso alle decisioni prese dall'aula;

Preso atto del Piano economico aziendale 2014-2018 e degli impegni dell'azienda;

Sottolineata l'attuale difficolta' di integrazione dell'azienda rispetto al territorio circostante e al tessuto socio-economico, testimoniato dalle audizioni rese dagli amministratori locali, dalle parti sociali e dagli operatori turistici della zona, che denunciano la "concorrenza sleale" del Resort Billia;

Impegna la Giunta regionale a procedere alla costituzione di una task force politica che, in via straordinaria, affianchi e monitori l'azione di rilancio della Casa da gioco attraverso l'adozione di misure che valorizzino gli investimenti fatti e migliorino la gestione della Casa da gioco, avendo, tra gli altri, come primi indirizzi non esaustivi ne' limitativi del ruolo della task force stessa:

1) la conferma della revoca del premio per l'amministratore unico anche per il 2014 e la riduzione significativa del compenso dell'amministratore unico e di tutti i dirigenti;

2) la predisposizione di un piano di crescita degli introiti dettagliato e supportato da valutazioni credibili e sostenibili a livello finanziario che possano produrre un vero ed effettivo rilancio dell'azienda e del territorio circostante;

3) prevedere accordi di prospettiva, fermo restando il rispetto degli accordi in essere, finalizzati ad un recupero di produttivita' e ad una riduzione dei costi del personale che abbia effetti strutturali e che riequilibri il rapporto tra reparti produttivi e personale amministrativo, considerato che i reparti storici stanno piano piano andando ad esaurimento;

4) la definizione di azioni concrete da porre in atto immediatamente per garantire un raccordo continuo e costante con il territorio circostante (amministrazioni comunali, associazioni di operatori) al fine di favorire l'interazione e le necessarie sinergie tra il territorio e la Casa da gioco, oltre che le strategie di rilancio dell'intero comprensorio, evitando la concorrenza sleale nei confronti delle aziende private locali».

5. Successivamente all'approvazione di tale ordine del giorno, il Presidente poneva in votazione una «proposta di atto amministrativo comprensiva dell'emendamento della IV commissione consiliare permanente» (doc. n. 3).

6. All'esito di votazione per appello nominale, ai sensi degli articoli 71 e 72 del regolamento interno, il Consiglio approvava il seguente atto, anch'esso riportato qui integralmente (doc. n. 3):

«IL CONSIGLIO

Richiamati:

la legge regionale 30 novembre 2001, n. 36, con la quale e' stata costituita, in data 2 dicembre 2002, la societa' "Casino' de la Vallee S.p.a.", e in particolare l'art. 2 che prevede che solo la Regione autonoma Valle d'Aosta ed i Comuni della regione interessati possano essere soci della Casino' de la Vallee S.p.a.; la legge regionale 23 dicembre 2009, n. 49: "Linee-guida per l''ottimizzazione ed il rilancio delle strategie di sviluppo della Casa da gioco e del complesso aziendale Grand Hôtel Billia di Saint-Vincent. Modificazioni alla legge regionale 30 novembre 2001, n. 36 (Costituzione di una societa' per azioni per la gestione della Casa da gioco di Saint-Vincent)" e, in particolare, l'art. 3 che autorizza l'intervento diretto della Regione al finanziamento degli investimenti previsti dal piano di sviluppo;

il piano di sviluppo del Casino' de la Vallee di Saint-Vincent approvato con propria deliberazione n. 509/XIII del 15 aprile 2009, integrato e completato dal piano di sviluppo del complesso del Grand Hôtel Billia, approvato con propria deliberazione n. 1330/XIII del 28 luglio 2010;

la legge regionale 16 marzo 2006, n. 7: "Nuove disposizioni concernenti la societa' finanziaria regionale Finaosta S.p.a. Abrogazione della legge regionale 28 giugno 1982, n. 16" e, in particolare, gli articoli 6 e 11 di disciplina degli interventi in gestione speciale;

Ricordato che la Casino' de la Vallee S.p.a. e' partecipata direttamente dalla Regione e dal Comune di Saint-Vincent, per una quota pari, rispettivamente, al 99,91% e allo 0,09%;

Richiamata la deliberazione della Giunta regionale n. 1465 del 20 luglio 2012 con la quale la societa' Finaosta S.p.a. e' stata incaricata, in gestione speciale, ai sensi dell'art. 6 della legge regionale n. 7/2006, di perfezionare e di stipulare due operazioni di mutuo di 50.000.000 di euro ciascuna. La prima operazione tra Finaosta S.p.a. e Compagnia Valdostana delle Acque - CVA S.p.a. per il reperimento dei fondi necessari al finanziamento della seconda operazione: tra Casino' de la Vallee S.p.a. e Finaosta S.p.a. per il finanziamento di parte del piano di sviluppo, ad un tasso di interesse fisso del 6,00%, rideterminato al 3,28% con deliberazione della Giunta regionale n. 1125 dell'8 agosto 2014, con decorrenza 1° luglio 2014;

Richiamata la deliberazione della Giunta regionale n. 1527 del 20 settembre 2013 con la quale la societa' Finaosta S.p.a. e' stata incaricata, in gestione speciale, ai sensi dell'art. 6 della legge regionale n. 7/2006, di perfezionare e di stipulare, con la Casino' de la Vallee S.p.a., un'operazione di mutuo chirografario per un importo di euro 10.000.000 ad un tasso di interesse fisso pari a complessivi 6,04%, rideterminato al 3,28% con la predetta DGR 1125/2014 e con la medesima decorrenza;

Considerata la necessita' di proporre un piano di rafforzamento patrimoniale del Resort & Casino' di Saint-Vincent, consistente in un aumento di capitale di 60.000.000 di euro della Casino' de la Vallee S.p.a., da sottoscriversi da parte della Regione, finalizzato per 30.000.000 al rimborso parziale del mutuo della stessa societa' con la Finaosta S.p.a. di cui alla deliberazione della Giunta regionale n. 1465 del 20 luglio 2012;

Richiamata la nota prot. n. 193 del 2 ottobre 2014 con la quale l'amministratore unico della Casino' de la Vallee S.p.a. ha sottoposto all'Amministrazione regionale il piano a cinque anni del Resort & Casino' di Saint-Vincent sviluppato tenendo conto dell'ipotesi di aumento di capitale di 60.000.000;

Ritenuto di procedere all'aumento di capitale della Casino' de la Vallee S.p.a., per un importo di 60.000.000 di euro con addebito al fondo in gestione speciale presso la Finaosta S.p.a. di cui all'art. 6 della legge regionale n. 7/2006 incaricando Finaosta S.p.a. con apposito mandato a sottoscrivere, in nome e per conto della Regione, l'aumento di capitale della Casino' de la Vallee S.p.a.;

Ritenuto altresi' che i 30.000.000 che saranno versati dalla Casino' de la Vallee S.p.a. alla Finaosta S.p.a. a rimborso del mutuo in essere saranno utilizzati, per pari importo, per il rimborso parziale del mutuo che la Finaosta S.p.a. ha in essere con la societa' Compagnia Valdostana delle Acque - CVA S.p.a.;

Richiamato l'art. 32 della legge regionale 10 aprile 1997, n. 12: "Regime dei beni della Regione autonoma Valle d'Aosta", che assegna al Consiglio regionale la competenza per la sottoscrizione a titolo di aumento di capitale di partecipazioni superiori al cinquanta per cento;

Richiamata, infine, la propria deliberazione n. 949/XIII del 17 dicembre 2009 con la quale e' stato approvato lo Statuto della Casino' de la Vallee S.p.a. attualmente in vigore;

Ricordato che la richiamata legge regionale n. 36/2001 all'art.1, comma 2, prevede che le modifiche dello Statuto della societa 'Casino' de la Vallee S.p.a. siano approvate dal Consiglio regionale; Ritenuto, pertanto, necessario adeguare il contenuto dell'art. 5 dello Statuto della Casino' de la Vallee S.p.a. in relazione alla modificazione da apportare al capitale sociale;

Richiamata la deliberazione della Giunta regionale n. 2186 in data 31 dicembre 2013 concernente l'approvazione del bilancio di gestione per il triennio 2014/2016 con attribuzione alle strutture dirigenziali di quote di bilancio e degli obiettivi gestionali correlati, del bilancio di cassa per l'anno 2014 e di disposizioni applicative;

Visto il parere favorevole di legittimita' rilasciato dal coordinatore del Dipartimento bilancio, finanze e patrimonio, ai sensi dell'art. 4, comma 3, della legge regionale 23 luglio 2010, n. 22, sulla proposta della presente deliberazione;

Visto il parere della IV Commissione consiliare permanente;

Con l'emendamento della IV Commissione consiliare permanente.

Procedutosi a votazione per appello nominale, a cura del consigliere segretario Laniece, ai sensi dell'art. 72 del regolamento interno, con il seguente risultato della votazione:

consiglieri presenti: trentacinque;

consiglieri votanti: venti;

astenuti: quindici;

favorevoli: diciotto;

contrari: due;

I consiglieri si sono cosi' espressi: Baccega Mauro: favorevole Bertin Alberto: astenuto - Bertschy Luigi: astenuto - Bianchi Luca: favorevole - Borrello Stefano: favorevole - Certan Chantal: astenuta - Chatrian Albert: astenuto - Cognetta Roberto: contrario - Donzel Raimondo: astenuto - Fabbri Nello: astenuto - Farcoz Joël: favorevole - Ferrero Stefano: contrario - Follien David: favorevole - Fontana Carmela: astenuta - Fosson Antonio: favorevole - Gerandin Elso: astenuto - Grosjean Vincenzo: astenuto - Guichardaz Jean-Pierre: astenuto - Isabellon Giuseppe: favorevole - La Torre Leonardo: favorevole - Laniece Andre': favorevole - Marguerettaz Aurelio: favorevole - Marquis Pierluigi: favorevole - Morelli Patrizia: astenuta - Nogara Alessandro: astenuto - Peaquin Marilena: favorevole - Perron Ego: favorevole - Restano Claudio: favorevole - Pini Emily: favorevole - Rollandin Augusto: favorevole - Roscio Fabrizio: astenuto - Rosset Andrea: astenuto - Testolin Renzo: favorevole -

Vierin Laurent: astenuto - Vierin Marco: favorevole.

Delibera

1) di approvare il piano di rafforzamento patrimoniale del Resort & Casino' di Saint-Vincent, consistente in un aumento di capitale di 60.000.000 di euro della Casino' de la Vallee S.p.a.;

2) di incaricare Finaosta S.p.a. con apposito mandato a sottoscrivere, in nome e per conto della Regione autonoma Valle d'Aosta, l'aumento di capitale della Casino' de la Vallee S.p.a., per un importo massimo di 60.000.000 di euro addebitandone l'onere, per pari importo, al fondo in gestione speciale presso la stessa Finaosta S.p.a. di cui all'art. 6 della legge regionale n. 7/2006;

3) di finalizzare un importo pari a 30.000.000 di eurodell'aumento di capitale di cui al punto 2 del presente deliberato al rimborso parziale del mutuo che la Casino' de la Vallee S.p.a. ha in essere nei confronti di Finaosta S.p.a., ai sensi della deliberazione della giunta regionale n. 1465 del 20 luglio 2012;

4) di incaricare Finaosta S.p.a. di rimborsare con l'importodi 30.000.000 di euro ricevuti dalla Casino' de la Vallee S.p.a. il mutuo che la stessa Finaosta S.p.a. ha con la societa' Compagnia Valdostana delle Acque - CVA S.p.a.;

5) di approvare la modifica dell'art. 5 dello Statuto dellaCasino' de la Vallee S.p.a., approvato con propria deliberazione n. 949/XIII del 17 dicembre 2009, adeguandone l'importo del capitale sociale e il numero delle azioni ordinarie».

7. Dal collegamento tra i due atti, pertanto, affiora come la seconda deliberazione (di aumento di capitale) si inquadrasse in una scelta di indirizzo politico, testimoniata, per l'appunto, dal connesso ordine del giorno, rivolto alla Giunta regionale, per il complessivo rilancio dell'attivita' del Casino' di Saint-Vincent.

8. Con atto di citazione depositato in data 18 gennaio 2018,iscritto al n. 798 del registro di segreteria, la Procura regionale dava avvio, dinanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Valle d'Aosta, a un giudizio di responsabilita', nei confronti di una pluralita' di amministratori e funzionari regionali, tra i quali anche i consiglieri regionali che avevano approvato la deliberazione suddetta.

9. Il giudizio di primo grado si concludeva con la condanna dei consiglieri regionali al risarcimento del danno erariale, quantificato nell'ordine di euro 30 milioni. In proposito, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Valle d'Aosta - pur premettendo che «gli Amministratori regionali e lo stesso Coordinatore del settore bilancio abbiano, nel dichiarato scopo di perseguire finalita' pubblicistiche, interpretato il quadro di riferimento, comprensivo della legge istitutiva della societa', nel senso di favorire ogni possibile azione di supporto del progetto di rilancio e di sostentamento del Casino'», e pur riconoscendo che, ai sensi della disciplina vigente (cfr. art. 3 legge regionale 23 dicembre 2009, n. 49), «fosse possibile finanziare il Casino' anche attraverso la gestione speciale di Finaosta» (la Finanziaria regionale menzionata nelle motivazioni della deliberazione) (doc. n. 2, p. 56) - concludeva che «il quadro normativo di riferimento si prestasse a diverse interpretazioni», tanto da «far escludere ogni intento doloso in ordine alle decisioni assunte dai convenuti», ma «rimanendo a loro carico il profilo della colpa grave connesso ad una valutazione di contesto che si e' rivelata manifestamente errata sia nei presupposti che nelle scelte che ne sono derivate» (doc. n. 2, p. 56). In particolare, a parere della Sezione giurisdizionale regionale, i convenuti avevano ignorato i «segnali di debolezza finanziaria della Societa' (gestore del Casino'), al limite della decozione», che «erano gia' ampiamente conosciuti sia dal decisore politico che dalla struttura amministrativa della Regione» (doc. n. 2, p. 57). Altrettanto rilevante, ai fini del decisum, veniva considerata la «circostanza che la stessa Regione aveva gia' ricevuto report significativi sulle problematiche finanziarie che attanagliavano la Societa', tanto da poter far ritenere che i progetti di investimento si basassero su valutazioni ottimistiche e su scenari di difficile verosimiglianza» (doc. n. 2, p. 57). La sentenza cosi' concludeva in punto di responsabilita': «In buona sostanza gli amministratori regionali e lo stesso coordinatore del bilancio hanno posto in essere scelte di finanziamento in contrasto con i principi di economicita', efficienza ed efficacia dell'azione pubblica che si sono risolte in danno erariale (...) avendo colposamente trascurato tutti gli indicatori e i segnali di irreversibile crisi che provenivano dalle analisi svolte sulla situazione economica della Societa'» (doc. n. 2, p. 57).

10. A seguito di numerosi appelli, sia da parte della Procura regionale che degli altri soccombenti, si pronunciava la Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello, la quale, in parziale riforma della decisione di primo grado, in ordine alla quantificazione del danno (ridotto a euro 16 milioni), confermava l'impianto motivazionale della medesima e i presupposti della condanna, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo. In particolare, dopo aver ripercorso le vicende storiche della disciplina relativa al Casino' di Saint Vincent, la Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello, evidenziava come, anche in forza del contenuto dell'ordine del giorno approvato con la deliberazione, non si potesse dubitare della consapevolezza, da parte del decisore pubblico, della grave situazione finanziaria della Casa da gioco. Secondo la Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello, infatti, «(l)'esame del testo della delibera approvata dal Consiglio regionale e gli elementi sopra richiamati evidenziano che la situazione di grave difficolta' finanziaria della societa' era nota a tutti i consiglieri che hanno scelto la via della ricapitalizzazione mentre avrebbero potuto e dovuto valutare altre soluzioni e possibilita', che non hanno preso in considerazione.

Osserva il Collegio che e' errato sostenere che la ricapitalizzazione fosse imposta dall'art. 2446 del codice civile e che, quindi, fosse obbligata. L'opzione deliberata, infatti, era alternativa, quantomeno, alla messa in liquidazione della societa' e alla cessione da parte della Regione del ramo aziendale a terzi imprenditori o alla concessione dell'attivita' della gestione della Casa da gioco e del complesso immobiliare a terzi soggetti (come era avvenuto al momento dell'istituzione della Casa da gioco nel 1946)» (doc. n. 1, p. 92). Aggiuntivamente, la decisione affermava: «E' indubbio, che la mancata verifica di soluzioni alternative in una situazione nella quale nel 2012 e nel 2013 erano gia' stati erogati finanziamenti per 40 milioni di euro senza che si registrasse alcun miglioramento (nel 2012 perdite per 18,6 milioni, nel 2013 perdite per 21 milioni e nel primo semestre 2014 perdite per 8,791 milioni, per un complessivo importo superiore ai 47 milioni di euro), ha comportato che l'aumento del capitale sociale sia avvenuto in violazione dei parametri di efficienza ed economicita' dell'azione amministrativa, considerata la ingiustificata dispersione di risorse pubbliche, in assenza di specifiche valutazioni sulle possibili soluzioni alternative o sull'adozione di specifici interventi di risanamento» (doc. n. 1, p. 92). E ancora: «L'illiceita' del comportamento dei Consiglieri regionali e' acclarata anche a prescindere dalla violazione di specifiche disposizioni normative che regolavano, al momento dell'adozione della delibera, la possibilita' di mantenere partecipazioni societarie attinenti alla "produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalita' istituzionali" (art. 3, comma 27 e segg., legge 24 dicembre 2007, n. 244), e le condizioni alle quali era possibile disporre aumenti di capitale in presenza di reiterate perdite di esercizio (art. 6, comma 19, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122). Peraltro, trattandosi di norme imperative di finanza pubblica, i principi stabiliti dalle disposizioni richiamate erano applicabili anche alle regioni a statuto speciale, quale e' la Regione autonoma Valle d'Aosta. Tuttavia, nel caso di specie, il comportamento illecito dei consiglieri regionali e' pienamente ravvisabile a prescindere dalla violazione di esse posto che la scelta di disporre l'aumento di capitale e' stata effettuata in violazione dei principi di economicita', efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa, con conseguente inutile dispersione delle risorse regionali, indirizzate ad uno scopo privo di utilita' per l'ente» (doc. n. 1, p. 93).

11. In questa sede, riveste particolare importanza il profilo,esaminato da entrambe le pronunce menzionate, inerente all'eccezione di difetto assoluto di giurisdizione, quanto all'insindacabilita' dei voti dati dai consiglieri regionali, in sede di adozione della deliberazione, in virtu' della guarentigia approntata dall'art. 24 legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 («Statuto speciale per la Valle d'Aosta»: di seguito, Statuto), il quale, con formulazione del tutto sovrapponibile a quella contenuta nell'art. 122, comma 4, Cost., cosi' recita: «I consiglieri regionali non possono essere perseguiti per le opinioni espresse o i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni».

12. Sul punto, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Valle d'Aosta, argomentava che «(p)er il collegio (...) questa tesi non appare convincente, posto che, secondo la giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte costituzionale 337/2009; 200/2008; 392/1999; 289/1997; 69/1985; 70/1985) (...) l'ambito di estensione dell'insindacabilita' di cui agli art. 68 e 122 Cost. e alla previsione dello Statuto speciale della Regione e' idonea a coprire "le funzioni amministrative attribuite al Consiglio regionale in via immediata ed esclusiva dalla Costituzione e dalle leggi dello Stato. Non sono, per contro, coperte dall'immunita' eventuali altre funzioni amministrative attribuite al Consiglio dalla normativa regionale"» (doc. n. 2, p. 51). Inoltre, citando implicitamente (a quanto e' dato di comprendere) Corte costituzionale, sentenza n. 337 del 2009, il giudice di prime cure precisava: «In generale va distinta dall'area insindacabile, riferita alle funzioni legislative, di indirizzo politico e di controllo, di autoorganizzazione interna, nonche' a quelle aggiuntive determinate dal legislatore nazionale, un'area invece pienamente sindacabile, costituita dalle altre e diverse funzioni amministrative, determinate dalle varie fonti regionali. Ancora di recente si e' chiarito sul punto, con un ragionamento valevole anche per le regioni ad autonomia speciale, che nessuna fonte regionale potrebbe introdurre nuove cause di esenzione dalla responsabilita' penale, civile o amministrativa, trattandosi di materia riservata alla competenza esclusiva del legislatore statale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.» (doc. n. 2, p. 51).

13. Dal canto suo, la Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello, si esprimeva in termini sostanzialmente analoghi: «Non risulta alcuna norma di esenzione dalla responsabilita' amministrativa in favore dei consiglieri regionali, come precisato anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui "una volta affermata la piena estensione della giurisdizione contabile nei confronti degli apparati regionali e provinciali, una esenzione da questa in favore di specifici organi della regione e delle province, vale a dire dei consigli, costituirebbe una eccezione, la quale dovrebbe trovare fondamento in norme costituzionali ...., che invece non sussistono. Non e' possibile, come questa Corte ha gia' piu' volte affermato, considerare estesa ai Consigli regionali la deroga, rispetto alla generale sottoposizione alla giurisdizione contabile, che si e' ritenuto operare, per ragioni storiche e di salvaguardia della piena autonomia costituzionale degli organi supremi, nei confronti delle Camere parlamentari, della Presidenza della Repubblica e della Corte costituzionale (sentenza n. 110 del 1970, sentenza n. 129 del 1981). Le assemblee elettive delle regioni non sono infatti parificabili alle assemblee parlamentari; i consigli regionali godono bensi', in base alla Costituzione (art. 122, quarto comma), di talune prerogative analoghe a quelle tradizionalmente riconosciute al Parlamento, ma, al di fuori di queste espresse previsioni, non possono essere assimilati ad esso, quanto meno ai fini della estensione di una disciplina che si presenta essa stessa come eccezionale e derogatoria (si veda anche sentenza n. 81 del 1975)"(Corte costituzionale 25 luglio 2001, n. 297)» (doc. n. 1, p. 61). Il giudice d'appello rammentava, altresi', che «(i)l giudice delle leggi ha sottolineato che l'autonomia organizzativa e contabile del Consiglio regionale, tutelata dall'ordinamento, non puo' annoverare al suo interno un'esenzione da responsabilita', posto che la posizione di membro del citato consesso "non puo' implicare di per se' che l'amministrazione consiliare sfugga alla disciplina generale, prevista dalle leggi dello Stato, in ordine ai controlli giurisdizionali" (Corte costituzionale 25 luglio 2001, n. 297. Negli stessi termini: Corte costituzionale, 9 maggio 2019, n. 43)» (doc. n. 1, pagine 61-62). Veniva menzionata, infine, la giurisprudenza della Corte di cassazione, e la distinzione in essa contemplata, «fra attivita' tutelate dall'art. 122, comma 4, della Costituzione, da individuarsi in quelle attinenti alla formulazione dell'indirizzo politico poiche' "l'evocata prerogativa d'insindacabilita' testualmente riferita alle opinioni espresse e ai voti dati nell'esercizio delle funzioni di rappresentanza politica del consiglio regionale" da quelle di carattere gestionale in relazione alle quali e' consentita l'attivita' giurisdizionale contabile (Cass. civ. sez. un., 31 ottobre 2014, n. 23257; id, 15 settembre 2020, n. 19171)» (doc. n. 1, p. 62). Tutto cio', in quanto, «(l)a guarentigia di cui alla citata disposizione costituzionale, in quanto deroga alla regola generale della giurisdizione, non mira ad assicurare una posizione di privilegio ai consiglieri regionali, ma a preservare da interferenze e condizionamenti esterni delle determinazioni inerenti alla sfera di autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio regionale e non copre gli atti non riconducibili ragionevolmente all'autonomia ed alle esigenze ad essa sottese (Cass. civ., sez. un., 17 aprile 2019, n. 10772)». In conclusione, per il giudice d'appello, «nella fattispecie oggetto di giudizio, non e' stata censurata l'attivita' politica dei consiglieri regionali, di per se' insindacabile, ma il comportamento che ha condotto all'adozione di un atto amministrativo (la delibera n. 823 del 23 ottobre 2014) con il quale e' stata perfezionata una precisa e determinata scelta gestionale. In altri termini, la delibera contestata aveva natura di atto politico di indirizzo generale ed astratto, che avrebbe comportato la previsione di insindacabilita' dell'art. 122, comma 4, Cost., ma configurava un atto concreto e gestionale, finalizzato alla tutela di uno specifico interesse e, quindi, come tale sottoposto alla verifica giurisdizionale» (doc. n. 1, pagine 62-63).

14. Preme rimarcare, sempre in punto di fatto che, tanto poco lasocietà-Casa da gioco versava nella situazione di «decozione» adombrata dal giudice contabile, che la medesima e' stata ammessa, con provvedimento del Tribunale di Aosta, a una procedura di concordato preventivo.

In limine

La Regione non ignora che, alla stregua della disciplina di rango costituzionale e ordinario, cosi' come elucidata dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, le regioni speciali, e quindi anche l'odierna ricorrente, non sono in generale sottratte ai poteri spettanti alla Corte dei conti.

Cio' vale, in particolare, con riferimento, da un lato, ai poteri di controllo che trovano il proprio fondamento nell'art. 100, comma 2 Cost. e, dall'altro, a quelli giurisdizionali di cui all'art. 103, comma 2 Cost.

A proposito dei primi, peraltro, va segnalato che questi sono andati intensificandosi nel corso degli anni, soprattutto in considerazione delle esigenze di tutela degli equilibri di bilancio, di coordinamento della finanza pubblica e di rispetto dei vincoli discendenti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea.

E' dunque ormai da ritenersi pacifico che la Corte dei conti eserciti un controllo sulla gestione finanziaria delle amministrazioni pubbliche, comprese le regioni speciali, in quanto anch'esse rientranti tra gli «enti che costituiscono, nel loro insieme, la finanza pubblica allargata» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 39 del 2014; nello stesso senso, cfr., ex plurimis, Corte costituzionale, sentenze numeri 219, 60 del 2013, 198 del 2012, 179 del 2007, 267 del 2006, 29 del 1995).

Si tratta, oltretutto, di controlli piuttosto penetranti, che possono sboccare anche in provvedimenti a carattere lato sensu sanzionatorio.

Si veda, ad esempio, il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012», convertito, con modificazioni, con legge 7 dicembre 2012, n. 213, il cui art. 1 (rubricato: «Rafforzamento della partecipazione della Corte dei conti al controllo sulla gestione finanziaria delle regioni»), prevede, tra l'altro, che «(l)e sezioni regionali di controllo della Corte dei conti esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi delle regioni e degli enti che compongono il Servizio sanitario nazionale, con le modalita' e secondo le procedure di cui all'art. 1, commi 166 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per la verifica del rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilita' interno, dell'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'art. 119, sesto comma, della Costituzione, della sostenibilita' dell'indebitamento e dell'assenza di irregolarita' suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti. I bilanci preventivi annuali e pluriennali e i rendiconti delle regioni con i relativi allegati sono trasmessi alle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti dai presidenti delle regioni con propria relazione» (art. 1, comma 3); verificando «altresi' che i rendiconti delle regioni tengano conto anche delle partecipazioni in societa' controllate e alle quali e' affidata la gestione di servizi pubblici per la collettivita' regionale e di servizi strumentali alla regione (...)» (art. 1, comma 4).

Sul piano sanzionatorio, al comma 7 del citato art. 1 si stabilisce che «(n)ell'ambito della verifica di cui ai commi 3 e 4, l'accertamento, da parte delle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, di squilibri economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di norme finalizzate a garantire la regolarita' della gestione finanziaria o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilita' interno comporta per le amministrazioni interessate l'obbligo di adottare, entro sessanta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia di accertamento, i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarita' e a ripristinare gli equilibri di bilancio. Tali provvedimenti sono trasmessi alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti che li verificano nel termine di trenta giorni dal ricevimento. Qualora la regione non provveda alla trasmissione dei suddetti provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di controllo dia esito negativo, e' preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i quali e' stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilita' finanziaria».

Nessuna delle attribuzioni appena menzionate viene in gioco nella vicenda de qua, che attiene all'esercizio di funzioni giurisdizionali, in materia di responsabilita' amministrativa e danno erariale.

Nondimeno, e in via liminare, deve essere avvertito come, benche' la condanna comminata ai consiglieri regionali sia stata motivata, sulla base della asserita negligente sottovalutazione da parte dei convenuti circa «le notizie e gli indicatori che segnalavano lo stato di sostanziale decozione dell'azienda Casino'» (doc. n. 1, p. 97, in richiamo alla sentenza di primo grado) - con la conseguenza che «la scelta di disporre l'aumento di capitale e' stata effettuata in violazione dei principi di economicita', efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa, con conseguente inutile dispersione delle risorse regionali, indirizzate ad uno scopo privo di utilita' per l'ente» (doc. n. 1, p. 93) -, ne' prima, ne' dopo la vicenda in questione vi sia stato alcun rilievo in sede di controllo ad opera della competente sezione regionale. E, tantomeno, l'attivazione dei meccanismi di allerta e di successiva sanzione, pur concepiti dalle rafforzate competenze di controllo della Corte dei conti.

Le doglianze sollevate in questa sede dalla Regione, pertanto, si appuntano sul pregiudizio a carico delle proprie attribuzioni costituzionali, con riferimento al procedimento giurisdizionale di accertamento della responsabilita' dei consiglieri regionali, nell'adozione della deliberazione.

Detto altrimenti, la Regione contesta non gia' l'astratta sussistenza, sul piano oggettivo, della giurisdizione della Corte dei conti, in tema di responsabilita' per danno erariale degli amministratori regionali, inclusi quelli delle regioni speciali (cfr. Corte costituzionale, sentenze numeri 337 del 2009, 292 del 2001), quanto la possibilita' di sindacare, in quella sede, un'attivita' - e l'atto nel quale essa si e' tradotta - che, sebbene non formalmente legislativa, e' stata svolta per il tramite del voto reso da una maggioranza di consiglieri regionali, le cui prerogative di autonomia e di indipendenza sono presidiate dall'art. 24 dello Statuto, allorche', entro certi limiti, assicura, per l'appunto, l'insindacabilita' delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni.

In definitiva, il profilo portato all'esame di codesta ecc.ma Corte e' quello afferente ai limiti soggettivi del giudizio di responsabilita' per danno erariale, con riferimento agli atti dei consiglieri regionali. Limiti che sono, per cosi' dire, speculari all'ampiezza del perimetro della guarentigia proclamata dall'art. 24 dello Statuto.

Con il presente atto, dunque, la Regione ricorre dinanzi a codesta ecc.ma Corte avverso la sentenza meglio indicata in epigrafe, e tutti gli atti e provvedimenti antecedenti, consequenziali, o comunque connessi, perche' lesivi delle proprie attribuzioni costituzionali, e, segnatamente, della prerogativa sancita dall'art. 24 dello Statuto, chiedendone l'annullamento, per i seguenti motivi di

D i r i t t o

1. In rito: sull'ammissibilita' del ricorso.

In via pregiudiziale, la Regione ribadisce la piena ammissibilita' del presente ricorso.

In primo luogo, dal punto di vista soggettivo, e' ampiamente acquisito, nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che il conflitto intersoggettivo possa riguardare anche la menomazione della prerogativa dell'insindacabilita' facente capo ai consiglieri regionali (cfr., ex plurimis, Corte costituzionale, sentenza n. 43 del 2019, secondo cui «l'immunita' consiliare di cui al quarto comma dell'art. 122 Cost. puo' esser fatta valere dalla regione ricorrente anche con riferimento a chi non e' piu' consigliere regionale o presidente dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale, ma tale era al momento dell'adozione delle delibere in questione, cosi' come questa Corte ha gia' ritenuto per i membri del Parlamento con riferimento all'immunita' parlamentare di cui all'art. 68, primo comma, Cost. (sentenza n. 252 del 1999)»).

A livello oggettivo, poi, e' assolutamente pacifica la sindacabilita', in sede di conflitto intersoggettivo, anche di atti di natura giurisdizionale, in quanto lesivi delle attribuzioni costituzionali riconosciute alle regioni.

Anche di recente, infatti, codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire che «(i)n disparte la possibilita' che l'atto oggetto del conflitto possa essere altresi' impugnato in sede giurisdizionale, quel che rileva e' (...) il tono costituzionale del conflitto stesso, il quale sussiste quando il ricorrente non lamenti una lesione qualsiasi, ma una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 28 del 2018, n. 87 del 2015 e n. 52 del 2013)»; sicche', «(q)uando (...) oggetto di ricorso siano sentenze o altri atti giurisdizionali, il conflitto intersoggettivo e' costantemente ritenuto ammissibile, in presenza delle anzidette condizioni, anche laddove l'atto sia non definitivo e altresi' contestualmente impugnato in sede giurisdizionale (di recente, sentenze n. 259 e n. 57 del 2019, n. 2 del 2018 e n. 260 del 2016)» (cosi', ex plurimis, Corte costituzionale, sentenza n. 22 del 2020).

In questa prospettiva, codesta ecc.ma Corte ha puntualizzato, altresi', che «gli atti giurisdizionali possono essere posti alla base di un conflitto di attribuzione tra enti, purche', pero', il conflitto non si risolva in un mezzo improprio di censura del modo di esercizio della funzione giurisdizionale, valendo contro gli errori in iudicando i consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali delle diverse giurisdizioni e non potendo il conflitto surrettiziamente trasformarsi in un ulteriore grado di giudizio avente portata generale (ex plurimis, sentenze n. 107 del 2015, n. 252 del 2013, n. 81 e n. 72 del 2012, n. 130 del 2009, n. 195, n. 150 e n. 2 del 2007, n. 326 e n. 276 del 2003, n. 27 del 1999, n. 175 e n. 99 del 1991, n. 285 del 1990, n. 70 del 1985, n. 183 del 1981, n. 289 del 1974 e n. 110 del 1970)» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 224 del 2019).

In buona sostanza, l'ammissibilita' del conflitto intersoggettivo da atti giurisdizionali, e' condizionata dalla sussistenza del tono costituzionale, nonche' dall'esigenza che il ricorso non si risolva in uno strumento atipico di impugnazione.

Di qui, la piena ammissibilita' anche del presente ricorso, attraverso il quale, per l'appunto, la Regione non intende affatto criticare il modo di esercizio della funzione giurisdizionale da parte della Corte dei conti, bensi' l'esistenza stessa di quel potere, attesa la peculiare garanzia assegnata ai consiglieri regionali dall'art. 24 dello Statuto.

2. Nel merito: a) la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte in materia di insindacabilita' dei consiglieri regionali.

Nel merito, e' necessario dare conto, preliminarmente, della copiosa giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, in tema di insindacabilita' dei consiglieri regionali, sia con riferimento alle regioni ordinarie (cfr. art. 122, comma 4, Cost.) che a quelle speciali: giurisprudenza la quale ha, tra l'altro, delineato i confini della giurisdizione ordinaria e speciale, in relazione alle opinioni espresse e ai voti dati dai consiglieri stessi nell'esercizio delle loro funzioni.

In particolare, posso considerarsi ormai consolidati i seguenti principi:

1. L'insindacabilita' prevista per i membri del Parlamento(cfr. art. 68 Cost.) e per i consiglieri regionali (cfr. 122, comma 4, Cost., nonche' le specifiche disposizioni degli Statuti speciali, tra cui l'art. 24 dello Statuto valdostano), al di la' delle singole formulazioni, copre qualsiasi responsabilita', e non solo quella penale (in tal senso, cfr. Corte costituzionale, sentenze numeri 265 del 1997, 129 del 1996, 1150 del 1988).

2. Ad avviso di codesta ecc.ma Corte, «(l)'affermazione dell'insindacabilita' delle opinioni e dei voti dei consiglieri regionali nell'esercizio della funzione di organizzazione interna dell'organo non fa che sviluppare coerentemente il parallelismo con le guarentigie dei membri del Parlamento, di cui all'art. 68, primo comma, Cost. in relazione al nucleo essenziale comune e caratterizzante delle funzioni degli organi "rappresentativi" dello Stato e delle regioni: accanto alla funzione primaria, quella legislativa, ed alla funzione d'indirizzo politico e di controllo, la funzione di autoorganizzazione interna, pacificamente riconosciuta al Consiglio regionale al pari che ai due rami del Parlamento» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 69 del 1985). Dunque, il fondamento costituzionale della «guarentigia "delle opinioni espresse e dei voti dati" dai consiglieri regionali, nel sistema costituzionale, trae fondamento e trova il suo ambito in un determinato modello di funzioni dei consigli regionali, ritenuto meritevole e bisognoso della tutela privilegiata apprestata dall'art. 122, quarto comma, Cost.. L'esonero da responsabilita' dei componenti dell'organo (sulla scia di consolidate giustificazioni dell'immunita' parlamentare) e' vista funzionale alla tutela delle piu' elevate funzioni di rappresentanza politica, in primis la funzione legislativa, volendosi garantire da qualsiasi interferenza di altri poteri il libero processo di formazione della volonta' politica.» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 69 del 1985). Essa, quindi, «non mira ad assicurare una posizione di privilegio ai consiglieri regionali, ma a preservare da interferenze e condizionamenti esterni delle determinazioni inerenti alla sfera di autonomia costituzionalmente riservata al Consiglio regionale (ex plurimis, sentenze n. 195 del 2007, n. 392 e n. 391 del 1999)» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 332 del 2011). Piuttosto, «(l)a giustificazione razionale della guarentigia poggia (...) sulla corrispondenza fra il livello costituzionale della guarentigia stessa, ed il livello costituzionale del tipo di funzioni il cui esercizio si e' eccezionalmente ritenuto opportuno sottrarre al controllo giudiziario. Quello che la Costituzione ha inteso proteggere, con disposizioni derogatorie rispetto al comune regime di responsabilita', e' un modello funzionale che essa stessa ha delineato ed appunto percio' ha potuto valutare meritevole dell'eccezionale protezione» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 69 del 1985).

3. A differenza di quanto prescritto per la garanzia apprestata dall'art. 68 Cost. per i membri delle Camere, l'insindacabilita' dei consiglieri regionali non e' pero' assoluta. Essa incontra specifici limiti, atteso il diverso statuto costituzionale del Parlamento rispetto agli organi legislativi regionali. Come insegnato da codesta ecc.ma Corte, infatti: «Per una adeguata interpretazione dell'immunita' sancita dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione, occorre confrontare tale norma con le piu' ampie guarentigie concesse ai membri del Parlamento dall'art. 68 della Carta. Al fine di tutelare la piena indipendenza del Parlamento, in relazione all'altissima funzione ad esso riservata, la Costituzione stabilisce che nessun membro del Parlamento puo' esser sottoposto a procedimento penale ne' esser privato della liberta' personale senza autorizzazione della Camera cui appartiene (art. 68, secondo e terzo comma, Cost.). All'ulteriore scopo di rendere pienamente libere le discussioni che si svolgono nelle Camere, per il soddisfacimento del superiore interesse pubblico connessovi, i parlamentari non sono responsabili per le opinioni espresse e per i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni (art. 68, primo comma, Cost.). Siffatte eccezionali deroghe all'attuazione della funzione giurisdizionale, considerate necessarie a salvaguardia dell'esercizio delle funzioni sovrane spettanti al Parlamento, risultano legittime in quanto sancite dalla Costituzione. Le attribuzioni dei consigli regionali si inquadrano, invece, nell'esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello di sovranita'. Cosi' il legislatore costituente ha previsto all'art. 122, quarto comma, Cost., la non responsabilita' dei consiglieri regionali per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Le attribuzioni del Consiglio regionale sono in parte disciplinate dalla stessa Costituzione e in parte dalle altre fonti normative cui la prima rinvia: spiccano tra esse la funzione legislativa e di indirizzo politico. La irresponsabilita' in esame comprende quindi certamente le opinioni ed i voti manifestati nell'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 81 del 1975; sulla distinzione della posizione costituzionale del Parlamento rispetto ai consigli regionali, anche ai fini del regime di insindacabilita', cfr. pure Corte costituzionale, sentenze numeri 39 del 2014, 337 del 2009, 292 del 2001).

4. La parzialmente diversa finalita' di tali garanzie per i consiglieri regionali, non implica, pero', come appena visto, che l'insindacabilita' sia loro assicurata solo nell'esercizio della funzione legislativa, riferendosi invece l'art. 122, comma 4, Cost., anche alle «altre funzioni» svolte, a norma dell'art. 121, comma 2, Cost. («Vero e' che, come per il Parlamento, cosi' per i consigli regionali le funzioni costituzionalmente previste non si esauriscono in quella legislativa. Accanto alla potesta' legislativa, d'indirizzo, di controllo e regolamentare riservate alle regioni, il Consiglio regionale esercita (art. 121, secondo comma, Cost.) "le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi". (...). E' questo il modello funzionale, che la disposizione sull'immunita' ha per presupposto sistematico, nel senso che con la guarentigia in esame si e' voluto garantire il libero esercizio delle funzioni tipiche ed esclusive riservate al Consiglio regionale, differenziando, per questo, la posizione dei consiglieri regionali da quella dei componenti di tutti gli altri organi investiti di funzioni ovviamente diverse»: cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 69 del 1985). Lo stesso si deve dire, peraltro, per l'insindacabilita' ex art. 24 dello Statuto, dal momento che, in base al successivo art. 26, il Consiglio regionale esercita, oltre alle «funzioni normative di competenza della Regione», anche le «altre» attribuite dallo Statuto medesimo e dalle leggi dello Stato.

5. In quest'ottica, la Corte costituzionale, se, da un lato,ha affermato come «la forma amministrativa», che talvolta connota le deliberazioni consiliari, di per se', «non valga ad escludere l'irresponsabilita' di coloro che le adottarono nell'esercizio di competenze spettanti al Consiglio» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 81 del 1975), dall'altro ha precisato che « (n'ampliamento della portata dell'immunita' risultante dall'ampliamento, rispetto al modello costituzionale, delle funzioni riservate al Consiglio regionale puo' essere operato, ove consentito, soltanto con legge dello Stato, perche' soltanto il legislatore statale puo' assicurare, come e' costituzionalmente necessario, un'uguale protezione ai consiglieri di tutte le Regioni nell'esercizio delle medesime funzioni e perche' soltanto una sua scelta sarebbe conforme al principio di legalita' che regge compiutamente il sistema Penale» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 69 del 1985).

6. Corollario di tale giurisprudenza e', dunque, che, al difuori dell'esercizio di funzioni legislative, la valutazione se gli altri atti del Consiglio regionale rientrino nella sfera di insindacabilita' garantita, non dipende da un criterio meramente formale (l'essere, l'atto adottato, amministrativo o meno), ma dal fondamento della funzione concretamente esercitata: «Questa Corte osserva a tal proposito che, senza alcun dubbio, l'insindacabilita' dei deputati regionali concerne qualsivoglia funzione loro conferita dalla Costituzione e dalle fonti normative cui essa rinvia, quand'anche essa assuma «forma amministrativa» (sentenza n. 81 del 1975), poiche' «il criterio di delimitazione dell'immunita' consiliare non sta nella forma amministrativa degli atti [...], bensi' nella fonte attributiva delle funzioni stesse. Sono coperte dall'immunita' le funzioni amministrative attribuite al Consiglio regionale in via immediata ed esclusiva dalla Costituzione e da leggi dello Stato. Non sono, per contro, coperte dall'immunita' eventuali altre funzioni amministrative, attribuite al Consiglio dalla normativa regionale» (sentenza n. 69 del 1985)» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 337 del 2009).

In altri termini, l'accertamento da compiersi attiene non ad una disamina formale ("Non rileva invece la «forma amministrativa» che connota le deliberazioni consiliari, nel senso che cio' non esclude l'immunita' consiliare": cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 43 del 2019), ma ad un esame sostanziale sulla "riconducibilita'", o meno, delle funzioni esercitate a quelle coperte dall'insindacabilita' (cfr., Corte costituzionale, sentenze numeri 337 del 2009, 289 del 1997).

Peraltro, nella verifica della linea di confine tra atti sindacabili e non, codesta Ecc. ma Corte ha messo in risalto la necessita' di una valutazione di ragionevolezza, nel senso che l'irresponsabilita' «non copre gli atti non riconducibili ragionevolmente all'autonomia ed alle esigenze ad essa sottese» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 289 del 1997).

7. E' appena il caso di osservare, sulla scorta della giurisprudenza di codesta Ecc. ma Corte, come il predetto criterio sostanzialistico valga solo per gli atti non legislativi, risultando viceversa pacifico che, allorche' il Consiglio regionale eserciti le proprie competenze nella forma della legge, i consiglieri non siano comunque chiamati a rispondere per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. In questa direzione, milita la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte., secondo la quale, per le delibere legislative, torna «a prevalere il criterio formale dell'imputazione dell'atto» (cosi', Corte - sentenza n. 43 del 2019, richiamando Corte costituzionale, sentenza n. 100 del 1986). Ad analoghe conclusioni, sia detto per inciso, si deve giungere anche per le cc. dd. leggi-provvedimento regionali - quali certamente sono, ad esempio, quelle che dispongono la costituzione o l'aumento di capitale di una societa' a partecipazione pubblica (cfr Corte costituzionale, sentenza n. 18 del 2013) - sulla cui ammissibilita' salvo che la legge statale lo vieti espressamente - codesta Ecc. ma Corte si e' da tempo pronunciata in senso favorevole (cfr., ad esempio, Corte costituzionale, sentenza n. 20 del 2012: «In linea generale, la Corte ha ritenuto, anche con riguardo alla sfera di competenza delle Regioni, che «nessuna disposizione costituzionale (...) comporta una riserva agli organi amministrativi o "esecutivi" degli atti a contenuto particolare e concreto» (ex plurimis, sentenza n. 143 del 1989; in precedenza, sentenza n. 20 del 1956), benche' abbia precisato che le leggi provvedimento debbono soggiacere «ad un rigoroso scrutinio di legittimita' costituzionale per il pericolo di disparita' di trattamento insito in previsioni di tipo particolare e derogatorio» (ex plurimis, sentenza n. 202 del 1997)"; in particolare, «(n)el vigore della revisione della Parte II del Titolo V della Costituzione, si e' aggiunto che legittimamente la legge dello Stato, nell'esercizio di una competenza che le e' riservata in via esclusiva, puo' vietare che la funzione amministrativa regionale venga esercitata in via legislativa (sentenze n. 44 del 2010, n. 271 e n. 250 del 2008; ordinanza n. 405 del 2008)».

8. Per quel che concerne le funzioni direttamente riconducibili alla Costituzione o allo Statuto speciale, sicuramente attratte sotto l'ombrello dell'insindacabilita', codesta Ecc. ma Corte ha identificato, oltre al caso, come detto, di esercizio di funzione legislativa, anche le ipotesi di esercizio di: a) funzione d'indirizzo politico; b) funzione di controllo, c) funzione di auto-organizzazione interna.

3. (Segue): b) la speciale posizione ordinamentale del Casino' di Saint Vincent e il suo regime giuridico.

Per poter adeguatamente apprezzare il merito del presente ricorso, occorre ricostruire, inoltre, la posizione ordinamentale del Casino' di Saint Vincent e il suo regime giuridico.

E' noto come i presupposti per l'apertura di una Casa da gioco nel territorio della Valle d'Aosta risiedano nella legislazione nazionale, che abilita la Regione, in deroga ai generali divieti penali, a consentire l'esercizio del gioco d'azzardo nel Comune di Saint Vin.

Come ricordato anche da codesta Ecc. ma Corte, nella sentenza n. 152 del 1985, infatti, gia' la sentenza 7 dicembre 1963 delle Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione riconobbe che «le leggi sull'ordinamento finanziario della Valle d'Aosta 29 luglio 1949, n. 486 e 29 novembre 1955, n. 1179 contenevano implicitamente il riconoscimento della liceita' dell'esercizio della casa da gioco (e cio' perche' i bilanci regionali, in cui erano indicate anche le entrate relative alla concessione del casino', costituivano la premessa indispensabile, recepita in quelle leggi che determinavano il contributo dello Stato alle finanze regionali, essendo questo vincolato nel suo ammontare ai bisogni della Regione)».

Sempre codesta Ecc. ma Corte, nella sentenza n. 152 del 1985, ha evidenziato che l'art. 2, legge 6 dicembre 1971, n. 1065, recante «Revisione dell'ordinamento finanziario della Regione Valle d'Aosta» (con formula poi integralmente ripetuta dall'art. 1, legge 26 novembre 1981, n. 690, intitolata «Revisione dell'ordinamento finanziario della regione Valle d'Aosta»), «indica tra le entrate proprie della Regione le "entrate di diritto pubblico, comunque denominate, derivanti da concessioni od appalti". E questa disposizione, come si evince dai lavori preparatori, nel parlare di appalti, non puo' essere interpretata che nel senso di riferirsi ai proventi della gestione del casino'. La norma che autorizza la Regione a gestire la casa da gioco, quindi, non e' piu' implicita, ma si desume in via di interpretazione da una apposita disposizione, che, anche se inserita in una legge finanziaria, ha natura sostanziale introducendo una deroga all'art. 718 del codice penale. Questa interpretazione, del resto, costituisce la "norma vivente" nell'ordinamento, essendo quella accolta dalla giurisprudenza ed avendo costituito la base del comportamento della P.A., che ha sempre operato nel presupposto della legittima esistenza della casa da gioco».

E' opportuno, a questo proposito, sottolineare non solo l'ovvia circostanza che l'attivita' del Casino' di Saint Vincent sia qualificata come assolutamente lecita, ma che essa e' stata ritenuta strumentale alla provvista di entrate di diritto pubblico nell'ambito dell'assetto finanziario della Regione.

In particolare, come segnalato dalla menzionata giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, andando a compone le entrate del bilancio regionale (in una misura pari al 10% degli incassi), gli introiti del Casino' di Saint Vincent concorrevano (e concorrono) anche alla definizione del contributo statale alle finanze regionali. Tanto piu' che, con riferimento al proprio ordinamento finanziario, la Regione, ancorche' speciale, non dispone, come risaputo, di assoluta autonomia in siffatta materia, dovendo il regime delle entrate di diritto pubblico essere oggetto del procedimento collaborativo previsto per i decreti di attuazione dello statuto, ai sensi dell'art. 48-bis del medesimo (sul punto, cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 133 del 2010).

Di conseguenza, le scelte relative al destino della Casa da gioco, rifluiscono, fatalmente, sulla provvista finanziaria regionale, senza che, ad esempio, in caso di liquidazione della medesima, la Regione possa compensare le mancate entrate predisponendo autonomamente altri strumenti di fiscalita'. E' appena il caso di ricordare, a tal proposito, come, essendo commisurate agli incassi, le entrate siano state sempre capaci di assicurare alla Regione una provvista tutt'altro che trascurabile, anche nei periodi di maggiore difficolta' finanziaria.

Emerge, pertanto, un profilo di assoluta specialita' che distingue la policy regionale relativa al Casino' di Saint Vincent, da tutte le attivita' di produzione di servizi promosse direttamente o indirettamente dalla Regione stessa nel perseguimento dei propri fini istituzionali.

La peculiarita' consiste, in particolare, da un lato, nella circostanza che si tratta di un servizio che non potrebbe essere offerto sul libero mercato, stante la generale illiceita' penale (salvo deroga legislativa) del gioco d'azzardo, e, dall'altro, nel fine perseguito, che e' quello di fornire alla Regione una specifica fonte di finanziamento del proprio bilancio nell'ambito del piu' generale ordinamento finanziario, il quale costituisce il fondamento operativo per l'esercizio della propria autonomia costituzionale.

Quanto al regime giuridico, la Casa da gioco opera, praticamente, dalla costituzione della Regione, che ha provveduto alla sua istituzione con decreto del Consiglio regionale n. 241/3, in data 3 aprile 1946. La sua gestione e' stata affidata, dapprima ad un soggetto concessionario, in seguito ad una amministrazione straordinaria (cfr. legge regionale 21 dicembre 1993, n. 88) e dal 2001 (cfr. legge regionale 30 novembre 2001, n. 36) alla societa' «Casino' de la Vallee S.p.A.», a totale capitale pubblico, con la previsione che solo la Regione e i Comuni ubicati al suo interno potessero acquisire la qualita' di soci dell'organismo al quale era affidata la gestione della Casa da gioco (art. 2). In un secondo tempo, alla societa' e' stata affidata dalla Regione anche la gestione del complesso immobiliare «Grand Hotel Billia di Saint-Vincent», mediante il conferimento del patrimonio immobiliare della societa' che, in precedenza, aveva in uso la struttura.

Allo scopo di definire compiti, attivita' e modalita' di intervento della Regione nel settore della Casa da gioco e dell'annesso complesso immobiliare, e' stata approvata la legge regionale 23 dicembre 2009, n. 49, recante «Linee-guida per l'ottimizzazione ed il rilancio delle strategie di sviluppo della Casa da gioco e del complesso aziendale Grand Hotel Billia di Saint-Vincent. Modificazioni alla legge regionale 30 novembre 2001, n. 36 (Costituzione di una societa' per azioni per la gestione della Casa da gioco di Saint-Vincent)».

Nel dettaglio, l'art. 2 della legge suddetta (non impugnata dallo Stato) ha previsto, per l'anno 2010, un aumento di capitale, pari a euro 98.000.000.

Inoltre, l'art. 3 ha stabilito che la Regione possa intervenire per il finanziamento degli investimenti disposti da un apposito piano di sviluppo (approvato dal Consiglio), attraverso trasferimenti a Casino' de la Vallee S.p.A, la cui entita' e' determinata annualmente con la legge finanziaria, tenuto conto della programmazione finanziaria approvata dal Consiglio.

Successivamente, a seguito della dichiarazione di apertura di una procedura di concordato preventivo da parte del Tribunale d'Aosta, l'art. 1 ,legge regionale 4 luglio 2019, n. 8, ha statuito che «i crediti residui, per capitale e interessi, quantificati nel piano concordatario in euro 48.088.055,08, derivanti dai contratti di mutuo stipulati in favore della predetta societa' per il tramite di Finaosta S.p.A. per il finanziamento del piano di investimenti relativi alla ristrutturazione della Casa da gioco e del Grand Hotel Billia di Saint-Vincent, ai sensi della legge regionale 23 dicembre 2009, n. 49 (Linee-guida per l'ottimizzazione ed il rilancio delle strategie di sviluppo della Casa da gioco e del complesso aziendale Grand Hotel Billia di Saint-Vincent. Modificazioni alla legge regionale 30 novembre 2001, n. 36 (Costituzione di una societa' per azioni per la gestione della Casa da gioco di Saint-Vincent) , e autorizzati, quanto a euro 50.000.000, con deliberazione della Giunta regionale n. 1465 del 20 luglio 2012, quanto a euro 10.000.000, con deliberazione della Giunta regionale n. 1527 in data 20 settembre 2013 e, quanto a euro 20.000.000, con deliberazione della Giunta regionale n. 1856 del 10 dicembre 2015, sono convertiti, condizionatamente all'omologazione del concordato preventivo ai sensi dell'art. 180 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della iquidazione coatta amministrativa), in apporto patrimoniale a fronte della sottoscrizione, da parte di Finaosta S.p.A., in nome e per conto della Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, di uno strumento finanziario partecipativo (SFP), emesso da Casino' de la Vallee S.p.A., ai sensi dell'art. 2346, ultimo comma, del codice civile, previa approvazione delle modificazioni dello statuto sociale e del regolamento del predetto SFP di cui agli allegati A e B alla presente legge, da parte dell'assemblea straordinaria dei soci».

Anche la legge regionale 4 luglio 2019, n. 8 - cosi' come la legge regionale 23 dicembre 2009, n. 49 -peraltro, non e' mai stata impugnata dallo Stato in contestazione della legittimita' delle scelte normative ivi contenute.

A conclusione di questo breve excursus, possono compiersi alcune valutazioni rilevanti ai fini del presente ricorso.

La prima attiene, lo si ripete, allo specialissimo ruolo svolto dall'attivita' del Casino' di Saint Vincent nell'ambito delle vicende dell'autonomia valdostana sia sotto il profilo della realizzazione «dell'interesse pubblico prioritario dello sviluppo economico, turistico ed occupazionale della Valle d'Aosta» (art. 3, legge regionale 30 novembre 2001, n. 36), sia quale strumento per il procacciamento di entrate pubbliche al di fuori degli ordinari meccanismi impositivi previsti dalla legislazione generale. Appare cioe' evidente che il settore di policy relativo al destino del Casino' di Saint Vincent, non costituisca un ambito secondario dell'attivita' regionale, ma rilevi con riferimento alla politica generale della Regione.

La seconda considerazione attiene alla circostanza che, quanto alla modalita' degli interventi relativi alla disciplina della Casa da gioco, e' chiara la fungibilita' degli strumenti utilizzati per operare identiche o analoghe tipologie di interventi. Basti pensare, ad esempio, che, a fronte della previsione di cui all'art. 1, comma 2, legge regionale 30 novembre 2001, n. 36, secondo cui «lo statuto della Casino' de la Vallee S.p.A. e ogni successiva modificazione sono approvati con deliberazione del Consiglio regionale», la legge regionale 4 luglio 2019, n. 8, provvede essa stessa ad operare direttamente una modifica del medesimo statuto.

Sotto altro profilo, ancor piu' rilevante, in considerazione dell'oggetto della deliberazione che avrebbe fondato la responsabilita' amministrativa dei consiglieri regionali, si deve constatare come operazioni di aumento del capitale sociale (e di intervento sull'assetto finanziario della Casa da gioco: si pensi, da ultimo, alla legge regionale 4 luglio 2019, n. 8) siano state disposte sia, appunto, mediante la deliberazione de qua, ma anche in forza di atti legislativi, come nel caso dell'art. 2, legge regionale 23 dicembre 2009, n. 49. A ben guardare, anzi, il fatto che l'aumento di capitale di cui all'art. 2 legge regionale 23 dicembre 2009, n. 49, sia stato disposto in un tempo successivo all'entrata in vigore dell'art. 32, comma 3, legge regionale 10 aprile 1997, n. 12 - il quale ha attribuito al Consiglio la competenza per la sottoscrizione, a titolo di aumento di capitale, per partecipazioni superiori al cinquanta per cento, e sulla cui base, pertanto, e' stata adottata la deliberazione in parola -, certifica, anche sul piano empirico, l'assoluta fungibilita' delle forme decisionali - «legislativa», da un lato, «amministrativa», dall'altro nella disponibilita' del Consiglio medesimo.

Ebbene, alla luce delle riflessioni che precedono, appare quantomeno problematico, nel caso di specie, applicare meccanicamente il criterio, pur astrattamente lineare, elaborato dalla giurisprudenza di codesta Ecc. ma Corte, per accertare l'avvenuta lesione delle attribuzioni regionali, costituzionalmente garantite, rispetto alla configurabilita' della giurisdizione del giudice contabile. Si tratta invece, a tacer d'altro, di applicare quel criterio di «ragionevolezza», quanto alla riconducibilita' della deliberazione «all'autonomia regionale e alle esigenze ad essa sottese», enunciato, come visto supra al paragrafo n. 2, proprio da codesta Ecc. ma Corte (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 289 del 1997).

Nelle circostanze teste' descritte, infatti, escludere l'insindacabilita' dei consiglieri regionali - allorche' sono intervenuti nella forma amministrativa della deliberazione consiliare, darebbe luogo a un'insanabile contraddizione tra le premesse secondo cui la valutazione dell'insindacabilita' degli atti amministrativi debba essere compiuta sulla base di valutazioni sostanzialistiche (la riconducibilita', o meno, alle funzioni riconosciute al Consiglio regionale dalla Costituzione e dalle leggi statali) e la conclusione secondo cui la legittima scelta di una certa forma (la legge) piuttosto che di un'altra (l'atto amministrativo) da parte dello stesso organo, a parita' di contenuto sostanziale della deliberazione, possa condurre, sotto il profilo soggettivo, a differenti esiti in termini di applicabilita' del regime dell'insindacabilita'.

Cio', infatti, e' quanto avvenuto con riferimento ai due aumenti di capitale della Societa' che gestisce il Casino', prima con legge regionale 23 dicembre 2009, n. 49 - la quale, lo si ribadisce, non e' mai stata impugnata dallo Stato dinanzi a codesta Ecc. ma Corte - e poi con la deliberazione di cui si discorre.

Ne' si puo' dire che, trattandosi di ipotesi astrattamente differenti, e' proprio tale diversita' a giustificare un diverso trattamento della responsabilita'. Al contrario, proprio in ragione dell'approccio sostanzialistico valorizzato dalla giurisprudenza di codesta Ecc. ma Corte, e' al concreto contenuto dell'atto, alla sua natura funzionale e alla sua finalita', che si deve fare riferimento.

Parimenti, non si puo' sostenere che il mancato accertamento della responsabilita' produrrebbe «effetti deleteri», dal momento che priverebbe lo Stato del recupero di somme a titolo di danno. Come tutte le ipotesi di «scriminanti», infatti, il concretarsi della condotta astrattamente e asseritamente illecita (e la conseguente astratta possibilita' di determinazione di «danno») non ha alcuna rilevanza, in ordine all'imputazione della relativa responsabilita'.

D'altra parte, gli asseriti «effetti deleteri» della deliberazione - peraltro, del tutto indimostrati, alla luce delle vicende successive della Casa da gioco, ben avrebbero potuto essere evidenziati in sede di controllo sulla gestione finanziaria della Regione e delle sue partecipate, nell'ambito dell'attivita' istituzionale della Corte dei conti, cio' che, come ricordato supra, non e' avvenuto (non e' da escludere, peraltro, che proprio tale circostanza possa aver ingenerato, in punto di merito, anche un legittimo affidamento nei consiglieri regionali sulla legittimita' dei vari interventi compiuti negli anni).

Infine, non puo' essere trascurata, in un'ottica prognostica, l'incidenza di un'interpretazione formalistica dell'area dell'insindacabilita', sull'attivita' futura dei Consigli regionali, non solo per il condizionamento della relativa autonomia e indipendenza, ma anche perche' indurrebbe, verosimilmente, ad accentuare il ricorso allo strumento legislativo, per avere la certezza che scelte di rilevante impatto economico e politico non espongano i loro membri al rischio di responsabilita', nel caso di adozione delle medesime deliberazioni con atti di natura diversa. Si cadrebbe, insomma, in una sorta di «legislazione difensiva», o, comunque, in una reticenza nell'assunzione delle responsabilita' di direzione politica, in contraddizione proprio con la funzione di garanzia tradizionalmente rivestita dalla prerogativa dell'insindacabilita', e con l'autonomia costituzionale dei Consigli regionali.

4. (Segue): c) la deliberazione del Consiglio regionale come atto di indirizzo politico e la lesione della guarentigia di cui all'art. 24 dello Statuto ad opera della sentenza della Corte dei conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di Appello.

In questa cornice, quindi, e' possibile cogliere la natura della deliberazione come atto di indirizzo politico, e, conseguentemente, la menomazione inferta alla prerogativa ex art. 24 dello statuto, per mano della sentenza della Corte dei conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di Appello.

Sul punto, invero, la Corte dei conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di Appello, ha tratteggiato la distinzione tra attivita' politica (insindacabile) e attivita' di concreta gestione (sindacabile), rimarcando che «la delibera contestata non aveva natura di atto politico di indirizzo generale ed astratto, che avrebbe comportato la previsione di insindacabilita' dell'art. 122, comma 4, della Costituzione, ma configurava un atto concreto e gestionale, finalizzato alla tutela di uno specifico interesse e, quindi, come tale sottoposto alla verifica giurisdizionale» (doc. n. 1, p. 63).

Le conclusioni cui e' pervenuta la Corte dei conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di Appello, non convincono sotto un duplice profilo, in astratto e in concreto.

Non appare infatti corretto ritenere che la nozione di «atto di indirizzo politico», fatta propria dal giudice contabile, nell'elaborare la predetta distinzione, coincida esclusivamente con gli atti (e gli indirizzi) di carattere generale ed astratto. Cio' vale sia con riferimento all'attivita' legislativa (risultando ormai acquisita nel nostro ordinamento l'ammissibilita' di leggi ne' generali, ne' astratte, quali, ad esempio, le cc. dd. leggi-provvedimento, tra cui possono senz'altro rientrare, lo si rammenta ancora una volta, quelle che dispongono l'aumento di capitale di una societa' a partecipazione pubblica: cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 18 del 2013), sia in ordine all'attivita' non legislativa (si pensi alla nomina di un assessore, la quale peraltro, pur essendo una scelta politica, non e' interamente sottratta al sindacato giurisdizionale: cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 81 del 2012; o, piu' di recente, alla delibera con cui il Consiglio dei Ministri ha negato l'apertura delle trattative per la stipulazione dell'intesa di cui all'art. 8, comma 3, della Costituzione: cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 52 del 2016).

Da questo angolo visuale, allora, sembra piu' corretto ritenere che l'atto di indirizzo politico sia quello attraverso il quale si identificano le scelte qualificanti per la direzione di una comunita' politica. Scelte che potrebbero astrattamente non essere totalmente libere nel fine (si pensi alle leggi che danno attuazione a norme costituzionali programmatiche) ne' necessariamente generali e astratte (si pensi alla legge di amnistia che certamente esprime una scelta di indirizzo politico), ma il cui nucleo decisionale esprime comunque una amplissima discrezionalita' insuscettibile di essere positivamente parametrata ad una precedente scelta rispetto alla quale essa si ponga come atto di sostanziale esecuzione.

Ora, per tornare al caso di specie, basta considerare quanto espressamente prospettato dalla Corte dei conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di Appello, per comprendere la latitudine di scelta cui il Consiglio fosse di fronte.

Gia' nella parte in fatto del presente ricorso, si e' anticipato come la Corte dei conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di Appello. abbia addebitato ai consiglieri regionali, traendone la conseguenza della relativa responsabilita', di aver, dinanzi a una situazione di «grave difficolta' finanziaria», «scelto la via della ricapitalizzazione mentre avrebbero potuto e dovuto valutare altre soluzioni e possibilita', che non hanno preso in considerazione. Osserva il Collegio che e' errato sostenere che la ricapitalizzazione fosse imposta dall'art. 2446 del codice civile e che, quindi, fosse obbligata. L'opzione deliberata, infatti, era alternativa, quantomeno, alla messa in liquidazione della societa' e alla cessione da parte della Regione del ramo aziendale a terzi imprenditori o alla concessione dell'attivita' della gestione della Casa da gioco e del complesso immobiliare a terzi soggetti (come era avvenuto al momento dell'istituzione della Casa da Gioco nel 1946)» (doc. n. 1, p. 92). In ultima analisi, il sindacato della Corte dei conti, Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di Appello, si e' concentrato, proprio ed esattamente, sul processo deliberativo che ha portato all'assunzione di una certa decisione piuttosto che di un'altra, e sul come e' stato in concreto valutato dai consiglieri regionali il modo di soddisfare l'interesse pubblico.

E' sufficiente, dunque, porre mente alle alternative ventilate dal giudice contabile (messa in liquidazione; cessione di ramo aziendale a terzi imprenditori; concessione dell'intera attivita' a soggetti terzi), per comprendere che tutte le decisioni prospettate difficilmente avrebbero potuto essere ricondotte ad atti di mera gestione. Esse implicavano infatti valutazioni al piu' alto livello dell'interesse regionale, di ordine eminentemente politico-strategico, in rapporto al contingente indirizzo politico, riguardo al soddisfacimento dell'interesse pubblico (in particolare, con riferimento alle proprie politiche di entrata e all'esigenza di assicurare al medesimo la provvista di risorse pubbliche). Tra l'altro, su un piano meramente fattuale, non e' privo di significato - a definitiva smentita della tesi perorata dal giudice contabile, circa la presunta arbitrarieta' e/o irragionevolezza delle scelte compiute dal Consiglio - che la deliberazione abbia in realta' garantito la continuita' della Società-Casa da Gioco, preludio alla sua successiva ammissione - come visto supra nella parte in fatto del presente ricorso - a una procedura di concordato preventivo.

In ogni caso, questo e' il punto fondamentale. Tutti gli atti dei pubblici poteri (legislativi, amministrativi, altro) costituiscono (o dovrebbero costituire, quando non patologicamente distorte) espressione di una valutazione e cura dell'interesse pubblico: la differenza fondamentale tra le varie funzioni esercitate nel perseguimento di tale interesse si colloca in punto di ampiezza di valutazione rimessa all'organo decidente in ordine all'identificazione di tale interesse ed ai conseguenti strumenti per perseguirlo.

Se si muove da queste premesse, nessuna perplessita' e' lecito nutrire quanto alla piena operativita' della garanzia di cui all'art. 24 dello Statuto, avuto riguardo anche alla deliberazione in esame, mediante la quale i consiglieri regionali si sono resi partecipi, «nei limiti previsti dallo statuto, delle scelte strategiche che connotano l'indirizzo politico regionale, conformemente alla natura, che le e' propria, di organo legislativo, dotato di "autonomia politica" (sentenza n. 66 del 1964)» (cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 337 del 2009).

In effetti, attese le implicazioni conseguenti alle scelte possibili (enucleate dalla stessa Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale centrale di Appello), e' innegabile che, nella deliberazione, fossero condensate valutazioni tipicamente ascrivibili ad atti di indirizzo politico; e, dunque - in accordo con il criterio sostanzialistico avallato dalla giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte - che la deliberazione, ancorche' atto formalmente «amministrativo», e, comunque, «non legislativo», fosse, in virtu' del suo concreto contenuto decisionale, ragionevolmente imputabile a quell'ambito funzionale certamente assistito dalla prerogativa fissata dall'art. 24 dello Statuto.

Del resto, in via piu' generale (prescindendo, cioe', dal caso specifico del Casino' di Saint Vincent), sulla natura non meramente gestionale di tali scelte (e, correlativamente, sulla loro riconducibilita' all'area dell'indirizzo politico), appare chiaramente orientata la stessa giurisprudenza ordinaria e amministrativa, la quale, sebbene in relazione all'ente comunale, scolpisce il perimetro delle scelte di indirizzo politico-amministrativo.

A titolo esemplificativo, si veda Cassazione, sez. un. civ., ordinanza 3 novembre 2009, n. 23200, per la quale, «(l)e deliberazioni con le quali il Comune decide di ridurre la propria partecipazione azionaria in un'azienda municipale (nella specie, energetica) trasformata in societa' per azioni, operandone la privatizzazione ai sensi della legge n. 474 del 1994, e di adottare modifiche allo statuto della societa' stessa, costituiscono provvedimenti di natura autoritativa (preliminari e prodromici rispetto alle successive deliberazioni societarie), espressione della funzione di indirizzo e di Governo che la normativa (decreto legislativo n. 267 del 2000) assegna al comune rispetto agli organismi preposti alla produzione, gestione ed erogazione dei servizi pubblici di pertinenza del medesimo ente».

Analogamente, si veda Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 23 gennaio 2019, n. 578, secondo cui «la decisione di costituire una societa' - ma il discorso non puo' non riguardare, ad esempio, anche il contrarius actus di liquidazione o privatizzazione, n.d.r. ovvero di conservare o mantenere una partecipazione societaria, forma anzitutto oggetto di una valutazione non automatica, ma naturalmente variabile, perche' di ordine eminentemente politico-strategico in rapporto al contingente indirizzo politico-amministrativo fatto responsabilmente proprio - nell'esercizio del potere rappresentativo - dall'amministrazione pubblica riguardo, in primo luogo, ai «bisogni della collettivita' di riferimento» che spetta ad essa identificare: cioe', in rapporto alla necessita' del loro soddisfacimento a mezzo dell'erogazione di un certo servizio o della produzione e fornitura di un certo bene» (nello stesso senso, cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 14 ottobre 2020, n. 6222).

Nel solco delle coordinate ermeneutiche tracciate dalla giurisprudenza teste' illustrata, si deve ammettere, tenuto conto dei presupposti che hanno indotto il Consiglio ad adottare quella deliberazione, che la determinazione di dare mandato alla Finanziaria regionale (FINAOSTA) di procedere all'aumento di capitale integrasse una scelta idonea a influire sul destino della Società-Casa da gioco, e sulle possibili alternative al suo mantenimento in vita nella forma giuridica prescelta. L'aumento di capitale, cioe', non identificava una scelta ordinaria di politica aziendale, e dunque una modalita' gestionale di perseguire i fini societari, ma un'opzione cruciale per la sopravvivenza stessa della societa'. Crucialita' dimostrata proprio dalle alternative prefigurate dalla Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale centrale di appello, tutte attinenti all'esistenza stessa della societa', e non alla sua mera gestione. Tanto piu' che, come visto supra al paragrafo n. 3, nel passato, alcune delle medesime scelte (istituire una societa' pubblica per la sua gestione o predispone aumenti di capitale) sono state compiute nella forma della legge, vale a dire, mediante l'atto che «paradigmaticamente» esprime l'indirizzo politico dell'ente titolare della relativa funzione.

E' interessante notare, peraltro, come anche la sentenza di primo grado, seppure incidentalmente, e con piu' di un lapsus calami, abbia di fatto riconosciuto la natura della deliberazione come atto di indirizzo politico: da un lato, quando ha censurato l'operato dei consiglieri, per aver ignorato i «segnali di debolezza finanziaria della Societa' (gestore del Casino'), al limite della decozione», nonostante che questi fossero «ampiamente conosciuti (...) dal decisore politico (...)» (doc. n. 2, p. 57); dall'altro, con riferimento alla posizione del coordinatore del Dipartimento bilancio, finanze e patrimonio, quanto al parere reso per la deliberazione di aumento di capitale, nel motivare l'assoluzione perche', in relazione all'atto suddetto la Procura regionale non aveva in effetti proposto domanda di condanna, concludendo che tale circostanza «esime il collegio dalla disamina del quadro normativo di riferimento e quindi dei poteri dello stesso dott. Bieler che ad avviso della difesa non includevano alcuna attribuzione atta a confutare l'indirizzo politico assunto» (doc. n. 2, p. 62).

Ma c'e' di piu'. Che la deliberazione fosse manifestazione di un'attivita' consiliare volta a compiere scelte strategiche e di indirizzo politico per la cura di interessi rilevanti della collettivita', e' testimoniato anche dalla circostanza - anch'essa anticipata nella parte in fatto del presente ricorso - che, nel quadro dell'unitaria trattazione del punto all'ordine del giorno della seduta del 23 ottobre 2014, riguardante il destino della Casa da gioco, il Consiglio ha mostrato di farsi carico complessivamente della policy relativa al Casino' di Saint Vincent, adottando contestualmente, e complementarmente, alla deliberazione stessa un ordine del giorno (atto sulla cui natura di indirizzo -politico/controllo non possono esservi dubbi) di impegno della Giunta regionale per lo svolgimento di una serie di adempimenti finalizzati ad affrontare in modo sistematico le questioni di Governo generale di questo asset regionale, al fine di un suo rilancio (in particolare, in quell'ordine del giorno, si legge che il Consiglio, «Preso atto della relazione annuale al Consiglio regionale sull'andamento della «Casino' de la Vallee S.p.a.» e della proposta di deliberazione concernente «Rafforzamento finanziario del Resort e Casino' di Saint-Vincent. Incarico alla Finaosta S.p.a. di sottoscrivere, in nome e per conto della Regione, l'aumento di capitale del Casino' de la Vallee S.p.a.; (...) impegna la Giunta regionale a procedere alla costituzione di una Task Force politica che, in via straordinaria, affianchi e monitori l'azione di rilancio della Casa da gioco attraverso l'adozione di misure che valorizzino gli investimenti fatti e migliorino la gestione della Casa da gioco, avendo, tra gli altri, come primi indirizzi non esaustivi ne' limitativi del ruolo della Task Force stessa» (doc. n. 3).

E' evidente, pertanto, come la deliberazione si inscrivesse all'interno di una complessa e articolata iniziativa di policy pubblica (di cui la deliberazione medesima rappresentava solo un primo atto emergenziale, in vista di una complessiva strategia di riqualificazione che avrebbe implicato ulteriori scelte di indirizzo politico) svolta dal massimo organo politico-rappresentativo della Regione, per fronteggiare una situazione che richiedeva scelte rilevanti di responsabilita' politica. Iniziativa, peraltro, preceduta da un'attivita' istruttoria e dall'esame delle proposte degli organi di gestione della Società-Casa da gioco, da cui provenivano anche indicazioni e richieste in ordine alle determinazioni da assumere (cfr. ancora l'ordine del giorno del Consiglio rivolto alla Giunta: doc. n. 3), rispetto alla quale spettava al Consiglio stesso proprio la valutazione delle implicazioni sul piano dell'interesse pubblico della comunita' regionale da esso rappresentata.

Infine, non va dimenticato come l'aumento di capitale di euro 60.000.000 non conseguisse automaticamente dalla deliberazione, ma richiedesse l'intervento della Finanziaria regionale (FINAOSTA), cui il Consiglio dava mandato affinche' eseguisse l'operazione, attraverso la gestione speciale di cui agli articoli 6 e 11, legge regionale 16 marzo 2006, n. 7. Che tale attivita' di attuazione dell'indirizzo stabilito dal Consiglio non costituisse una mera e pedissequa esecuzione, residuando in capo alla Societa' un margine valutativo e gestionale, e' dimostrato dal fatto che il mandato a sottoscrivere di cui alla deliberazione fosse conferito «per un importo massimo» di euro 60.000.000.

Istanza di sospensione

In via cautelare, la Regione chiede, ai sensi e per gli effetti dell'art. 40, legge 11 marzo 1953, n. 87, che codesta Ecc.ma Corte voglia disporre la sospensione dell'esecuzione della sentenza meglio indicata in epigrafe.

Il fumus boni iuris emerge ictu oculi dalle argomentazioni che precedono.

Per quel che attiene al periculum in mora - ferme restando le considerazioni, di ordine generale, sviluppate supra al paragrafo n. 3, a proposito delle ricadute, derivanti da un approccio formalistico nella determinazione della sfera dell'insindacabilita', sulla qualita' complessiva dell'attivita' espletata dai consigli regionali, in termini di regressione verso forme di «legislazione difensiva» questa difesa ricorda, anzitutto, che, in base all'art. 5, comma 1, lettera q), legge regionale 7 agosto 2007, n. 20, sono incompatibili con la carica di consigliere regionale, «coloro che, per fatti compiuti allorche' erano amministratori o dipendenti della Regione, sono stati, con sentenza passata in giudicato, dichiarati responsabili verso la Regione e non hanno ancora estinto il debito». Dal canto suo, la lettera v) dello stesso art. 5, comma 1, individua, quale ulteriore situazione di incompatibilita', quella di «coloro che, avendo un debito liquido ed esigibile verso la Regione, sono stati legalmente messi in mora».

La verifica della sussistenza di cause di ineleggibilita' e incompatibilita' e' disciplinata dall'art. 8 della legge citata, il cui comma 5 prescrive che, «(q)uando vi siano fondati motivi per ritenere che una causa di ineleggibilita' o di incompatibilita' sia sopravvenuta all'elezione, il presidente del consiglio regionale, entro dieci giorni dalla data di accertamento della causa di ineleggibilita' o di incompatibilita' sopravvenuta, ne da' contestazione all'interessato con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno e con invito a presentare eventuali controdeduzioni e a rimuovere le cause di ineleggibilita' o di incompatibilita' sopravvenute o ad effettuare l'opzione tra la carica consiliare e la carica o l'ufficio incompatibile ricoperto, entro dieci giorni dalla data di ricevimento della contestazione».

Il successivo comma 6 puntualizza che «(q)ualora il consigliere non provveda alla rimozione della causa di ineleggibilita' o di incompatibilita' sopravvenuta, il Consiglio, entro i dieci giorni successivi alla scadenza del termine di cui al comma 5, delibera definitivamente e, ove ritenga sussistente la causa di ineleggibilita' o di incompatibilita' sopravvenuta, lo dichiara decaduto (...)».

E' persino intuitiva, in questo scenario, l'esistenza del periculum in mora, in grado di giustificare la tutela cautelare di cui all'art. 40, legge 11 marzo 1953, n. 87.

Infatti, quale che sia l'interpretazione concretamente recepita dal Presidente del consiglio regionale - cui compete l'attivazione del procedimento descritto dall'art. 8, legge regionale 7 agosto 2007, n. 20 - nella qualificazione della fattispecie di incompatibilita' (ai sensi, rispettivamente, delle lettera q) o v) dell'art. 5, comma 1, legge regionale 7 agosto 2007, n. 20), non e' revocabile in dubbio che sia l'eventuale passaggio in giudicato della sentenza meglio individuata in epigrafe - a norma degli articoli 177 e 178 decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 - che la costituzione in mora dei soggetti condannati - gia' compiuta dalla Regione, in quanto atto preliminare dell'azione di recupero dei crediti liquidati, cui l'odierna ricorrente e' doverosamente chiamata, in forza dell'art. 214, decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 174 (docc. nn. 4-9) - siano suscettibili di provocare, in attesa della definizione nel merito del presente giudizio, la decadenza dei consiglieri regionali attualmente in carica, reputati responsabili per danno erariale (6 sui 18 coinvolti nel procedimento dinanzi alla Corte dei conti), cosi' da compromettere la regolare e genuina funzionalita' dell'organo costituzionalmente previsto.

Depone, in tal senso, anche la giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte, la' dove ha accolto la domanda di sospensione dell'esecuzione della sentenza che aveva condannato un deputato della Regione Sicilia - tra l'altro - all'interdizione dai pubblici uffici, ravvisando, per l'appunto, «gravi ragioni, inerenti al funzionamento dell'Assemblea regionale siciliana» (cosi', Corte costituzionale, ordinanza n. 94 del 1980).

P. Q. M.

Per tutto quanto precede, la Regione Autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, in persona del Presidente pro tempore, ut supra rappresentata, difesa e domiciliata, rassegna le seguenti conclusioni.

Voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso:

1) in via cautelare:

sospendere l'esecuzione della sentenza della Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale centrale di appello, n. 350/2021, depositata in data 30 luglio 2021;

2) nel merito:

dichiarare che non spetta allo Stato esercitare la funzione giurisdizionale, in relazione ad atti insindacabili dei consiglieri regionali, e, conseguentemente, che non spetta allo Stato, e per esso alla Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale centrale di appello, il potere di adottare la sentenza n. 350/2021, depositata in data 30 luglio 2021, in quanto lesiva delle attribuzioni costituzionali della Regione, avuto riguardo all'insindacabilita' dei consiglieri regionali per le opinioni espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, a mente dell'art. 24, legge cost. 26 febbraio 1948, n. 4 («Statuto speciale per la Valle d'Aosta»);

per l'effetto, annullare la sentenza della Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale centrale di appello, n. 350/2021, depositata in data 30 luglio 2021, nonche' tutti gli atti e provvedimenti antecedenti, consequenziali o comunque connessi, e in particolare, per quanto occorrer possa, la sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Valle d'Aosta, n. 5/2018, depositata in data 25 ottobre 2018.

Si deposita:

deliberazione della Giunta regionale n. 1183, del 22 settembre 2021;

1) sentenza della Corte dei conti, Sezione terza giurisdizionale centrale di appello, n. 350/2021, depositata in data 30 luglio 2021;

2) sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Valle d'Aosta, n. 5/2018, depositata in data 25 ottobre 2018;

3) deliberazione del consiglio regionale n. 823/XIV, del 23 ottobre 2014;

4) atto di costituzione in mora, prot. n. 2753 avv., del 16settembre 2021;

5) atto di costituzione in mora, prot. n. 2762 avv., del 16settembre 2021;

6) atto di costituzione in mora, prot. n. 2763 avv., del 16settembre 2021;

7) atto di costituzione in mora, prot. n. 2766 avv., del 16settembre 2021;

8) atto di costituzione in mora, prot. n. 2768 avv., del 16settembre 2021;

9) atto di costituzione in mora, prot. n. 2780 avv., del 16settembre 2021.

Roma, 28 settembre 2021

prof. avv. Giovanni Guzzetta