Brevi cenni storici

Introduzione

La coscienza della propria diversità, del proprio essere particolari è radicata da secoli nei valdostani e già nel 1032 Umberto Biancamano, Conte di Moriana e capostipite di Casa Savoia, concede le prime franchigie. Le prerogative si vanno in seguito ampliando e verso la fine del XII secolo i valdostani reclamano dai Conti di Savoia, con l'intermediazione del Vescovo Valberto, una sorta di "statuto speciale" che regoli i rapporti tra i sovrani e il popolo; è così che la nota "Charte des franchises" del 1191 concede una particolare forma di autonomia.

Nel 1430 la nobiltà valdostana insorge quando il duca Amedeo VIII cerca di imporre nella nostra regione gli Statuta Sabaudiae, ovvero nient'altro che la legislazione già in vigore in tutti i territori dei Savoia.

La lontananza dalla capitale Chambéry e la particolare posizione geografica - ducatum istum non esse citra neque ultra montes sed intra montes, scrive nel 1661 il Vescovo Bailly alla Santa Sede - servono ad alimentare e a far riconoscere nel corso dei secoli alle autorità civili e religiose il particolarismo della Valle. Il concetto stesso di "intramontanismo" verrà poi ripreso nella sostanza da Jean-Baptiste De Tillier e da numerosi autori successivi per spiegare l'accentuata autonomia di cui ha goduto l'aristocrazia della Valle per molti secoli.

Nonostante il trasferimento, nel 1563, della capitale da Chambéry a Torino i valdostani continuano a rafforzare le loro prerogative di autonomia con il "Conseil des Commis", l'esecutivo eletto dal Consiglio degli Stati Generali nel 1536, che per circa due secoli reggerà il governo locale e, fino al 1560 (quando la Valle rientra nei domini di casa Savoia seppure con una struttura politica autonoma), assume su di sé tutti i poteri rendendo la nostra regione una sorta di stato indipendente. Anche la giustizia veniva amministrata autonomamente dalla "Cour des Connaissances" che, dal 1580, poteva disporre del "Coutumier", una imponente raccolta delle consuetudini valdostane.

Alle soglie della Rivoluzione francese, che sconvolgerà l'assetto geopolitico dell'Europa, le spinte centralizzatrici hanno ragione del piccolo ducato di Aosta e il riformismo sabaudo giunge ad annullare privilegi e istituzioni locali. Al "Conseil des Commis" vengono progressivamente ridotte le competenze e il numero dei membri. Nel 1764 è istituita la "Royale Délégation" dal cui lavoro prende le mosse il catasto generale delle terre valdostane; nove anni dopo, a questa commissione viene affidato "l'affrancamento generale dei censi", cioè la possibilità per i Comuni e i privati di comprarsi il diritto di non dover più versare i canoni feudali ai signori: il feudalesimo finisce insieme all'autogoverno dei valdostani. Nel 1770 le "Royales Constitutions" sostituiscono il "Coutumier".

La guerra tra la Francia e le potenze coalizzate sconvolge la vita della comunità e la Valle d'Aosta diviene un avamposto militare in cui le esigenze dei soldati venivano prima di quelle della popolazione. Significativo il fatto che, dopo l'abdicazione del re e la proclamazione di un governo provvisorio, sorge ad Aosta una Municipalità il cui primo atto di rilievo è quello di indire una consultazione dei Comuni sull'annessione alla Francia: 71 su 73 si dichiarano favorevoli, ma 52 di questi chiedono anche che la Valle d'Aosta divenga un dipartimento autonomo. Viceversa il nuovo regime riduce Aosta a Sottoprefettura del "Département de la Doire", con Ivrea per capitale. Pochi anni dopo, in seguito alla forzata laicizzazione della Valle con l'espulsione di tutti gli ordini religiosi e la chiusura dei monasteri, è soppressa anche la diocesi di Aosta.

La diversità della Valle d'Aosta torna a galla quasi un secolo dopo, con la realizzazione dell'unità d'Italia e il passaggio della Savoia alla Francia. L'anomalia rappresentata dalla piccola regione alpina si evidenzia soprattutto nell'aspetto linguistico, ora che lo stato sabaudo, che era totalmente bilingue, non esiste più. Ogni volta che un rappresentante del Parlamento italiano pone l'accento sulla necessità di uniformare la parlata nello stivale i valdostani insorgono a tutela del loro particolarismo linguistico. Il regime fascista giunge perfino ad italianizzare i toponimi, prevedendo di realizzare un analogo provvedimento per i cognomi, col risultato di rafforzare di fatto l'identità collettiva dei valdostani, il loro desiderio di autodeterminazione e di autonomia dallo stato italiano: comincia a farsi strada l'idea di un Consiglio della Valle, composto da valdostani ed eletto da valdostani, che eserciti un potere sovrano sulla regione.

Il fascismo cambia i nomi, ma non le volontà. La pubblicistica regionalista continua incessantemente miscelando con passione contenuti culturali e politici in cui all'ingrediente etnico-linguistico è sempre associato quello autonomista. Già nel 1909 nasce la "Ligue valdôtaine" di Anselmo Réan, un movimento particolarmente attivo alla fine della prima guerra mondiale che coniuga la difesa della lingua francese alla diffusione delle idee regionaliste. Nel febbraio del 1923 un gruppo di giovani, capeggiati da Joseph-Marie Alliod, fonda il "Groupe valdôtain d'action régionaliste", che nel suo programma pone l'accento sulla necessità di condurre un'intensa azione propagandistica "qui rende à chaque Valdôtain le sens de sa personnalité régionale".

L'abate Joseph-Marie Trèves, un sacerdote coraggioso e utopista che le autorità definiscono un esaltato, fonda nell'aprile del 1926 con un giovane studente in giurisprudenza, Emile Chanoux, la "Jeune Vallée d'Aoste": si tratta di un piccolo gruppo di irriducibili teso ad alimentare le istanze autonomistiche e democratiche da cui nasce il primo nucleo della Resistenza e che per tutto il ventennio agita il vessillo ideale della "Patrie Valdôtaine".

Il mondo intellettuale valdostano, animato da illustri figure di prelati, come Jean-Joconde Stévenin e lo stesso abate Trèves, ma anche da alcune famiglie della borghesia locale, continua ad alimentare il culto dell'autonomia delle istituzioni valdostane, ma la svolta politica - oggi diremmo programmatica - si può considerare la "Dichiarazione dei rappresentanti delle popolazioni alpine" siglata a Chivasso il 19 dicembre 1943 dai valdostani Emile Chanoux ed Ernest Page e da esponenti del movimento valdese. Si tratta di un documento che individua e definisce le autonomie che dovranno essere riconosciute alle popolazioni in questione suddividendole in "autonomie politiche-amministrative", "autonomie culturali-scolastiche" e "autonomie economiche". La "dichiarazione" e l'ampio commento che ne fa Chanoux nell'opuscolo "Federalismo e autonomie" diventano subito un testo di riferimento per le aspirazioni autonomistiche.

Sebbene anche Federico Chabod proponga nei due memoriali "La questione valdostana" e "La Valle d'Aosta, l'Italia e la Francia", scritti a Valsavarenche nel settembre del 1944, uno schema di autonomia piuttosto simile, appare subito evidente una sostanziale differenza destinata ad animare il confronto negli anni immediatamente successivi alla guerra e fino alla promulgazione dello Statuto speciale: pur prevedendo un'autonomia amministrativa molto ampia lo storico ambisce ad una "Regione Valle d'Aosta, dal punto di vista politico, parte integrante dello Stato Italiano", quindi né indipendente, né federata in alcun modo con stati diversi dall'Italia. Esemplare la sua posizione sul problema delle acque, ancora oggi di attualità; Chabod dimostra di prevedere un'autonomia molto più ampia e categorica di quella della "Dichiarazione": "le acque anziché di proprietà demaniale, vengono per legge dichiarate di proprietà della Regione". E proprio quando si comincia a definire quali competenze devono essere destinate allo stato e quali all'ente regionale, si evidenzia la frattura tra gli intellettuali nel modo stesso di concepire l'autonomia: "federalista" o "regionalista". Dal punto di vista della tecnica costituzionale, la differenza è semplice: si tratta di stabilire se siano da definire le competenze della regione, lasciando all'ente statale quelle residuali, o viceversa. Abbiamo parlato di stato, senza peraltro aggiungere l'aggettivo italiano, perché un altro aspetto condiziona questa tematica e il dibattito che ne è derivato dopo la Liberazione, tanto da influenzare direttamente il primo Consiglio regionale: nell'ottobre del 1943, il generale De Gaulle rivendica la possibilità di consentire alla Valle d'Aosta l'annessione alla Francia; vi sono missioni esplorative in tal senso da parte di ufficiali francesi in borghese per sondare il sentimento dei valdostani e conseguenti provvedimenti da parte del C.L.N. piemontese.

In questo clima di tensione scoppia la tragedia: giovedì 18 maggio, giorno dell'Ascensione, Emile Chanoux e Lino Binel vengono arrestati da funzionari e agenti della questura e, dopo essere stati interrogati e picchiati, vengono condotti nella caserma di PS di via Frutaz. Viene perquisita l'abitazione di Chanoux e ritrovato materiale compromettente, tra cui messaggi con le coordinate di lancio per i rifornimenti ai partigiani in Val Sangone e Valsesia, dati sulla produzione bellica della Cogne e un elenco di fascisti valdostani. Quella stessa sera Chanoux incontra per l'ultima volta la moglie: "Moi je n'ai pas parlé. Vous ne dites rien"; e più tardi a Binel: "A moi, ils m'ont trouvé trop". La mattina del 19 maggio viene trovato impiccato nella sua cella. Secondo la ricostruzione del questore Piero Mancinelli "... si era suicidato impiccandosi ad una sbarra della cancellata di protezione della finestra. Il dottore Cesare Matassi, giunto poco dopo, constatava che la morte era avvenuta circa otto ore prima, cioè verso le due di stamane, per impiccamento". La tesi del suicidio lascia molte perplessità e restano oscure ancora oggi le vie seguite dal regime per arrivare ad arrestare Chanoux e Binel.

Il pensiero del martire della Resistenza valdostana sarà subito interpretato, e forse anche strumentalizzato, in modi diversi. Federico Chabod scrive: "... Chanoux mi aveva risposto che egli con la Francia non avrebbe mai voluto andare, perché stato amministrativamente accentrato ed accentratore non meno dell'Italia del passato, ma che avrebbe potuto giovarsi a scopo tattico di simile eventuale richiesta, per costringere cioè il governo italiano a concessioni più larghe". La testimonianza riportata dal canonico Bernard Secret è diametralmente opposta: "...Chanoux, que je connaissais beaucoup, m'a mis au courant d'un complot dont il était un des chefs pour poursuivre la sécession du Val d'Aoste et un rattachement à la France" (cfr. Marc Lengereau, "Le Général De Gaulle, la Vallée d'Aoste et la frontière italienne des Alpes", Musumeci, Aosta 1980) e su "Le Val d'Aoste libre" (1945) si legge: "... nous avons demandé à Chanoux des instructions pour la situation nouvelle. Il nous répondit: action autonomiste ouverte, action séparatiste cachée".

Dopo la morte di Chanoux riprendono vigore le tesi annessioniste. Federico Chabod scrive ai responsabili del C.L.N. Alta Italia e al presidente del Consiglio dei ministri del governo dell'Italia libera, Ivanoe Bonomi, per sollecitare una risposta urgente e concreta alle aspettative dei valdostani che taciti i secessionisti. Il 21 ottobre del 1944 Giulio Dolchi (il partigiano "Dudo") legge ai microfoni di Radio Vallée d'Aoste Libre il messaggio di Bonomi ai valdostani: "è dovere dell'Italia liberata restaurare i vostri diritti violati e conculcati attraverso l'instaurazione di un regime di ampia autonomia linguistica, culturale, amministrativa, nel quadro di una libera comunità democratica, ispirata al rispetto degli interessi locali e al decentramento delle amministrazioni". Il 16 dicembre il capo del governo ribadisce l'impegno: "desidero anche assicurarvi fin d'ora garantita anche alla Valle d'Aosta quella autonomia amministrativa e culturale ch'è nei programmi di tutti i partiti". Se per alcuni era un'attesa conferma, per altri solo una vuota promessa senza precise garanzie.

Numerosi memoriali contrari all'ipotesi dell'autonomia amministrativa all'interno dello Stato italiano vengono redatti in questo periodo. Le soluzioni proposte per la "questione valdostana" vanno dall'indipendenza a forme di autonomia garantita dagli organismi internazionali, dall'annessione alla Francia o alla Svizzera per finire ad ipotesi di tipo cantonale e federalista.