Sentenza n. 207 du 6 juin 2001

N. 207 SENTENZA 6 - 26 giugno 2001.

Deposito in cancelleria: 26 giugno 2001.

Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n. 26 del 4 luglio 2001.

Pres. RUPERTO - Red. ONIDA

Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale.

Rilevanza della questione - Conseguenze lamentate dal giudice rimettente - Riferibilità ad una interpretazione non vincolante della legge denunciata o ad atti amministrativi - Eccezione di irrilevanza della questione - Rigetto.

Regione Valle d'Aosta - Lavori pubblici di interesse regionale - Appalti - Requisiti di accesso ad un albo regionale delle imprese partecipanti alle gare d'appalto - Concreta determinazione rimessa ad atti della Giunta regionale - Lamentata irragionevolezza della disciplina - Non fondatezza della questione.

- Legge Regione Valle d'Aosta 20 giugno 1996, n. 12, art. 23.

- Costituzione, art. 3.

Regione Valle d'Aosta - Lavori pubblici di interesse regionale - Appalti - Iscrizione delle imprese partecipanti alle gare d'appalto ad un albo regionale di preselezione - Requisito della adeguata ed efficiente organizzazione aziendale sul territorio regionale - Discriminazione delle imprese localizzate in qualsiasi altra parte del territorio nazionale, ostacolante il diritto al libero esercizio di attività economiche - Illegittimità costituzionale in parte qua. - Assorbimento di altri profili.

- Legge Regione Valle d'Aosta 20 giugno 1996, n. 12, art. 23, commi 1 e 9.

- Costituzione, artt. 3 e 120 (e artt. 41 e 97).

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Cesare RUPERTO; Giudici: Fernando SANTOSUOSSO, Massimo VARI, Riccardo CHIEPPA, Gustavo ZAGREBELSKY, Valerio ONIDA, Carlo MEZZANOTTE, Fernanda CONTRI, Piero Alberto CAPOTOSTI, Annibale MARINI, Franco BILE, Giovanni Maria FLICK,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 23 della legge regionale della Valle d'Aosta 20 giugno 1996, n. 12 (Legge regionale in materia di lavori pubblici), promossi con due ordinanze emesse il 14 dicembre 1999 dal Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta, iscritte ai nn. 98 e 99 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, 1a serie speciale, dell'anno 2000.

Visti gli atti di costituzione della regione Valle d'Aosta;

Udito nell'udienza pubblica dell'8 maggio 2001 il giudice relatore Valerio Onida;

Udito l'avvocato Gustavo Romanelli per la regione Valle d'Aosta.

RITENUTO IN FATTO

1. - Con due ordinanze di analogo contenuto, emesse il 14 dicembre 1999, pervenute a questa Corte il 14 febbraio 2000, il Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 41, 97 e 120 della Costituzione, dell'art. 23 della legge regionale della Valle d'Aosta 20 giugno 1996, n. 12 (Legge regionale in materia di lavori pubblici).

Tale disposizione prevede un "sistema di qualificazione" delle imprese per gli appalti di lavori pubblici di interesse regionale aventi importo inferiore a limiti da stabilirsi con deliberazione della giunta regionale, sistema "fondato su un albo di preselezione di carattere regionale dotato di efficacia triennale con riferimento alla presenza di un'adeguata ed efficiente organizzazione aziendale sul territorio regionale" (comma 1). L'albo è organizzato e istituito con delibere della giunta regionale, che dispone altresì l'iscrizione delle imprese all'albo stesso (commi 3, 4, 8). L'iscrizione ad esso "è condizione necessaria per la partecipazione alle gare per l'affidamento degli appalti di lavori pubblici di cui al comma 1" (comma 9).

Il tribunale remittente ricorda le deliberazioni di giunta relative all'albo, fra cui quella che indica i requisiti necessari per comprovare, da parte delle imprese che richiedono l'iscrizione, la presenza della organizzazione aziendale sul territorio regionale; e rileva che, pur essendo sospettati di incostituzionalità, da parte della società ricorrente, solo i citati commi 1 e 9 dell'art. 23, tuttavia la questione di legittimità costituzionale involge l'intero art. 23, atteso l'inscindibile nesso che ne legherebbe le varie proposizioni.

Sotto un primo, assorbente profilo, la normativa in questione sarebbe in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, poiché il richiedere il requisito di una "adeguata ed efficiente organizzazione aziendale sul territorio regionale", per accedere all'albo, configurerebbe, nella sostanza, un trattamento differenziato ratione loci che determinerebbe una ingiusta discriminazione tra imprese operanti nel territorio nazionale, basata sulla mera localizzazione territoriale, senza che siano ravvisabili peculiari ragioni tali da richiedere l'adozione di discipline differenziate.

Il giudice a quo osserva che, pur avendo la regione competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse regionale, la possibilità di dettare una normativa di favore per le imprese ubicate o comunque organizzate nella regione, anche con effetti esterni a detto territorio, incontra in ogni caso il limite dei principi della Costituzione e dell'ordinamento giuridico e delle norme fondamentali dello Stato, fra cui andrebbe compreso il principio della parità di trattamento di situazioni identiche, nonché l'esigenza che sia assicurata su tutto il territorio nazionale una uniformità di disciplina e di trattamento nei confronti delle imprese.

La previsione dell'albo regionale colliderebbe altresì con gli articoli 3 e 120 della Costituzione, in quanto creerebbe una ingiusta discriminazione tra imprese operanti nel territorio nazionale e pregiudicherebbe il diritto di esercitare una attività lavorativa in qualunque parte del medesimo territorio: le imprese sprovviste del requisito della adeguata ed efficiente organizzazione aziendale nel territorio regionale, ancorché dotate di solidi requisiti tecnico-organizzativi ed economico-finanziari, si vedrebbero di fatto precluso l'accesso agli appalti per lavori pubblici di interesse regionale. I requisiti concretamente fissati dalla giunta regionale sarebbero tali da impedire o, comunque, da rendere oltremodo difficile la partecipazione agli appalti di imprese non valdostane, o comunque non radicate nella regione.

Ulteriore motivo di illegittimità costituzionale delle norme denunciate sarebbe la irragionevolezza della scelta operata dal legislatore regionale, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. Sotto un primo profilo, non sarebbe razionale una disciplina che indichi in modo del tutto generico i criteri di ammissione all'albo, demandandone sostanzialmente ad atti sub-legislativi la concreta determinazione; sotto un secondo profilo, la stessa previsione dell'albo si paleserebbe priva di adeguata giustificazione, anche perché sarebbe illogico un sistema (quale quello discendente dalle norme denunciate, e integrato dalle deliberazioni della giunta), in base al quale l'impresa ricorrente potrebbe assumere gli appalti di valore più basso (per i quali soltanto essa aveva ottenuto l'iscrizione all'albo regionale), nonché quelli superiori alla c.d. soglia comunitaria (cui la legge non si applica), ma non gli appalti della fascia intermedia.

Né potrebbe rinvenirsi una causa giustificativa della creazione dell'albo nella particolarità della Valle d'Aosta dal punto di vista morfologico ed orografico, che esigerebbe una organizzazione aziendale locale, non trattandosi di una esigenza peculiare della Valle d'Aosta, ma comune a tutte le Regioni.

Ancora, la previsione dell'albo confliggerebbe con l'articolo 41 della Costituzione, posto che essa frapporrebbe ostacoli importanti all'esercizio della libera attività imprenditoriale; e con il principio di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione, considerato che essa impedirebbe la più ampia partecipazione agli appalti pubblici e, quindi, la scelta delle ditte migliori.

2. - Si è costituita in entrambi i giudizi la regione autonoma della Valle d'Aosta, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

La regione premette che il sistema di qualificazione fondato sull'albo regionale di preselezione è stato previsto nell'esercizio della competenza regionale primaria in materia di lavori pubblici di interesse regionale, al fine di garantire l'efficienza ed il buon andamento dell'amministrazione in un settore di primaria importanza per l'economia regionale, quale è quello degli appalti pubblici, fortemente condizionato, peraltro, dalle particolari caratteristiche del territorio regionale.

La regione eccepisce preliminarmente l'inammissibilità della questione, che sarebbe irrilevante rispetto al giudizio a quo. Infatti l'illegittimità denunciata nell'ordinanza di rimessione non riguarderebbe l'art. 23 della legge regionale n. 12 del 1996 - che, del resto, non avrebbe impedito alla società ricorrente di essere ammessa all'albo -, ma i vari provvedimenti amministrativi applicativi della legge, mai ritualmente impugnati dalla ricorrente nel giudizio a quo.

Sarebbe dunque prospettata l'illegittimità non già della norma di legge, ma dell'interpretazione che di essa sarebbe stata data dalle deliberazioni della giunta regionale, atti, questi ultimi, non assoggettabili al giudizio di legittimità costituzionale. La questione, inerendo all'interpretazione della norma, data con gli atti applicativi, presupporrebbe che sia possibile individuare un'altra soluzione interpretativa, diversa da quella seguita dalla giunta regionale.

Nel caso specifico, secondo la parte, il giudice a quo avrebbe del tutto omesso di prendere posizione sul problema interpretativo, limitandosi a sostenere l'illegittimità costituzionale dell'interpretazione seguita dalla giunta regionale, ma non escludendo la legittimità della diversa soluzione che comunque il giudice stesso ipotizza e che anzi sembra seguire: onde la questione difetterebbe del necessario requisito della chiarezza, con conseguente sua inammissibilità.

Ad avviso della regione, il tribunale avrebbe dovuto, in particolare, verificare la compatibilità con la Costituzione dell'altra possibile interpretazione della norma, conforme all'orientamento seguito in casi analoghi dal Tribunale amministrativo regionale della Sardegna, secondo cui l'obbligo di iscrizione all'albo regionale dovrebbe essere inteso nel senso che la iscrizione ad esso sarebbe requisito sufficiente, ma non necessario, per partecipare alle gare, potendo altresì partecipare le imprese iscritte all'albo nazionale dei costruttori.

La questione sarebbe comunque infondata.

Il requisito tecnico di una adeguata ed efficiente organizzazione sul territorio regionale non realizzerebbe un trattamento differenziato ratione loci ma atterrebbe all'efficacia dell'azione pubblica. Come altre Regioni a statuto speciale o province autonome, la regione Valle d'Aosta avrebbe previsto l'albo regionale di preselezione per garantire l'interesse ad una efficiente e tempestiva realizzazione dei lavori pubblici regionali, tenendo conto, in particolare, dell'esigenza di reperire con immediatezza le risorse umane e tecniche necessarie all'espletamento di operazioni che richiedono una costante presenza nel territorio; l'albo si configurerebbe come uno strumento di semplificazione dell'attività precontrattuale delle amministrazioni aggiudicatrici.

La regione ricorda poi che questa Corte, con la sentenza n. 482 del 1995, ha escluso che si applichi alle Regioni il divieto sancito dall'art. 8, comma 8, della legge statale n. 109 del 1994 di utilizzare gli albi speciali e di fiducia delle stazioni appaltanti; e precisa che i criteri di preselezione previsti dalla normativa impugnata non potrebbero essere confusi con alcun albo fiduciario, ma costituirebbero l'esito vincolato di una procedura formale, rispettosa dei principi desumibili dall'ordinamento italiano e da quello comunitario.

La parte richiama poi alcune sentenze di questa Corte, che hanno ritenuto legittima la istituzione di albi e registri a livello regionale, là dove risponda a specifiche peculiarità locali e non comporti disparità di trattamento in materia di lavoro e di iniziativa economica; e sottolinea infine come, alla luce delle recenti innovazioni introdotte dal legislatore statale, che hanno abolito l'albo nazionale dei costruttori sostituendolo con il sistema di qualificazione attraverso società di attestazione, la previsione di un albo regionale di preselezione possa rappresentare un valido strumento operativo e un ulteriore criterio di verifica dei requisiti in possesso delle imprese partecipanti alle gare, in linea con le esigenze espresse dalla nuova normativa nazionale.

3. - Nell'imminenza dell'udienza la regione Valle d'Aosta ha depositato una memoria, nella quale si ribadisce anzitutto l'eccezione di inammissibilità della questione per irrilevanza, sostenendo che la previsione della necessità di iscrizione nell'albo regionale per partecipare alle gare non sarebbe conseguenza necessaria della normativa denunciata; che il giudice a quo di fronte alla pluralità di possibili interpretazioni della norma, avrebbe potuto adottare di essa un'interpretazione adeguatrice, idonea a risolvere il dubbio di illegittimità costituzionale, dovendosi dare prevalenza all'interpretazione in base alla quale la disposizione sia da considerare legittima; e che la valutazione della legittimità costituzionale della norma non potrebbe essere operata alla stregua della applicazione che ne sia stata data in concreto, con provvedimenti privi di natura normativa.

Nel merito, la memoria sottolinea fra l'altro che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, gli interventi legislativi statali nelle materie di competenza primaria della regione debbono lasciare uno spazio sufficiente per adattare alle peculiarità locali i principi e gli istituti introdotti dalle leggi nazionali di riforma.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. - La questione sollevata dal Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta investe l'art. 23 della legge regionale della Valle d'Aosta 20 giugno 1996, n. 12 (Legge regionale in materia di lavori pubblici), in riferimento agli articoli 3, 41, 97 e 120 della Costituzione.

La disposizione - che prevede un "sistema di qualificazione" delle imprese per gli appalti di lavori pubblici di interesse regionale di importo inferiore a limiti da stabilirsi con deliberazione della giunta regionale, fondato su un "albo regionale di preselezione dotato di efficacia triennale con riferimento alla presenza di un'adeguata ed efficiente organizzazione aziendale sul territorio regionale" - contrasterebbe con gli artt. 3 e 120 della Costituzione in quanto determinerebbe un'ingiusta discriminazione, non giustificata da alcuna ragione, fra imprese operanti nel territorio nazionale, a sfavore di quelle non ubicate o comunque non radicate nella regione, così pregiudicando il diritto di esercitare un'attività in qualunque parte del territorio nazionale; con l'art. 41 della Costituzione, in quanto frapporrebbe ostacoli al libero esercizio dell'attività imprenditoriale; con l'art. 97 della Costituzione, in quanto impedirebbe di fatto la più ampia partecipazione agli appalti pubblici, e quindi la scelta delle ditte migliori; ancora, infine, con l'art. 3 della Costituzione, per la irrazionalità di una disciplina che demanderebbe sostanzialmente la determinazione dei criteri di ammissione all'albo ad atti sub-legislativi, e per la illogicità di un sistema che verrebbe a consentire a ditte come la ricorrente di assumere appalti di modesto importo e appalti per importi superiori alla c.d. soglia comunitaria (cui detta disciplina non si applicherebbe), ma non appalti per importi intermedi.

2. - I giudizi, aventi identico oggetto, devono essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia.

3. - Non può essere accolta l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla regione Valle d'Aosta, sotto il profilo che la questione sarebbe irrilevante in quanto le conseguenze lamentate discenderebbero da una interpretazione non obbligata della legge regionale, e farebbero piuttosto capo ad atti amministrativi, non sindacabili in questa sede.

Il tribunale remittente muove infatti da una interpretazione della normativa denunciata che non solo appare plausibilmente motivata, ma si presenta altresì come l'unica conforme alla lettera e alla ratio della medesima. Il comma 9 dell'art. 23 della legge regionale è univoco nel richiedere l'iscrizione all'albo regionale di preselezione come condizione necessaria per la partecipazione alle gare; e d'altronde è trasparente l'intento del legislatore regionale di stabilire in autonomia i requisiti di partecipazione delle imprese alle gare di appalto per i lavori pubblici di interesse regionale considerati (quelli indicati al comma 1 dell'art. 23), soprattutto richiedendo il requisito della organizzazione aziendale nel territorio regionale, sia pure rimesso poi per la sua determinazione specifica a successive deliberazioni della giunta regionale.

Tanto è vero che la stessa regione - la quale nel presente giudizio prospetta un'interpretazione alternativa (peraltro contraddetta dal chiaro tenore del citato comma 9 dell'art. 23), secondo cui l'albo avrebbe una semplice portata sussidiaria e non vincolante, nel senso di abilitare le imprese iscritte alla partecipazione alle gare, ma senza escludere da questa le imprese, pur non iscritte, qualificate in base alla normativa nazionale, e giunge ad indicare tale soluzione come doverosa per il giudice in base al canone dell'interpretazione conforme alla Costituzione - non solo ha seguito, nella prassi amministrativa, la soluzione opposta, richiedendo nei bandi di gara il requisito dell'iscrizione all'albo regionale, ed escludendo l'impresa ricorrente da una gara per la quale essa non era qualificata sulla base dell'albo medesimo, ma ha difeso tale soluzione nei giudizi a quibus resistendo alle domande di annullamento dei provvedimenti basati sulla legge così intesa.

Né può dirsi che la situazione normativa denunciata discenda, non già dalla legge, ma dagli atti amministrativi attuativi della medesima. In realtà, a prescindere dal modo in cui in concreto la legge è stata attuata, non v'è dubbio che l'art. 23, nei suoi commi 1 e 9, imponga già l'iscrizione all'albo regionale come condizione necessaria per la partecipazione alle gare, e il requisito della adeguata organizzazione aziendale nel territorio regionale come necessario per l'accesso all'albo medesimo. E questo è l'aspetto centrale della questione come formulata dal giudice a quo.

4. - Il giudice remittente impugna l'intero articolo 23 della legge regionale n. 12 del 1996, che contiene la previsione e la disciplina dell'"albo regionale di preselezione", sostenendo che le varie disposizioni in esso contenute sarebbero legate da un nesso inscindibile: ma quasi tutti i profili di illegittimità sollevati, in riferimento agli artt. 3 (con riguardo alla ingiustificata disparità di trattamento), 120, 41 e 97 della Costituzione, concernono in realtà la sola previsione normativa che, da un lato, impone l'iscrizione all'albo regionale come requisito necessario per la partecipazione alle gare d'appalto, dall'altro lato impone come requisito per accedere all'albo l'esistenza di una adeguata organizzazione aziendale sul territorio regionale, così di fatto precludendo, alle imprese non locali, o comunque non stabilmente organizzate sul territorio regionale, di concorrere agli appalti disciplinati dalla legge. I parametri invocati, salvo quello di cui si dirà subito dopo, convergono in tale direzione, mentre non è contestata, di per sé, la potestà della regione di disciplinare con proprie leggi, relativamente ai lavori pubblici di interesse regionale, il sistema di qualificazione delle imprese (e infatti non vengono invocati parametri costituzionali o statutari dai quali possano evincersi limiti "interni" alla competenza legislativa regionale).

Tuttavia la questione è sollevata altresì con riferimento al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione, contestandosi fra l'altro la razionalità del rinvio, effettuato dalla legge, ad atti della giunta regionale per la concreta determinazione dei requisiti di accesso all'albo: per questo aspetto la questione investe necessariamente l'intera disciplina contenuta nell'art. 23 della legge.

Sotto tale profilo, la questione non è fondata. Non può infatti ritenersi, di per sé, contrastante con criteri di ragionevolezza una normativa che stabilisca in via generale i requisiti di accesso all'albo regionale (in particolare il requisito, ove esso fosse legittimamente previsto, della adeguata ed efficiente organizzazione aziendale nel territorio regionale), demandandone poi ad atti amministrativi la precisazione.

5. - Resta invece il quesito centrale posto dal remittente, circa la legittimità di una disciplina che condiziona la partecipazione alle gare di appalto attraverso la statuizione del requisito necessario dell'iscrizione all'albo, disciplinato a sua volta nel modo che si è visto al possesso da parte delle imprese di un'organizzazione aziendale nel territorio regionale: e si tratta, come si è detto, di una previsione normativa interamente contenuta nei commi 1 e 9 dell'articolo 23, ai quali, dunque, deve essere circoscritto il vaglio di costituzionalità alla luce degli altri parametri invocati dal giudice a quo.

Sotto questo profilo, la questione è fondata, in quanto la disciplina indicata contrasta con gli articoli 3 e 120 della Costituzione.

Richiedere, per la partecipazione alle gare d'appalto, la sussistenza di un'organizzazione aziendale stabile sul territorio regionale equivale a discriminare le imprese sulla base di un elemento di localizzazione territoriale, contrario al principio di eguaglianza nonché al principio in base al quale la regione "non può adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra le regioni" e "non può limitare il diritto dei cittadini di esercitare in qualunque parte del territorio nazionale la loro professione, impiego o lavoro" (art. 120, secondo e terzo comma, della Costituzione).

Da tale principio, che vincola anche le Regioni a statuto speciale (sentenze n. 12 del 1963, n. 168 del 1987), e che più volte questa Corte ha ritenuto applicabile all'esercizio di attività professionali ed economiche (cfr. sentenze n. 6 del 1956, n. 13 del 1961, n. 168 del 1987, n. 372 del 1989, n. 362 del 1998), discende anche il divieto per i legislatori regionali di frapporre barriere di carattere protezionistico alla prestazione, nel proprio ambito territoriale, di servizi di carattere imprenditoriale da parte di soggetti ubicati in qualsiasi parte del territorio nazionale (nonché, in base ai principi comunitari sulla libertà di prestazione dei servizi, in qualsiasi paese dell'Unione europea).

Una regolamentazione regionale di attività di questa natura è di per sé possibile, negli stessi limiti, discendenti dal diritto comunitario, valevoli per il legislatore statale, nonché entro gli ulteriori limiti che, nei singoli casi, possono discendere, nei confronti delle regioni, dalle norme costituzionali o statutarie che ne disciplinano l'autonomia. Ma essa non può comunque tradursi nella apposizione di barriere discriminatorie a danno dei soggetti non localizzati nel territorio regionale.

Nella specie, il requisito della adeguata ed efficiente organizzazione aziendale nel territorio regionale, richiesto per la partecipazione ad appalti di lavori pubblici nella Valle d'Aosta, non è fondato su alcuna ragione tecnica, né può essere ragionevolmente giustificato in nome dell'efficienza e del buon andamento dell'amministrazione, poiché è evidentemente ben possibile che anche imprese aventi sede e organizzazione stabile fuori del territorio regionale possiedano i requisiti tecnico-organizzativi necessari - e richiesti dalla normativa e dai bandi di gara - per assicurare un'efficiente esecuzione degli appalti. Né vale richiamare gli eventuali maggiori costi che tali imprese dovrebbero sostenere, poiché le procedure di scelta del contraente consentono comunque all'amministrazione di assicurarsi le prestazioni alle condizioni per essa più convenienti anche sotto il profilo economico.

Detto requisito in realtà si atteggia proprio, nella sostanza, come condizione rivolta a frapporre barriere all'ingresso nel territorio regionale, in qualità di soggetti appaltatori, di imprese provenienti da altre aree e prive di legami stabili con il territorio medesimo.

Deve pertanto essere dichiarata la illegittimità costituzionale dei commi 1 e 9 dell'impugnato art. 23 della legge regionale, nella parte in cui prevedono, come requisito necessario per la partecipazione agli appalti di lavori pubblici ivi previsti, l'iscrizione ad un albo regionale di preselezione, a sua volta condizionata alla presenza di un'adeguata ed efficiente organizzazione aziendale sul territorio regionale.

Resta assorbito ogni altro profilo di illegittimità costituzionale denunciato dal remittente.

Per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi:

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 23, commi 1 e 9, della legge regionale della Valle d'Aosta 20 giugno 1996, n. 12 (Legge regionale in materia di lavori pubblici), nella parte in cui prevede come condizione necessaria per la partecipazione alle gare per l'affidamento degli appalti di lavori pubblici ivi contemplati l'iscrizione ad un albo regionale di preselezione "dotato di efficacia triennale con riferimento alla presenza di un'adeguata ed efficiente organizzazione aziendale sul territorio regionale";

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 23 della predetta legge regionale della Valle d'Aosta n. 12 del 1996, per la parte non colpita dalla dichiarazione di illegittimità di cui al capo a sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Valle d'Aosta con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2001.

Il Presidente: Ruperto

Il redattore: Onida

Il cancelliere: Di Paola

Il direttore della cancelleria: Di Paola